Due ragazzi su 5 abbandonano la scuola

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Anche quest’anno la campanella della scuola non ha suonato per tutti. In tanti, troppi, non si sono presentati in classe. In Italia la dispersione scolastica è sempre a livelli altissimi, intorno al 17%. Un dato statistico davvero lontano dagli obiettivi europei, che puntano a una riduzione di questo dato di 7 punti percentuali entro il 2020.

Ma quanto ci costano questi ragazzi a perdere? Chi è che si batte per recuperarli? E il mondo della scuola come reagisce? Sono domande a cui ha cercato di dare risposta una ricerca, “Lost – Dispersione scolastica: il costo per la collettività e il ruolo di scuole e terzo settore”, incentrata in particolare su quattro città: Milano, Roma, Napoli, Palermo. L’indagine è stata promossa da WeWorld Intervita, Associazione Bruno Trentin, Fondazione Giovanni Agnelli, con la collaborazione di CsvNet.

Il costo umano ed economico della dispersione scolastica
Il fenomeno dell’abbandono scolastico ha dimensioni allarmanti anche a livello economico e il suo costo per la collettività è stimato tra il 1,4% e il 6,8% del Pil, quindi da 21 miliardi di euro a 106 miliardi di euro, a seconda della crescita del Paese.

Il ruolo del Terzo settore
Il privato sociale ha un’importanza notevole nel recupero dei ragazzi che finirebbero definitivamente espulsi dai circuiti foramtivi. Pur con notevoli differenze da città a città, l’attività principale è l’aiuto nei compiti scolastici (46,5%), seguita a distanza dai centri di aggregazione giovanile (25,6%) e da attività di socializzazione.
La ricerca sottolinea anche come l’intervento del privato sociale porti con sé importanti effetti moltiplicatori dell’investimento, legati indissolubilmente alla presenza di lavoro volontario, una straordinaria e indispensabile risorsa. In media, infatti, per ogni euro speso viene prodotto un valore pari a 1 euro e 60 centesimi.

L’impegno della scuola e la sfiducia degli insegnanti
Gli interventi promossi dalle stesse scuole sono, a loro volta, per lo più rivolti ad azioni di contrasto al basso rendimento degli studenti e in misura inferiore ad attività ludico laboratoriali o all’orientamento. La ricerca, però, rileva la crescente sfiducia degli insegnanti sulla possibilità di contrastare il problema della dispersione, anche a causa del troppo carico burocratico che limita il tempo da dedicare agli studenti. Scuole e Terzo settore, in ogni caso, raramente sembrano mettere insieme i loro sforzi in una collaborazione operativa.

“Scuole e terzo settore rispondono a logiche diverse indipendenti tra loro, ma oggi più che mai abbiamo l’esigenza di lavorare insieme in modo complementare per essere sempre più efficaci nella lotta alla dispersione scolastica – osserva Marco Chiesara, presidente WeWorld Intervita – Per questo Frequenza200 il nostro progetto di intervento contro la dispersione scolastica ha creato una rete nazionale di condivisione delle buone pratiche e promuovere il dialogo tra istituzioni, famiglie, ragazzi e territorio. Solo così crediamo si possa fare davvero la differenza! E con questa indagine chiediamo che le scuole si aprano maggiormente al nostro intervento e, al contempo, che Miur ed Enti pubblici in generale favoriscano il processo di collaborazione tra scuole e terzo settore, sostenendo la nascita di reti durevoli nel tempo e capaci di mostrare risultati concreti”.

La necessità di intervenire già nella scuola media
“Per una politica efficace contro la dispersione servono interventi urgenti e mirati, che grazie alla conoscenza dei profili dei soggetti maggiormente a rischio riescano ad anticipare il più possibile le azioni di prevenzione e contrasto – ha dichiarato Andrea Gavosto, direttore Fondazione Agnelli – La ricerca conferma l’importanza di cominciare già nella scuola media: è soprattutto in questo ciclo scolastico, infatti, che si vince la battaglia contro l’abbandono, limitandolo o scongiurandolo nei primi anni delle superiori. Il contributo del Terzo settore è già oggi importante, anche per volume di risorse, ma può diventare decisivo a condizione che si rafforzi la sua capacità di coordinarsi e fare massa critica con gli interventi promossi dal settore pubblico e dalle scuole stesse. Ora questo coordinamento non c’è, a scapito dell’efficacia delle azioni messe in campo.”

I numeri
Con il 17% di ragazzi che abbandonano gli studi, l’Italia è in fondo alla classifica europea la cui media è pari al 11,9%, e continua a scontare un gap con gli altri Paesi, come ad esempio la Germania dove la quota è sensibilmente più bassa (9,9%), o la Francia (9,7%) e il Regno Unito (12,4%) . Un divario che aumenta se guardiamo al Sud ed alle Isole, dove vi sono regioni ben lontane dalla media europea (Sardegna 25,5% – in aumento, Sicilia 24,8%, Campania 21,8%, Puglia 17,7% – in aumento).

Il problema è comunque nazionale; tra le regioni in cui i ragazzi completano gli studi troviamo il Molise (solo il 10% di abbandoni), tra quelle invece in cui il successo formativo rischia di divenire un miraggio la Valle d’Aosta (21,5%). La crisi economica rischia di compromettere i passi in avanti fatti dal 2000, quando gli early school leavers (coloro che abbandonato precocemente la scuola, secondo al definizione in uso in Europa per la dispersione scolastica) risultavano il 25,3%. L’Italia è tuttora lontana dagli obiettivi della strategia di Europa 2020 nel campo dell’istruzione che prevedono una riduzione del tasso di abbandono scolastico al di sotto del 10%.

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