Avvento / La profezia che domanda ascolto…


Provare a interrogare la qualità del nostro ascolto, secondo una bella pagina di Bonhoeffer, in un tempo di Avvento in cui siamo invitati a scrutare l’azione dello Spirito
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In questo tempo di Avvento, in cui risuonano parole di antichi profeti, mentre il tempo che attraversiamo è segnato dalla sete e dalla ricerca di parole e gesti che indichino un presente vivibile e un futuro di speranza, siamo spesso invitati alla vigilanza e, di conseguenza, all’ascolto. Sempre la profezia domanda ascolto ma, spesso, non lo trova. Eppure non si chiude l’invito all’ascolto, che torna con insistenza nella Parola: «Ascoltatemi, voi che siete in cerca di giustizia, voi che cercate il Signore» (Is 51,1). Così l’invito è a scrutare, a porgere orecchio, per cogliere l’azione di Dio nella storia: «Udranno in quel giorno i sordi le parole di un libro; liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno» (Is 29, 18). Difficile, molto difficile l’arte dell’osservare, del cogliere e del rac-cogliere.

Varrà la pena, forse, chiederci allora come è la qualità del nostro ascolto e anche, con lealtà, interrogarci se per caso abbiamo sete di profezia senza però aver il coraggio, il desiderio, la forza di metterci in ascolto della storia che abitiamo e delle relazioni che viviamo. La profezia si innesta là, nella vita quotidiana, e per accoglierla serve un orecchio attento.

«Il primo servizio che si deve agli altri nella comunione, consiste nel prestar loro ascolto»: così scriveva Dietrich Bonhoeffer in Vita comune (1937), quando la Gestapo aveva chiuso la fraternità di Finkenwalde. Prestare ascolto è ufficio primo del cristiano, dunque: per ascoltare Dio, gli altri e se stessi, secondo la classica triplice direttrice. «Chi non sa più ascoltare il fratello, primo a poi non sarà più nemmeno capace di ascoltare Dio, e anche al cospetto di Dio non farà che parlare. Qui comincia la morte della vita spirituale»: mentre le nostre giornate sono prese molto spesso dal parlare, dal dire, dallo scrivere, e mentre l’ascolto spesso si riduce ad ascoltare distrattamente vocali mandati al cellulare, una sosta silenziosa sulla consapevolezza dell’ascolto potrebbe essere un buon esercizio di Avvento, interrogandoci davvero sulla differenza tra sentire e ascoltare. Anche nella preghiera.

«C’è anche un modo di ascoltare distrattamente, nella convinzione di sapere già ciò che l’altro vuol dire. È un modo di ascoltare impaziente, disattento, che disprezza il fratello e aspetta solo il momento di prendere la parola per liberarsi di lui»: descrive bene qui, Bonhoeffer, l’atteggiamento di troppi cristiani, che già sanno, che già hanno le risposte, non raramente a domande che nessuno ha posto; troppi cristiani che sentono già pensando a dove sta l’errore, a dove è lo sbaglio da correggere. Troppi cristiani che hanno da insegnare il contenuto, nella paura che si perda le verità, senza auscultare i battiti esistenziali della persona che hanno davanti. Non così Gesù di Nazareth, che si invita a casa di Zaccheo prima della sua conversione, e che non chiede nulla al disonesto esattore delle tasse.

In Avvento la Parola ci invita alla vigilanza e all’ascolto: con una vera metanoia esistenziale potremmo essere capaci ancora di scorgere i segni dei tempi e i segni delle nostre vite, soprattutto oggi, quando le parole abbondano, dove la comunicazione è pervasiva. Dire poco, maturare il silenzio, radicarsi nell’ascolto come tensione verso l’umanità e Dio.