L’arte come antidoto alla cupa malinconia

Queriniana – L’in-quieta malinconia (pagine 192, euro 23,00) della scrittrice e saggista Joke J. Hermsen – scontato su Amazon 

Qualcuno ricorderà come nel 2020, durante il primo anno di pandemia, i governi europei si posero il problema di sostenere, oltre ai settori produttivi costretti a chiudere l’attività per diversi mesi, anche il mondo della cultura come una priorità imprescindibile. Più volte ad esempio Merkel e Macron parlarono della necessità di «un’Europa della cultura ancora più forte». A differenza della politica italiana che pone sempre la cultura all’ultimo posto e considera gli artisti quelli «che ci fanno tanto divertire », secondo le parole dell’allora premier Conte, che così si riferiva al mondo del teatro e dello spettacolo più in generale. Ma anche nella tanto virtuosa Olanda non si scherza, tanto che negli anni passati l’allora segretario di stato alla cultura, Halbe Zijlstra, affermò che avrebbe anzi tagliato il budget perché lui di arte non capiva nulla. Così, grazie a questa politica miope, indifferente se non piena di disprezzo verso la cultura, è accaduto che molte istituzioni hanno perso i sussidi, che un terzo delle biblioteche sia stato chiuso, che le lezioni nei musei siano state ridotte, così come le scuole di musica. Le notizie sono riferite in un volume appena tradotto da Queriniana dal titolo L’in-quieta malinconia (pagine 192, euro 23,00) della scrittrice e saggista Joke J. Hermsen, che così commenta: « Apparentemente nella politica predomina l’opinione che l’arte non conta, che la musica, la danza, il teatro e la letteratura non sono importanti, che sono al massimo una forma di intrattenimento e un passatempo, mentre l’arte è di vitale importanza per le persone, come per la società. Sarebbe meglio se gli amministratori politici citassero a volte il commento di Montaigne che “tutto va molto meglio dopo aver letto un’ora”, oppure Josif Brodskij che nel 1993 suggerì al presidente ceco Havel di dare a tutti i cittadini un libro di Camus, Faulkner o Platonov, perché la capacità positiva delle persone si esprime meglio nell’arte».

La rilevanza della cultura in una società sempre più malinconica e depressa come quella occidentale è uno dei punti fermi di questo saggio che ha ricevuto vari premi in Olanda. Leggere, ascoltare musica o soffermarsi a contemplare un quadro hanno una funzione catartica, ci invitano ad esplorare il nostro mondo interiore impedendoci di cadere in quell’alienazione provocata dal nostro modo di vivere, con l’agenda piena e l’occhio sempre fisso allo smartphone. Riservare spazio nella nostra esistenza alla cultura e a momenti di silenzio e tranquillità può essere una chance per scongiurare di diventare esseri “congelati”, incapaci di pensiero critico come gli abitanti della caverna di Platone. « I prigionieri – commenta l’autrice – considerano realtà le ombre che gli oggetti creano sul muro, proprio come i visitatori di Facebook assumono come verità le notizie false postate sulla loro Timeline». Ma è l’indagine sulla malinconia il fulcro di queste pagine, quella malinconia che presenta un duplice volto, fatto di bellezza e di paura. Come ha scritto Italo Calvino, è «la tristezza diventata leggera». Dall’acedia dei Padri del deserto e dei monaci medievali allo spleen dei poeti dell’Ottocento, la malinconia ha sempre accompagnato l’esistenza di uomini e donne ed è stata variamente interpretata. Ma oggi pare essere un sentimento solo negativo, insicuri come siamo e spaventati se pensiamo al futuro che ci sembra sempre più a tinte apocalittiche. Scrive Hermsen: «La malinconia sta perdendo il suo equilibrio. Il suo carattere ambivalente – tristezza unita a consolazione o speranza, dolore congiunto a bellezza o gioia – si perde sempre di più. Cerchiamo ancora l’esperienza di una musica che ci riempia l’animo di malinconia, di un film che in mezzo alle tenebre ci faccia scorgere un filo di luce, ma siamo più riluttanti a trasformare immagini e suoni malinconici in creatività o nella speranza del nuovo».

Il successo notevole di mostre d’arte dedicate alla malinconia, come l’esposizione Mélanconie, génie et folie en Occident

svoltasi qualche anno fa a Parigi e Berlino e quella di Gand su Donkere kamers. Over melancholie en depressie (Stanze oscure. Sulla malinconia e la depressione), o di un film come Melancholia di Lars von Trier, testimoniano l’attenzione dell’opinione pubblica verso un tema che ci attrae ma che ci lascia perlopiù sconsolati, se non impauriti. « La depressione è la malinconia senza il suo incanto», ha detto la scrittrice Susan Sontag e mai sentenza fu più precisa. Più che di malinconia soffriamo oggi di depressione, come risulta dai dati dell’Organizzazione mondiale della sanità. Centinaia di milioni di persone assumono antidepressivi, peraltro non sempre necessari, tanto che si può dire che la depressione è divenuta una malattia fra le più comuni. Ma per Hermsen, se i farmaci sono indispensabili in molti casi di depressione clinica o di gravi disturbi d’ansia, sarebbe preferibile non fermarsi ad un approccio solo medico e farmacologico aprendo una riflessione più ampia. « Nel corso del XX secolo – si legge nel volume – la malinconia fu progressivamente sostituita dal termine medico depressione e, non diversamente dal Medioevo, si perse di vista sia la dualità degli stati d’animo sia la valutazione in parte positiva degli stessi. La depressione è una infermità mentale che viene combattuta con i medicinali. Il termine malinconia nel linguaggio comune e nella cultura tuttavia permane. Se la scienza dichiara privo di senso o inutile un concetto mentre rimane vivo nella lingua, questo la dice lunga sul paradigma scientifico impiegato». La medicalizzazione del problema non è certo slegata dall’ideologia dominante del libero mercato e dagli interessi delle industrie farmaceutiche. Per questo «dovremmo trovare anche nella nostra società così medicalizzata uno spazio nuovo per la delusione, la paura e il dolore, per imparare ad affrontare le nostre perdite e contenere i sentimenti di depressione».

Come ci hanno insegnato i classici antichi e moderni – e qui l’autrice invita a rileggere Kierkegaard, Arendt, Bloch e Appiah – l’essenza della malinconia è un insieme di desiderio di meraviglia e di voglia di cambiamento: « Nella sua forma sana è una pausa contemplativa che precede l’esplorazione di nuove possibilità, mentre la depressione si può qualificare come una condizione di inquietudine causata dallo stress che porta alla paralisi e alla letargia». Per questo dobbiamo imparare a distinguere fra la malinconia patologica alimentata dai tempi turbolenti che stiamo vivendo e la sana malinconia, che può portare alla riflessione su di sé, fino alla compassione e alla creatività, come dimostra l’incisione Melencolia I di Dürer. E, come si diceva all’inizio, puntare su cultura e silenzio come momenti privilegiati per coltivare la nostra interiorità sapendo gestire i nostri stati d’animo.

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