Assunzione, il volo della compassione

Il Cielo è il suo trono. Un Cielo che nel suo azzurro turchino non dimentica l’ombra della croce, appena visibile nei giochi di colore dietro a questa Vergine estatica, bellissima, assunta, di Stefania Massaccesi.
Questa giovane artista contemporanea rielabora le sue ardite prospettive caricandole, questa volta, di un profondo senso religioso i cui confini si tendono fra certezza e domanda. L’abito di Maria così denso, così carico di luce solare narra di un mistero che abbaglia, un mistero che si desidera e insieme si teme. Proprio come il sole.

Lei, la Vergine tende le braccia verso quell’infinito che ha tessuto tutta la sua esistenza fin dal concepimento. Apre le braccia Maria, ma mentre la mano sinistra addita già, carica di tensione, la meta ultima della sua esistenza terrena, l’altra mano indugia verso una terra che comprende aver bisogno, ancora, di una Madre.

Ed è proprio questa mano che invita a dirigere lo sguardo verso il basso, verso quella terra che i piedi purissimi di questa Madre–Bambina hanno solcato. E allora la vediamo, lì sotto, stretta nell’abbraccio freddo di monti ombrosi e di bagliori sinistri di fuoco, Gerusalemme. La città delle aspirazioni di ogni uomo, la città cui Dio ha donato molto e ha chiesto molto di più.

Narra un midrash che dieci porzioni di bellezza aveva Dio da assegnare al mondo. Ne diede nove a Gerusalemme e una al resto del mondo. Aveva Dio dieci porzioni di scienza: ne furono destinate nove a Gerusalemme e una al resto del mondo. Ma Dio aveva dieci porzioni di sofferenza ne diede nove a Gerusalemme e una al mondo intero.

E le nove porzioni di sofferenza si declinano nell’opera della Massaccesi dentro il gioco dei colori: i bianchi freddi e taglienti, i rossi accessi e violenti e le ombre lunghe e blu di una notte che prima di essere condizione temporale è condizione spirituale.

Questa notte però conosce un approdo, anzi un punto di luce altissimo. L’artista ce lo vieta. Non ci permette di vedere la fonte di questa purissima luce. In modo naturale siamo indotti a pensare alla luna, tanto argenteo è il raggio di luce che squadra gli edifici e accarezza il dorso delle colline gerosolimitane, invece no. Non è quello il punto sorgivo della luce ma è più in su, i piedi della Vergine imbrigliano in certa misura quella luce e ci spingono in alto, più in alto. Ci spingono diritti dentro gli occhi della Madre-Bambina. Là, dove la luce disegna il profilo del collo e della guancia fin su oltre il volto, in quello spicchio di luce purissima che è l’aureola.

Eccola lì la fonte di tanto candore: sono gli occhi di Maria. Così veri, così limpidi, così prepotentemente fissati in quell’attimo eterno. Vorremmo vedere cosa vede. Vorremmo anche noi, che siamo pur tuttavia ancora quaggiù sotto i suoi piedi immacolati, dentro le contraddizioni terribili della nostra personale Gerusalemme, vorremmo anche noi fissare lo sguardo in quella luce eterna che tutto rischiara a dispetto delle nostre interminabili notti di illusione.

Vorremmo, ma rimaniamo qui sotto il riflesso cangiante del suo manto di sole. La donna vestita di sole sale, verso il cielo che l’ha abitata un giorno nella sua maternità. Lei fu, anzi lei è la più vasta dei Cieli. Ebbene questa Platytera, questa Vergine dal grembo che contenne ciò che i cieli dei cieli non seppero contenere, cioè Cristo, nell’opera di Stefania Massaccesi è così umana da farci percepire quei Cieli più vicini, più terreni. Se gli occhi di Maria risplendono già dell’azzurro purissimo del Cielo che la abita, i piedi di lei mostrano di non voler salire.

Ciò che più fortemente mi affascina di questa modernissima Assunta è proprio lo scorcio dei piedi. Maria non vuole salire, i suoi piedi sono colti nell’attimo di chi, sorpreso da un impeto di vento gagliardo che trascina verso l’alto, vuole rimanere. Maria non può abbandonare questa terra così gravida di ombre e contraddizioni. Maria vuole solcare con noi il mare della storia. Ci è compagna, ci è di fianco. Rimane. Ed è in questo rimanere di Maria che Dio, il quale è confinato dai più nel suo purissimo Cielo, si fa materno e vicino. Dio ci è noto fra desiderio e timore, fra il volo ardito e la compassionevole discesa di questa Vergine Madre.

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