Bologna, in marcia accanto alle vittime di mafia

In 150mila attraversano le vie di Bologna. Sono i partecipanti alla XX Giornata della memoria e dell’impegno promossa da Libera e Avviso pubblico. In testa cinquecento familiari delle tante vittime innocenti delle mafie. Portano un grande striscione con la scritta “La verità illumina la giustizia”. Quella verità e quella giustizia “che moltissimi di loro ancora non hanno avuto”.

Sono madri, padri, figli, fratelli, sorelle. Molti portano le foto dei loro cari, strappati dalla violenza mafiosa. Subito dietro l’enorme bandiera multicolore della pace portata da ragazzi napoletani, alcuni del circuito penale.

“Un ponte tra noi e Napoli che oggi accoglie papa Francesco che lo scorso anno volle incontrare a Roma i familiari delle vittima di mafia, consegnandoci parole indimenticabili”.

Il corteo scorre ordinatamente grazie all’impegno dei tantissimi volontari, moltissimi scout dell’Agesci, mentre gli altoparlanti diffondono i nomi di migliaia di vittime delle mafie e quest’anno anche delle stragi del terrorismi, stazione di Bologna, treno Italicus, Ustica. Anche loro senza verità e giustizia.

Le storie
«Mamma sono 25 anni che mi dice: “Salvo, quando sapremo chi è stato?”. Non posso dirle di rassegnarsi. Non lo accetterebbe e non lo accetto io. Il primo diritto di un familiare di una vittima di mafia è sapere la verità. Per dare un senso al perché la tua vita è stata massacrata». Così si sfogaSalvatore, figlio di Francesco Vecchio, manager catanese, ucciso a 52 anni il 31 ottobre 1990. Uno dei tanti omicidi senza colpevoli. «Il 70% dei familiari di vittime di mafia non sa la verità o ne sa solo una parte – denuncia don Luigi Ciotti – eppure sono, alla marcia di Bologna, con le loro fatiche e le loro speranze proprio per chiedere verità».

Una verità che cerca ancora Mario Congiusta, papà di Gianluca, ucciso a Siderno nel 2005 ad appena 32 anni. «Senza la verità resta solo il dolore. No, non provo odio. Per questo vado in carcere a incontrare i detenuti, perché non succeda mai ad altri quello che è successo a me. Neanche all’assassino di mio figlio. L’avermi strappato un pezzo di cuore mi dà questa forza. E questo mio comportamento mette un tarlo in queste persone».

Quanta forza, malgrado l’immenso dolore. Come quello di Vincenzo Agostino. «Noi cerchiamo verità, non vendetta. La verità su chi mi ha tolto il bene di un figlio, di una nuora, di un bambino che non ho mai conosciuto». Era il 5 agosto 1989 quando a Villagrazia di Carini venne ucciso a 28 anni l’agente di Polizia Antonino Agostino con la moglie Ida, 19 anni, incinta di 5 mesi. Da allora Agostino non si taglia né barba né capelli, «fin quando non avrò verità. Mio figlio aveva giurato fedeltà allo Stato, che invece alcune mele marce hanno tradito. Per questo siamo qui a Bologna, tante mamme e papà».

Ma anche sorelle come Susy Cimminiello. Il fratello Gianluca è stato ucciso nel 2010 a Casavatore. Pochi giorni fa l’assassino è stato scarcerato per decorrenza dei termini. «Io rispetto il diritto dell’accusato – dice Susy con voce tremante – ma cosa prevede la legge per le vittime? Quanto deve essere lungo il tempo per avere giustizia soprattutto quando si sa la verità? Ho due figli, avevo il diritto di vivere da mamma, da sorella, da cittadina e invece devo correre dietro ai processi».

Dolore e impegno. «Vogliamo una giustizia veloce per chiudere una pagina brutta e poter aiutare gli altri affinchè non accada più». C’è chi verità e giustizia l’ha avuta e da questo parte il suo impegno. Matteo Luzza sa chi ha ucciso e perché suo fratello Pino, 22 anni, nel 1994 ad Acquaro. «Un senso alla morte violenta non si riesce a dare mai, ma la verità mi dà più forza. Mi ritengo fortunato e per questo ora ho il dovere di essere accanto a chi la verità non l’ha avuta». E si va avanti. «Non puoi solo puntare il dito – riflette Salvatore Vecchio –. Sono una vittima ma anche cittadino e padre e ho il dovere di dare il mio impegno per quei valori per i quali mio papà è morto».