La riflessione etica sugli animali non è una novità assoluta. Infatti già Tommaso d’Aquino e Kant hanno affermato che l’uomo non deve distruggere il bello della natura né tormentare gli animali, perché altrimenti «resta attutita in lui una disposizione naturale molto giovevole alla sua moralità nei rapporti con i suoi simili». Tale fondazione del rispetto per gli animali è insufficiente in quanto essi sono considerati solo come strumento di educazione morale dell’uomo. Una base più adeguata per questa responsabilità non pensa agli animali solo come mezzi di educazione dell’uomo, ma deve partire dal rispetto morale dell’uomo verso se stesso.
Come argomenta Eberhard Schockenhoff, teologo morale tedesco, «il principio secondo cui bisogna aver riguardo della vita degli animali e della loro sensibilità per amor loro, e che non bisogna quindi farli soffrire, perché si tratta delle loro sofferenze non solo è perfettamente conciliabile con il principio razionale dell’etica, ma è anche da questo richiesto».
Ad esempio, in un uomo malato di tumore la sofferenza è accresciuta dal fatto che tutta la vita viene sconvolta dalla conoscenza del decorso della malattia, e la vita cambia anche molto tempo prima che subentrino le sofferenze fisiche. Questa differenza non conduce però a una svalutazione del dolore animale, in quanto la coscienza della guarigione o della liberazione da una condizione di sofferenza portano l’uomo a sperare, mentre per l’animale che soffre “nel momento”, non avendo coscienza del futuro, la vita viene a coincidere con il dolore. Per conseguenza, cresce l’urgenza di evitare il dolore agli animali.
È questo il fondamento della legittimità della loro uccisione, ove necessario: non essendo esseri umani non hanno un vero e proprio diritto individuale a vivere da rispettare in maniera incondizionata come accade per l’uomo. Quando esiste un conflitto tra diritti degli animali e diritti dell’uomo sono questi ultimi a prevalere e ciò consente di sacrificare la vita animale per salvare, proteggere, conservare e promuovere la vita umana personale.
In questa prospettiva si giustifica anche l’effettuazione di esperimenti sugli animali, che è la seconda grande questione etica nel loro trattamento. La sperimentazione scientifica sugli animali coinvolge un numero enorme di animali, che vengono usati nella ricerca sanitaria e farmacologia, ma anche in campo militare, cosmetico, e persino per i detersivi. Il numero stimato di animali usati per le ricerche è di oltre cento milioni di esemplari ogni anno. In base ai criteri etici sopra esposti, la maggior parte di tali esperimenti va ritenuta illecita.
Ad esempio, alcuni farmaci vengono studiati soltanto per una maggiore convenienza economica e non per effettive esigenze terapeutiche. In questo caso la somministrazione di sostanze nuove agli animali produce sofferenze non necessarie alla salvaguardia della vita umana. Basta questa considerazione per rendersi conto che il tema si presenta come molto controverso, e ciò da un punto di vista non solo bioetico, ma anche strettamente scientifico.
Su quest’ultimo piano esiste un’opinione che afferma, spesso provocatoriamente, che la sperimentazione sugli animali sarebbe metodologicamente scorretta e, in definitiva, inutile: il suo solo scopo sarebbe il compimento di una specie di assicurazione, per permettere la successiva sperimentazione sugli uomini. Si tratta di affermazioni di tale portata che, se risultassero vere, porterebbero alla fine della riflessione sulla materia. Ma le cose non stanno così: la sperimentazione sugli animali, ha una reale validità scientifica, come più volte ribadito anche dal Comitato nazionale per la bioetica.
Tale primato, che non è solo fattuale, ma primariamente etico, costituisce il fondamento della giustificazione, peraltro non illimitata, della subordinazione all’uomo di ogni altro vivente. Ma si tratta di una subordinazione che non esclude che tra tutti gli esseri viventi si dia una sorta di radicale e costitutiva solidarietà, che le persone umane avvertono in modo intuitivo ed emozionale. Il primo aspetto di grande rilievo etico è lo studio del dolore negli animali.
Dal punto di vista scientifico c’è discussione sull’esistenza di facoltà percettive e strutture cognitive negli animali che elaborino il dolore. È certo, però, che per gli animali si può usare la terminologia del dolore, della sofferenza e dell’angoscia, anche se rimangono zone di chiaro-scuro. Perciò si può assumere correttamente la posizione prudenziale, cioè quella che tutela gli animali. L’assunzione di questa posizione è la base per un generale miglioramento della condizione animale. Il processo di rispetto deve continuare e toccare le motivazioni e il valore dei fini per cui gli animali vengono usati (aspetto assiologico). È perciò necessario operare una gerarchizzazione degli obiettivi per cui vengono usati gli animali e porla in relazione con la “quantità” di sofferenza che il procedimento comporta.
In termini operativi ciò significa che la sperimentazione e l’utilizzazione a fini commerciali deve evitare condizione di stress, dolore, angoscia, sofferenza nell’animale su cui si compie la procedura di sperimentazione o da cui si trae un elemento di utilità economica. Le norme che saranno emanate in coerenza con questa posizione possono anche essere viste, dagli operatori scientifici ed economici, come una indebita intrusione nel campo di autonomia delle scienze e del libero mercato.
Ma si può tranquillamente affermare che la soluzione normativa di questioni scientifiche ed economiche controverse non è un uso demagogico del diritto, ma piuttosto espressione di una visione scientifico-economico-filosofica avanzata, consapevole che anche nella scienza e nell’economia si danno punti di vista etici diversi e che l’impresa scientifica e l’impresa economica non possono essere indipendenti dal controllo sociale.