Non tutti gli orfani interessano a media e politica

Pubblichiamo l’editoriale del numero di Noi famiglia & vita in uscita allegato ad Avvenire il 28 febbraio 2016.

IL NUOVO NOI: COME TROVARLO

Da mesi il dibattito politico e mediatico nel nostro Paese è bloccato perché una parte della politica italiana, a sinistra (ma non solo), e gran parte del mondo dei media, ha deciso che non c’è nulla di più importante se non tutelare circa 500 minori che, vivendo all’interno di una coppia omosessuale, “potrebbero” rimanere orfani di un genitore. E, per scongiurare l’eventuale pericolo, bisogna affrettarsi per consentire l’adozione al compagno del genitore biologico.

Si tratta, come abbiamo più volte ribadito sui nostri media e come hanno confermato esperti di diverse sensibilità culturali, di un’ipotesi tanto remota da risultare quasi irreale. Sia perché, per la maggior parte di quei minori, l’altro genitore biologico è comunque presente e disponibile. Sia perché, per determinare una situazione di reale emergenza, sarebbe necessario il verificarsi di una serie di eventualità (morte di entrambi i genitori, impossibilità di far intervenire altri familiari, a cominciare dai nonni) davvero improbabili.
1802EX01.jpg
Eppure si va avanti imperterriti, a dimostrazione che le ragioni che determinano tanta sollecitudine sono di natura ideologica e non rispondono a una reale bisogno del Paese. Perché, a ben guardare, gli “orfani” di cui correre in soccorso non mancherebbero. Come mai per esempio nessun politico ritiene urgente preoccuparsi dei figli della separazione? Circa un milione di minori vittime di di una cultura giuridica che – al di là della volontà del legislatore – ha di fatto escluso dalle loro vite uno dei due genitori. Nove volte su dieci il padre.

È trascorso un decennio dall’entrata in vigore della legge sull’affido condiviso – era il 1 marzo 2006 – e, tramontate tutte le speranze di stabilire dall’alto il principio della bigenitorialità, oggi gli esperti sono concordi nel riconoscere che si è trattato di un mezzo fallimento. Gli addetti ai lavori hanno più volte segnalato che in una società in cui l’impegno educativo risulta sempre più complesso, la decisione di impedire per via legale a uno dei genitori di contribuire alla crescita equilibrata dei propri figli, e molto spesso addirittura di vederli – perché questo è quello che accade – finisce per risultare non solo un grave atto di ingiustizia, ma si traduce in un autentico autogol sociale, con conseguenze che oltretutto determinano nuove povertà e disagi allargati.

Senza considerare che ogni anno ci sono circa 180mila nuovi separati. Non sarebbe stato più urgente tentare di dare risposte efficaci a tutta questa sofferenza? Non c’è anche nei numeri una gerarchia morale che dovrebbe imporre alla politica priorità diverse?

© riproduzione riservata
Avvenire