Aiuti al Terzo mondo. Cercasi regia

La liberazione di Rossella Urru ha riportato alla ribalta il mondo della cooperazione allo sviluppo. Che da quasi un anno, nonostante i tagli subiti dalla Farnesina abbiano portato i fondi al minimo storico, è percorso da venti di cambiamento. Anzitutto, per la nomina nel governo tecnico di Mario Monti – per la prima volta nella storia repubblicana – di un ministro della Cooperazione internazionale, per giunta dello spessore di Andrea Riccardi. In secondo luogo, per la ripresa improvvisa nel marzo scorso dell’iter parlamentare della riforma delle legge 49 che disciplina la materia e che risale al 1987. Ora la proposta bipartisan, firmata dai senatori Giorgio Tonini (Pd) e Alfredo Mantica (Pdl), nata nella passata legislatura e ferma durante il governo Berlusconi, ha avuto il via libera dai responsabili esteri di Pdl, Pd e Udc. Dopo l’audizione delle tre reti degli enti non governativi (Associazione delle ong italiane, Cini e Link2007) e delle parti sociali, è passata a fine luglio all’esame della commissione Esteri di Palazzo Madama. Obiettivo dei relatori è arrivare al Forum nazionale della Cooperazione – 1 e 2 ottobre a Milano – con il testo approvato da un ramo del Parlamento e raccogliere lì ulteriori indicazioni da parte degli attori della cooperazione: le ong, appunto.

Secondo le statistiche ufficiali, sono 1.433 quelle certificate e operanti nella cooperazione, di cui solo 178 attive con prevalenza di fondi pubblici. Gestiscono un miliardo di euro di aiuti di cui, però, solo 100 milioni provenienti dal ministero degli Esteri.

«Uno dei nodi della riforma – spiega Giorgio Tonini – è far confluire quanto l’Italia spende in aiuti per lo sviluppo in un Fondo unitario per la cooperazione e invertire la marcia. Il nostro Paese spende tre miliardi all’anno in aiuti per lo sviluppo (il 75% gestiti dal ministero dell’Economia, ndr) dispersi in mille rivoli: le partecipazioni alle organizzazioni internazionali legate all’Onu, le iniziative multilaterali, le banche di sviluppo come quella africana e asiatica. La nostra proposta è che vi sia un’unica regia politica sull’uso dei fondi e che faccia capo alla Farnesina, che assumerebbe per legge la denominazione di ministero per gli Affari Esteri e la Cooperazione internazionale a significarne l’importanza per una moderna politica estera. In questo modo possiamo ripristinare gli obiettivi del millennio. Tenuto conto che non centreremo lo 0,5 previsto per il 2015, ma ci fermeremo allo 0,16,  dobbiamo puntare allo 0,7% per il 2020. Noi proponiamo che per legge sia nominato un viceministro con delega alla cooperazione. C’è anche una proposta alternativa, lasciare la delega al presidente del Consiglio che delega un ministro senza portafoglio o un sottosegretario per la cooperazione. Il dibattito è aperto».

La soppressione del dicastero attualmente guidato da Riccardi non è in sintonia con il pensiero di molte ong, comprese quelle – maggioritarie – di ispirazione cristiana che ritengono un passo avanti culturale e politico il ministero per la Cooperazione con portafoglio. A giugno il sesto rapporto Aidwatch, elaborato da Concord, (confederazione europea di 1.800 ong, 26 associazioni nazionali e 18 network internazionali) che fotografa ogni anno il quadro della Ue e dei singoli Paesi europei raccomandava esplicitamente all’Italia la riforma della cooperazione chiedendo al Parlamento di supportare al tempo stesso la creazione di un posto di gabinetto per il ministro per la Cooperazione internazionale e l’integrazione. Nonché una riforma complessiva del sistema degli aiuti pubblici allo sviluppo.

La società civile approva senza esitazioni la scelta tenere distinte, nella riforma, la cooperazione dalla diplomazia. «La nostra proposta è creare un’Agenzia per la cooperazione allo sviluppo che tenga i rapporti con le ong e valuti i progetti – commenta Tonini – distinta dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, alla quale resteranno i compiti di tenere i rapporti bilaterali con i Paesi interessati ai progetti. Ma è importante creare professionalità distinte».

Concorda Sergio Marelli, a lungo direttore della Focsiv e presidente delle Ong italiane. «Preferisco un ministero per la Cooperazione, ma in ogni caso è positivo il principio di autonomia della cooperazione dalla diplomazia, già adottato dai nostri partner europei e dalla stessa Ue. Anche se penso che, in tempi di spending review, sarà dura creare una nuova Agenzia».

Timore condiviso dallo stesso Tonini: «La sfida è fare la riforma quasi a costo zero». Il testo prevede inoltre la creazione di un comitato che riunisca i ministeri, le ong, le imprese private e le parti sociali per programmare politiche e progetti, sgravi fiscali per le ong ritenute idonee dall’Agenzia. E poi c’è il riconoscimento del commercio equo e solidale quale strumento di cooperazione, con sgravi a chi collabora con i Paesi produttori. Ma anche queste proposte dovranno passare le forche caudine della spending review.
I due mesi dalla fine di luglio ai primi di ottobre possono dunque essere decisivi per un mondo che in Italia vuole crescere. Sebbene per molte ong cattoliche non ci sia fretta: la nuova  legge è necessaria, ma può anche venire approvata nella prossima legislatura.

Paolo Lambruschi – avvenire.it