Ateismo, dall’odio all’indifferenza

«L’ateismo, in quanto respinge o rifiuta l’esistenza di Dio, è un peccato contro il primo comandamento». (Catechismo 2140)
«Molti nostri contemporanei non percepiscono affatto o esplicitamente rigettano l’intimo e vitale legame con Dio, così che l’ateismo va annoverato fra le cose più gravi del nostro tempo» (Gaudium et spes 19). La svolta antropologica della modernità – che ha polarizzato l’attenzione sull’uomo – ha avuto come esito degenere l’allontanamento da Dio, che ha portato all’ateismo moderno. Quasi che l’emancipazione dell’uomo comporti la negazione di Dio. È ciò che hanno fatto credere il materialismo pratico, che costringe l’uomo, le sue aspirazioni e prospettive, nei confini del tempo e dello spazio; l’umanesimo ateo, che lo finalizza a se stesso, portandolo a considerarsi «unico artefice e demiurgo della propria storia» (Gs 19); il naturalismo antropologico, che lo priva di spiritualità, pensandolo come null’altro che materia ed energia. Queste distorsioni dell’umano distolgono l’uomo da Dio e diventano terreno di coltura dell’ateismo contemporaneo, caratterizzato dalla sua forma pervasiva, che lo fa diventare fenomeno di cultura e di costume.
Questo risvolto culturale contribuisce all’evoluzione agnostica dell’ateismo odierno. L’agnosticismo ne è la forma debole, aproblematica. Non l’ateismo aggressivo e militante – l’ateismo prometeico – che combatte Dio e la religione. Neppure l’ateismo tragico di un’umanità e un mondo senza redenzione né speranza. Ma l’ateismo indifferente che ignora Dio, senza porsi questioni di senso o interrogativi di vita. L’ateismo scettico che diffida d’ogni rivelazione e segno di presenza di Dio. L’ateismo di un mondo obeso e consumista (consumer society), dove «la nave – la metafora è di Kierkegaard – è in mano al cuoco di bordo e ciò che trasmette il megafono non è più la rotta ma ciò che mangeremo domani».
Ateismo e agnosticismo sono peccati ed insieme “strutture di peccato”, per lo spessore culturale che assumono e l’habitat sfavorevole e avverso alla religione e alla fede cui danno luogo. Strutture e a habitat cui contribuisce non poco l’opacità di vita dei credenti.

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