Anche studio e politica sotto i minareti

DI CAMILLE EID

Esistono due termini arabi per indicare la moschea: masjid (passato in spagnolo sotto la voce “mezquita” e da lì nelle varie lingue europee) e jami’, più diffuso nel mondo arabo-islamico. La prima parola deriva dalla radice s-j-d che significa «prostrarsi», la seconda dalla radice j-m-’ che significa «radunare». La moschea è il luogo dove la comunità si raduna per affrontare tutto ciò che la riguarda: la preghiera, ma anche le questioni sociali, culturali, politiche. Ritenere la moschea una “chiesa islamica”, un luogo di culto per antonomasia è perciò sbagliato e limitativo. L’istituzione della moschea non compare esplicitamente nel Corano, dove si parla invece di preghiera. All’inizio, la “ salat” (preghiera quotidiana) si svolgeva dove capitava, molto spesso all’esterno. Solo dopo l’Egira di Maometto a Medina, i suoi seguaci cominciano a incontrarsi a tale scopo nella corte della sua abitazione. La moschea non ha avuto storicamente una vocazione univoca. Essa funziona come spazio insieme civile e religioso dedicato all’incontro, alla lettura, alla discussione, all’insegnamento del Corano e dell’esegesi, all’amministrazione della giustizia e, certamente, alla preghiera. Dal punto di vista architettonico, la dimensione religiosa di una moschea è sottolineata dalla presenza di un minareto (dall’arabo “ manâr”) dal quale il muezzin lancia l’appello alla preghiera. I minareti, inizialmente poco più alti delle case vicine, hanno assunto nella storia una funzione simbolica, di affermazione della presenza islamica, e talvolta una funzione politica per sottolineare la superiorità dell’islam sulle altre religioni, anche se il loro scopo originale era di permettere che la voce del muezzin raggiunga chi abita nei dintorni. Ci sono poi il ‘ mihrâb’, l’abside o la nicchia che indica la ‘ qibla’, ossia la direzione di preghiera verso la Mecca, e il ‘ minbar’, il pulpito dal quale l’imam, la persona che guida la preghiera comunitaria pronuncia la ‘ khutba’, cioè il discorso del venerdì, che non è assimilabile all’omelia tenuta dal sacerdote durante la Messa poiché in essa vengono affrontate le questioni sociali, politiche e religiose più importanti del momento. Anche per questo in molti Paesi musulmani il testo della “ khutba” deve essere preventivamente sottoposto alle autorità civili. Va precisato che nessuno di questi tre complementi (manâr, mihrâb e minbar) è strutturalmente indispensabile alla definizione della moschea. In altre parole, una moschea può essere un qualsiasi edificio. Significativa inoltre la decorazione, solitamente giocata su più livelli (geometrico, floreale, astratto) e sublimato dall’immancabile epigrafia di alcuni versetti del Corano.

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