Atti: il Vangelo senza confini


Il Vangelo fino ai confini della terra. Testimonianze e missione negli Atti degli apostoli
di: Roberto Mela
commento

Antonio Landi, professore della Pontificia Università Urbaniana, raccoglie e aggiorna sei articoli già pubblicati su riviste specializzate di Teologia e di Esegesi biblica (l’ultimo è ancora in stampa). La centralità del tema studiato nell’ambito del libro degli Atti ne fa un commentario in nuce della struttura essenziale che lo sostiene. Se esso si caratterizza come il libro della “corsa della Parola”, va ricordato che questa avviene sulle gambe degli apostoli e dei testimoni…

Struttura del libro
Un’Introduzione (pp. 7-19) fornisce gli elementi essenziali di narratologia per individuare in Atti la trama con le sue caratteristiche di esito di riconoscimento o di soluzione, i momenti di suspense, la narrazione per episodi drammatici, il confronto serrato fra i personaggi (sygkrisis) ecc.

I capitoli si incentrano su aspetti fondamentali del libro. Il primo analizza il passaggio “Dal riconoscimento alla testimonianza. Il riconoscimento della risurrezione in Luca e Atti” (pp. 19-48). Il secondo studia “Lo statuto testimoniale degli apostoli in Atti” (pp. 49-83), mentre il terzo si sofferma sul tragitto “Da Gerusalemme ai confini della terra. I destinatari della missione cristiana in Atti” (pp. 83-103). L’analisi di “Pietro, una figura identitaria per la cristianità lucana” (pp. 103-128) precede l’approfondimento vertente su “L’inclusione dei gentili” (pp. 129-148). Chiude il volume un capitolo dedicato a “Paolo e lo Spirito in Atti” (pp. 149-172).

Le Conclusioni (pp. 173-176), precedono le sigle (pp. 177-178), la Bibliografia (pp. 179-198), l’Indice dei nomi (pp. 199-202), l’Indice delle citazioni (bibliche, pp. 203-222; non bibliche, pp. 223-225).

È inevitabile che qualche concetto o analisi compaia più volte nella trattazione, data la natura originaria del libro, ma sempre interessanti e mai ripetitivi in modo pedissequo. I tre capitoli inziali sembrano di interesse generale, e ci concentriamo su di essi. Gli altri trattano figure e temi più particolari.

Dal riconoscimento alla testimonianza
È noto il fatto che la conclusione del Vangelo di Luca e l’inizio di Atti si sovrappongano con il fenomeno dell’embricatura, per cui alcune tematiche sono riprese due volte. Dal riconoscimento del Risorto si passa alla testimonianza del Risorto.

La tomba vuota è un indizio insufficiente per testimoniare la risurrezione di Gesù. Per poter capire i fatti avvenuti, occorre riattivare la memoria delle parole di Gesù dette in precedenza e che si organizzano attorno un “dei”, una necessità salvifica che abbraccia AT e NT. Scritti della Torah, dei Profeti e dei Salmi – seppur con testimonianze a volte molto tenui –, sono preannunci della necessità salvifica della morte e risurrezione di Gesù.

Gli Undici – con altri, probabilmente – sono commensali del Risorto e, ripercorrendo i fatti e compiendo un esercizio di interpretazione ermeneutica, arrivano a scoprire, con la luce dello Spirito, che la risurrezione è un’iniziativa di Dio, pieno compimento di parole e di eventi già presenti nell’AT come tipi (esodo, servo sofferente, salmo di fiducia del giusto nel suo non essere abbandonato nella polvere della morte ecc.).

Già presente all’inizio del Vangelo di Luca con le parole di Giovanni Battista e di Gesù a Nazaret, la salvezza assume un carattere universale. Essa comprende la conversione e il perdono dei peccati a partire da Gerusalemme stessa.

Come in tutte le cose, l’annuncio dei discepoli-testimoni, ampliato in spazi più universali, suscita una duplice reazione: divisione e incredulità, sia tra i gentili (cf. At 17, Areopago) sia tra gli ebrei. Ad Antiochia di Pisidia, Paolo (con Barnaba) denuncia il rifiuto del vangelo da parte dei giudei con parole di interpretazione teologica: «Era necessario che a voi per primi fosse annunciata la parola di Dio ma, poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani» (At 14,46).

Il rifiuto dei giudei della diaspora sarà l’occasione storica, non teologica, dell’annuncio ai pagani. L’annuncio del vangelo ai pagani era un deliberato progetto divino, fondato sulle Scritture di Israele (cf. Is 49,6b citato in At 13,47), legittimato dalla cristologia lucana, secondo cui Gesù è la salvezza che Dio ha predisposto per tutti popoli, «luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo Israele» (Lc 2,32).

«Anch’essi [= i pagani] ascolteranno», sono significativamente le ultime parole di Paolo a Roma (At 28,38). Col ritratto di Paolo che predica senza impedimenti a Roma si conclude l’opera doppia di Luca. Gesù risorto è vincitore sulla morte. «Riconosciuto nei segni della parola, annunciata e compresa, e del pane, spezzato e condiviso, il Risorto è testimoniato dai suoi apostoli da Gerusalemme fino ai confini della terra, perché chi ascolta possa convertirsi e credere nel Cristo vivente, e così ottenere la salvezza» (p. 47).

La finale aperta di Atti chiede al lettore di continuare la testimonianza di Pietro, di Paolo e degli altri apostoli.

Lo statuto testimoniale degli apostoli in Atti
Nel libro degli Atti, gli apostoli (che per Luca sono solo i Dodici, integrati con Mattia dopo la morte di Giuda) assumono uno statuto testimoniale caratteristico. Gli incaricati della missione sono soprattutto il collegio dei Dodici. Già in Lc 24,28 dal Risorto essi sono chiamati martyres di tutte queste cose: vita, insegnamento, passione, morte e risurrezione di Gesù. A loro e ai due discepoli di Emmaus Gesù risorto apre le sacre Scritture e le loro menti affinché le capiscano, sappiano riconoscere nella risurrezione il compimento di tutto ciò che era stato detto e fatto da Gesù e predetto nelle Scritture.

Sono soprattutto la passione e la risurrezione di Gesù il nucleo della proclamazione apostolica che gli apostoli devono attuare come testimoni e interpreti/profeti. Devono essere testimoni attendibili dei fatti e interpreti corretti del loro significato salvifico. La novità assoluta dell’incarico sta nel collegare l’annuncio alle genti della conversione in vista della remissione dei peccati con l’adempimento delle Scritture (Lc 24,46-47).

La missione salvifica inaugurata dal Battista e compiuta da Gesù si prolunga con la predicazione degli apostoli. L’autorità che la fonda è quella di Gesù e la potenza che la anima è quella dello Spirito Santo promesso. Quanto è accaduto a Gesù corrisponde alle promesse fatte da Dio ai padri. Pietro lo testimonia a Gerusalemme e nel sinedrio, come farà coraggiosamente anche Stefano, perdendovi la vita in un furibondo linciaggio.

Pietro aprirà per primo la strada dell’evangelizzazione ai pagani in casa di Cornelio. Paolo porterà l’annuncio ai confini della terra. Progressivamente la missione apostolica si cristologizza. In Lc 9,2 essa ha per oggetto il Regno di Dio, mentre in At 1,8 il Risorto identifica se stesso con il contenuto della predicazione.

At 1,8 indica un percorso geografico-teologico-testimoniale di progressiva universalizzazione della testimonianza e dei destinatari da raggiungere, oltre ogni prospettiva nazionalistica. Lc 2,30-32, ricorrendo al linguaggio di Is 42,6 e 49,6b, universalizza il messaggio della salvezza alle genti, legittimate da Luca sulla base delle Scritture. At 2,5, con la menzione di ogni etnos presente a Gerusalemme, indica l’universalità dei destinatari dell’annuncio salvifico. Lo Spirito Santo sarà effuso «su ogni carne» (At 2,17) e alla salvezza potrà ambire «chiunque invocherà il nome del Signore» (At 2,21).

Lo Spirito Santo è l’agente che fa passare potentemente dall’essere all’agire, alla prassi della testimonianza. La promessa da attendere annunciata dal Risorto (Lc 24,49; At 1,4) è lo Spirito stesso con cui saranno battezzati i Dodici e anche altri a Pentecoste. Lo Spirito ha una forza potente (dynamis) che è alla base dell’annuncio, della testimonianza fatta con parrhesia/franchezza, del battesimo dei primi credenti, della forza testimoniale degli apostoli sotto processo e di Stefano di fronte al Sinedrio.

Il cammino degli apostoli è tratteggiato da Luca in stretto confronto/sygkrisis col percorso compiuto da Gesù nel Vangelo. Essi attuano una testimonianza collegiale, anche quando parlano singolarmente. Questo avviene anche tramite prodigi ed eventi miracolosi. La testimonianza assume, infine, l’aspetto della veridizione, in quanto l’apostolo testimonia con tutta la sua vita, incluse persecuzioni, incarcerazioni, sofferenze mortali e uccisioni.

La missione dei testimoni è posta in tal modo sotto il segno della croce.

Testimoni di me
Se in Lc 24,47 gli apostoli devono esser testimoni «di tutte queste cose», in At 1,8 il Risorto dice loro che «di me» sarete testimoni. Questo particolare – secondo Landi – richiama la convocazione d’Israele davanti alle nazioni «per deporre a favore della realtà e dell’unicità di Dio; in Is 43,10.12; 44,8 il popolo è invitato a rendere testimonianza dell’unico vero Signore, per avere sperimentato la sua azione salvifica (Is 43,11) e la sua benevola premura (Is 44,6-7)». Israele è chiamato a testimoniare l’unicità di Dio di fronte all’idolatria dei popoli. Non esiste altro salvatore all’infuori di YHWH (Is 43,11-12). La salvezza, riconosciuta come prerogativa del Dio di Israele, è riletta in chiave cristologica ed è parte dell’annuncio apostolico. Esiste quindi un rapporto tipologico tra la testimonianza d’Israele alle genti e la missione degli apostoli, così come descritta da Luca-Atti» (p. 72).

Gli apostoli realizzano così la tipologia del servo isaiano. In Lc 24,48 il Risorto riecheggia Is 43,10.12; 44,8) caratterizzando l’identità degli apostoli come testimoni di Cristo; in At 1,8 il Risorto riecheggia Is 49,6b e caratterizza gli apostoli grazie all’estensione della missione apostolica fino ai confini della terra.

Paolo il «Testimone»
Il ritratto testimoniale di Paolo è quello di una persona che, da persecutore, diventa testimone con la sua parola, i segni prodigiosi, il suo annuncio, il suo imprigionamento sulla stregua di quello di Gesù.

Per Luca, Paolo non è uno dei Dodici, non avendo accompagnato Gesù dal battesimo di Giovanni Battista alla risurrezione. Ma, a partire dall’evento di Damasco, egli è abilitato a vincere la sua cecità e ad annunciare Cristo soprattutto per la via della sofferenza. Anche il suo percorso in Atti è costruito narrativamente da Luca con una sygkrisis serrata con le vicende di annuncio, prodigi, sofferenza e imprigionamento di Cristo, oltre che con il percorso degli altri apostoli.

Alla stregua degli apostoli (Lc 24,48; At 1,8), Paolo è costituito testimone su iniziativa del Risorto (At 9,15, 22,14; 26,16). La sua missione consiste nel rendere testimonianza a Gesù (At 9,15; 22,15; cf. 26,22-23), così come gli apostoli sono chiamati ad annunciare la passione e la risurrezione del Cristo e la salvezza a tutte le genti (Lc 24,47).

Luca non conforma la missione di Paolo a quella dei Dodici, ma in ogni caso Paolo è «testimone/martys» (At 22,15; 26,16). «L’incontro col Signore risorto [a Damasco] configura l’identità e la missione di Paolo, scelto come testimone per annunciare il suo Nome a Israele e alle genti (…) L’incontro con il Cristo risorto e glorificato, sulla via di Damasco, ha segnato nella vita di Saulo una trasformazione radicale sul piano dell’essere e dell’agire: egli non è più l’accanito persecutore, che inveisce scontro i seguaci della Via (8,3; 9,1-2), perché è stato scelto dal Risorto per diventare un araldo (9,15); non ritiene più suo dovere operare attivamente contro il nome di Gesù il nazareno (26,9), poiché è stato investito della missione di rendere testimonianza in pubblico al nome di Gesù (9,15)» (p. 74).

Non c’è subordinazione della missione di Paolo a quella dei Dodici. Paolo si incontra tre volte con la comunità di Gerusalemme. Luca descrive una continuità senza per questo sminuire o tacere le differenze. At 1–12 ha come protagonista Pietro. At 13–28, l’apostolo Paolo.

Secondo lo studioso Aletti, sembra che in Atti si assista a una progressiva «evoluzione della testimonianza al Risorto: dall’attestazione della realtà della risurrezione (Pietro), si passa al racconto di un incontro che ha cambiato una vita ed è divenuto il punto di riferimento per eccellenza, per sé e per gli altri (Paolo) (p. 78).

Con la figura di Paolo, Luca passa da una testimonianza collegiale a una maggiore individualizzazione dell’annuncio evangelico. La figura di Paolo è inoltre caratterizzata in modo particolare dal tema della sofferenza. Il ripudio da parte dei giudei e le fasi del processo a cui è sottoposto ricalcano da vicino quelli del Cristo. Nella sofferenza del discepolo (Paolo) si riverbera la passione del maestro (Gesù) (p. 80).

Per quanto riguarda Paolo, è utile riportare il bilancio conclusivo tracciato da Landi. «In ultima analisi, è possibile ritenere che Luca preferisce attribuire a Paolo l’appello di testimone, anziché quello di apostolo, non per subordinarlo ai Dodici (…) né per equipararlo a essi (…), ma per evidenziare il suo ruolo nella storia della salvezza. Di fatto, se gli apostoli garantiscono la continuità tra il ministero terreno di Gesù e la Chiesa primitiva, Paolo è presentato come il testimone dell’universalizzazione della salvezza alle genti» (p. 81).

Riprendiamo anche le considerazioni conclusive esposte da Landi circa la testimonianza degli apostoli. «In Atti la testimonianza degli apostoli si presenta come esclusiva e autorevole: esclusiva, perché essi non solo hanno preso parte al ministero pubblico di Gesù e condiviso la sua predicazione (cf. Lc 24,44), ma hanno anche assistito, seppur da lontano, alla sua crocifissione [NB: in nota egli rimanda ai gnōstai di Lc 23,49 e al fatto che Luca non menziona la fuga degli apostoli]; inoltre, lo hanno visto risorto e hanno udito le sue parole (24,36-47). Tuttavia la loro testimonianza non si esaurisce in una semplice esposizione di bruta facta, ma ne sono soprattutto interpreti autorevoli, perché il Risorto ha aperto la loro mente alla comprensione delle Scritture e ha infuso in loro lo Spirito» (p. 71).

Chiesa e Israele
Un accenno al c. III “Da Gerusalemme ai confini della terra. I destinatari della missione cristiana in Atti”. L’autore ricostruisce il percorso della testimonianza degli apostoli e di Paolo fra gli ebrei a Gerusalemme e nella diaspora e agli ebrei e ai pagani delle varie regioni, fino a Roma.

Landi si domanda, quindi, se Chiesa e Israele rappresentino in Atti una tensione irrisolta. Ricorda i segni di continuità (tempio, divinità, Torah, missione). Luca adotta il pattern isaiano per modellare, da un punto di vista narrativo e teologico, la missione della Chiesa. «Nella prospettiva lucana, la Chiesa risponde alla vocazione dell’Israele escatologico, inteso come popolo di Dio che, radunato dallo Spirito, ha lo scopo di proclamare a tutte le genti la salvezza realizzata da Dio per mezzo di Gesù Cristo» (p. 91).

Chiari, però, sono anche i segni di rottura: il tempio, la dottrina della giustificazione senza la necessità della circoncisione, l’ermeneutica cristologica delle Scritture ecc.

L’evangelo annunciato ai gentili non è tuttavia una svolta inattesa. «In realtà, non si tratta di una scelta improvvisa ne può esser rubricata come diretta conseguenza del rifiuto di Israele di accogliere il messaggio evangelico. La destinazione universale della salvezza è iscritta nell’identità (Lc 2,32) e nella missione di Gesù di Nazaret (Lc 4,16-30); di conseguenza, contraddistingue anche l’impegno testimoniale della comunità cristiana (Lc 24,47; At 1,8). Luca ha premura di segnalare la svolta missionaria al mondo gentile in alcuni episodi-chiave del suo racconto…» (p. 95).

A partire dall’operato di Pietro presso Cornelio e poi con l’apostolato di Paolo si attua la progressiva evangelizzazione del mondo gentile, con ripetuti esiti di ostilità e di apertura.

Per un bilancio conclusivo sul tema sul rapporto tra Israele e Chiesa in Atti lasciamo ancora la parola all’autore. «In realtà, il dittico lucano non ha lo scopo di caratterizzare la comunità cristiana come una comunità isolata, in contrapposizione con l’Israele incredulo, intenta a ingraziarsi la simpatia delle autorità imperiali. Il programma teologico che Luca si prefigge d’illustrare a beneficio dell’illustre Teofilo (Lc 1,3) è incentrato sull’ambizioso progetto di operare un’integrazione che includa giudaismo e gentilità, presentando il cristianesimo “sia come compimento delle promesse inscritte nella Scrittura sia come risposta alla ricerca religiosa del mondo greco-romano”» (p. 102, con cit. di Marguerat, La prima storia, 94, corsivo di Marguerat).

Il libro di Atti è molto amato dal popolo credente e da molti appassionati di storia, letteratura, e di altri interessi culturali. I saggi del prof. Landi approfondiscono a livello di Teologia biblica un elemento cruciale del testo biblico, quello della testimonianza, decisivo anche per la vitalità testimoniale della Chiesa del nostro tempo.

Antonio Landi, Il Vangelo fino ai confini della terra. Testimonianza e missione negli Atti degli Apostoli (Studi sull’Antico e sul Nuovo Testamento s.n.), San Paolo, Cinisello B. (MI) 2020, pp. 240, € 22,00, ISBN 9788892222793.

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fonte: settimananews