Al Cairo l’oasi è in stazione

Scene di vita più o meno quotidiana, nel ventre del Cairo. Una mamma sale su una carrozza, il figlioletto tenuto per mano. Sguardo torvo, quello dei vicini. Lei si chiude a riccio, come a difendere il suo piccolo, lo stringe a sé, volge gli occhi verso il basso, non li stacca dai suoi piedi, per non incrociare occhi altrui, fin quando è tempo di scendere. E ancora: un uomo sale sul treno, due poliziotti gli piombano addosso, lo portano fuori di peso, lo riempiono di botte. Regole infrante, in entrambi i casi. Regole ferree, di osservanza islamica. Due carrozze, solo per donne. Quelle centrali, la quarta e la quinta di ogni convoglio, nessuna deroga, se non dopo le nove di sera e solo sul vagone numero 5. Regole ferree, come se ne dettano in altri Paesi a maggioranza musulmana. Con una differenza, sostanziale. Donne sole sulla metro ma non su altri mezzi di trasporto, nella capitale egiziana. E allora, è come ritrovarsi in un’oasi di pace, lontano dagli sguardi degli uomini, soprattutto dalle loro mani e dalle loro pulsioni. Altrove, un problema grave: molestie sessuali, un’autentica piaga, in un posto dove si predica bene ma si razzola male. La metro azzera (o, quanto meno, riduce) i problemi delle donne, locali o occidentali che siano. Una salvezza, non solo per loro. Un salutare rifugio, per tutti. Lontane dagli uomini, le donne. Lontani dal traffico, i cairoti in generale. Fuori, un inferno. Strade zeppe di auto, clacson impazziti, code ai semafori, aria satura di scarichi avvelenati, come se la gente avesse deciso di trasferire tra le vie della città quella libertà che finora non ha quasi mai avuto. Stretto nella morsa delle autovetture, sei all’aperto e quasi non vedi nulla, né il cielo né altro. Solo auto, comune denominatore di ogni angolo del Cairo, nemiche giurate di vigili che fanno gli straordinari respirando veleno. La metropolitana, un salutare sollievo, un luogo dove (strano a dirsi) respirare a pieni polmoni, malgrado l’aria appiccicosa, il caldo asfissiante, l’umidità soffocante, solo in poche stazioni alleviate da rinfrescante aria condizionata. La metro, un prezioso conforto, nonostante tutto. Dovesse fermarsi, ci sarebbe un’altra rivoluzione, a detta di qualcuno. Il Cairo e la sua metropolitana: la prima del continente africano (ce n’è solo un’altra, ad Algeri), un sistema minuscolo rispetto alle altre grandi capitali del pianeta, ma con le sue peculiarità, che la rendono unica. Ci si trova pace e tranquillità, nella metropoli dove trasporti e caos sono un tutt’uno. Ci si conforma alle regole, di stretta derivazione islamica. Ci si incrocia la storia, tra passato e presente. Nomi che restano, mai cancellati dal tempo e dagli eventi. E altri che scompaiono, sotto il peso del nuovo che avanza. Fermate che ricordano potenti del passato, altre che guardano alle storie del momento. Prima, saltavi da una linea all’altra e navigavi lungo lo snodo del potere egiziano. Poi, qualche testa è caduta e così le indicazioni che intitolavano al potente una fermata della metro. Puoi ancora scendere a “Sadat” o a “Nasser”, depositari del potere dell’Egitto d’un tempo. Non puoi più scendere a “Mubarak”, che il Paese l’ha governato fin troppo a lungo, con piglio dittatoriale, l’ex pilota d’aerei da cui gli egiziani si sono lasciati governare per trent’anni prima di accorgersi che erano fandonie quelle che lui andava ripetendo e loro seguitavano a credere. Il suo nome, cancellato. Al suo posto, “Martyrs”, a rendere onore a chi s’è immolato nel segno della rivoluzione. Via il tiranno, sostituito dai suoi fieri oppositori: come un passaggio di consegne, che suggellato dalla storia trova un simbolico imprimatur perfino nel regno della quotidianità metropolitana. Due linee, una delle quali in fase di ampliamento, una terza inaugurata da poco (ma solo un breve tratto) e da completare, circa 65 chilometri di binari, 53 stazioni. Al confronto con le grandi metro del pianeta, un viaggio da treno regionale invece che un tragitto da Orient Express. Nulla di capillare, come altrove. Eppure funzionale, malgrado tutto. Una guida per turisti, soprattutto i meno curiosi, quelli che si limitano ai luoghi che sono autentici must, senza guardare troppo oltre. Se scendi a “Sadat” sei in piazza Tahrir, il posto della rivoluzione, il luogo incendiario dell’Egitto che voleva cambiare. Se lasci la metro a “Nasser”, magari ben dopo il tramonto, vuol dire che hai voglia di immergerti nella tentacolare vita notturna del Cairo. “Ataba” è la fermata più prossima al Khan al-Khalili, il famoso mercato nel frammento più suggestivo della Cairo islamica. “Gezira” è giusto sotto il teatro dell’Opera, a poco distanza da Zamalek, il quartiere-isola che sarà servito da una stazione tutta sua della costruenda terza linea. “Muhammed Naghuib” ti guida quasi fin dentro il museo d’arte islamica. “Cairo University” ti conduce laddove dice il nome, quello di una importante università e della più attraente (sotto il profilo estetico) fermata. A “Giza” ci vai per saltare su un treno verso il Nord dell’Egitto ma soprattutto per studiare la storia più antica del Paese e ammirarne le opere, anche se le piramidi sono ben distanti dall’uscita del metro e tocca sobbarcarsi altra strada, in taxi o pullman. E chi voglia immergersi nella quotidianità della minoranza cattolica può arrivare a “Mar Girgis”, lasciarsi la metro alle spalle, girovagare attraverso il Cairo copto, che ti accoglie tra scorci pittoreschi, luoghi di culto e una spiritualità spinta fin quasi all’eccesso, come in una sorta di reazione difensiva allo status di minoranza spesso mal vista, talvolta discriminata.

Ivo Romano – avvenire.it