​La mia montagna di corni marini (e del primo telefono)

Conoscete la Cassis cornuta? È un mollusco gasteropode dei mari caldi che può raggiungere notevoli dimensioni. La sua conchiglia era lo strumento di richiamo dei tritoni, i mitologici mostri del mare della tradizione greca. Ottorino Respighi (1879-1936) ha evocato il suono del corni marini nel poema sinfonico “Le fontane di Roma”. Nelle isole del Pacifico il corno marino è ancora usato nelle feste di nozze e in altre ricorrenze, segno di gioia da comunicare a distanza.
La montagna italiana conosce da secoli l’uso di questo curioso strumento musicale, che ha probabilmente sostituito il più antico corno bovino (esisteva anche il corno di corteccia d’albero). Dopo l’eliminazione della parte molle, un buco alla sommità della conchiglia permette di suonarla come una tromba a una sola nota. Ogni famiglia teneva in mostra sulla credenza – a mo’ di telefono – il suo “corno”, il cui suono era facilmente distinguibile anche a notevole distanza. Il corno richiamava a casa, per un’urgenza, il capofamiglia al lavoro nel bosco. Due o tre corni in azione segnalavano un cavallo imbizzarrito, un toro fuggito dalla stalla, un incendio da domare in fretta. Un coro di questi strumenti rumorosi circondava (di notte), la casa di un vedovo che stava per convolare a nuove nozze; l’assedio durava a volte anche un mese e terminava con una bevuta collettiva pagata dallo sposo.
In val di Magra, al confine tra Liguria e Toscana, negli anni 50 del secolo scorso, il suono del corno segnalava che il calesse del mugnaio era fermo sulla strada principale e le donne della campagna andavano a ritirare il loro sacco di farina. È curiosa la persistenza del termine “corno” in contesti del tutto diversi. Nella cultura dei naviganti, il suono che durante la guerra avvisava di un bombardamento imminente e quello che segnava la fermata del lavoro in fabbrica era il suono della “sirena”, ma per gli operai scesi dalla montagna per lavorare alla “Tubifera” di Sestri Levante, quello è sempre stato il suono del “corno”.
A partire dal 1915, per circa trent’anni, il corno marino è stato affiancato sulla nostra montagna da un vero telefono. Un emigrante era appena tornato dagli Stati Uniti, dove aveva lavorato nell’industria dei telefoni. Il medico locale, molto capace anche se piuttosto umorale, lo ingaggiò per la costruzione di una rete telefonica privata. Furono così realizzati circa quaranta chilometri di linee in rame. Collegavano la casa del medico con il centro di fondo valle e con altre popolose comunità, sui due versanti della montagna. Chi aveva bisogno del medico, doveva chiamarlo attraverso uno dei terminali. Abbiamo recuperato un apparecchio: ha l’auricolare staccato dal microfono e porta sei attacchi mobili sulla casetta che attiva la comunicazione. Guai a fermare il medico per la strada, senza ricorrere al telefono! Ne seppe qualcosa il ragazzo che, inviato dal padre, raggiunse il medico mentre percorreva il sentiero a cavallo e gli chiese di andare a visitare il fratello che delirava per la febbre. «Di’ a quell’asino di tuo padre – sbottò il medico adirato -, se non lo sa ancora, che deve chiamarmi col telefono!». Poi proseguì verso casa. Il ragazzo corse a riferire. Il medico però, preoccupato per le possibili conseguenze del suo rifiuto, tornò sui suoi passi. Il padre del malato lo affrontò sulla porta: «Vorrei dire a quell’asino del medico che non mi sarei permesso di fermarlo per la strada, se non si fosse trattato di una cosa grave». «Va bene, va bene, – bofonchiò il medico – fatemi vedere il ragazzo».

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