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Paul Claudel con il suo ritratto da giovane realizzato dalla sorella Camille, in una fotografia del 1951

Paul Claudel con il suo ritratto da giovane realizzato dalla sorella Camille, in una fotografia del 1951

Era persino burlone Paul Claudel, uno dei più grandi scrittori francesi del ’900, spesso criticato per il suo amore per il barocco e sbeffeggiato per la dichiarata fede cristiana. Al punto che, quando era ambasciatore in Brasile, durante i ricevimenti gettava dal balcone acini d’uva sulla testa delle signore che passavano per strada, per poi nascondersi dietro il parapetto come un bambino. A farlo uscire dal cliché dello scrittore cattolico, per di più convertito, considerato reazionario per le sue idee, dato che non si faceva assimilare dall’intellighenzia laica e progressista parigina, ha contribuito nei mesi scorsi anche la pubblicazione delle Lettres à Ysé, volume uscito da Gallimard che contiene 150 missive scritte dal poeta all’amata e amante Rosalie Vetch, conosciuta durante il viaggio verso la Cina nell’ottobre del 1900 e con cui ebbe una lunga relazione. Quando i due cominciarono a frequentarsi e ad amarsi, Claudel aveva 32 anni e non aveva conosciuto donne, anzi aveva pensato di rinchiudersi in convento per poi rinunciare. Dopo la conversione, avvenuta il giorno di Natale del 1886 ascoltando ilMagnificata Notre Dame, era stato assai titubante nel rivelarla agli amici letterati che frequentava.

Partecipava assiduamente alle serate “chez Mallarmé”, incontri settimanali nella casa del poeta che radunavano il bel mondo intellettuale. Poi, il desiderio di approfondire la fede aveva prevalso, ma non sino al punto di farsi monaco. Le lettere del poeta a Rosie, come la chiamava, ci restituiscono un’immagine più completa del grande poeta francese: un uomo pieno di contraddizioni, amante eccitato che vive un conflitto lancinante tra la sua fede e la passione. Non che la vicenda non fosse menzionata nelle varie biografie sul poeta, ma ora quell’amore folle di Claudel verso una donna sposata e con 4 figli, che poi l’avrebbe lasciato nel 1904 tornando in Europa incinta di lui, emerge in tutta la sua potenza. Come lo stesso scrittore avrebbe quasi ammesso nell’opera teatrale Partage de midi, ove la protagonista del triangolo amoroso si chiama appunto Ysé.

Per lui Rosie rappresenta l’incarnazione dell’eterno femminino. I due si sarebbero ritrovati dopo 13 anni, quando Claudel proprio mentre era in Brasile ricevette una lettera di Rosie: dall’estate 1917 ripresero la re- lazione, prima epistolare poi anche carnale, ritrovandosi a Londra, dove Claudel incontrò per la prima volta la figlia Louise, e poi a Parigi. E ciò nonostante il poeta si fosse nel frattempo sposato con Reine Sainte-Marie-Perrin: un matrimonio durato oltre 50 anni e da cui nacquero 5 figli. In realtà, una storia senza passione: per il poeta il matrimonio resterà sempre fondato sulla convenienza e non sull’amore. In attesa che la corrispondenza venga pubblicata in Italia, l’avventura è ripercorsa anche nel recente volume Paul Claudel. Un amore folle per Dio di Flaminia Morandi (edizioni Paoline, pagine 288, euro 18,00), una biografia intellettuale del grande scrittore che ci permette di entrare appieno nel suo mondo, fatto di lunghe permanenze fuori dalla Francia a causa della sua attività diplomatica (oltre la Cina e il Brasile, fu ambasciatore negli Stati Uniti e in Giappone, in Danimarca, Belgio e Germania) e soprattutto della sua intensissima attività letteraria (fu autore di decine di volumi, fra poesia, teatro, saggistica ed esegesi). Era solito alzarsi verso le 6 del mattino e dedicare le prime ore del giorno alla scrittura, per poi gettarsi nel suo lavoro di rappresentanza degli interessi commerciali e politici del suo Paese.

Dal libro risalta la sua fede cristiana incondizionata ma aperta. “Etiam peccata”, era solito ripetere citando sant’Agostino: nella teologia del tempo era predominante l’immagine di un Dio implacabile e austero, pronto a condannare l’uomo e senza misericordia. Per lui invece «Dio è un cuore pieno d’amore e di generosità, infiammato dal desiderio di darci tutto quello che desideriamo e molto di più». Sia detto chiaramente, Claudel era cosciente delle sue debolezze e non cercava giustificazioni, ma dopo la sua folgorante conversione si era imposto il compito di rendere più attrattivo il cristianesimo in una Francia dominata dal positivismo e improntata alla lezione laica di Hugo, di cui aveva visto i funerali nel 1885 rimanendone disgustato. Di qui i tentativi di convertire gli scrittori che conosceva, spesso riusciti, l’amicizia con Jacques Rivière e Francis Jammes, il rapporto contraddittorio con André Gide, il quale rimase sempre sulla soglia della fede tormentato dalla sua omosessualità. Famose anche le sue invettive contro un mondo che considerava areligioso, come quella contro i surrealisti. Ma la fede di Claudel traspare soprattutto nelle sue opere, la più acclamata delle quali è senza dubbioAnnuncio a Maria, dramma rappresentato decine di volte nei teatri di tutto il mondo, amato da von Balthasar e don Giussani per la sua capacità di dare voce alla potenza, alla drammaticità e alla bellezza del cristianesimo: per Violaine il vero amore è dare la vita per l’altro, senza chiedere nulla in cambio.

«Forse che il fine della vita è vivere? – fa dire Claudel ad Anne Vercors, che appena tornato dalla Terrasanta trova la figlia Violaine morta – Non vivere, ma morire… e dare in letizia ciò che abbiamo». Purtroppo Claudel accettò di far rappresentare la sua opera davanti a Pétain e al governo di Vichy, nel 1941, pentendosene poi amaramente. Le sue posizioni politiche furono spesso contraddittorie, come quando nel 1900 si era espresso contro Dreyfus e nel 1937, in occasione della guerra di Spagna, aveva rifiutato di sottoscrivere un appello contro la “guerra santa” lanciato da Maritain dopo il bombardamento di Guernica. Peraltro, molto dure sarebbero state le sue parole di condanna verso Hitler e il regime nazista, descritto come «la banda di pazzi furiosi e di sicari che dominano a Berlino».

Nel 1941 egli fu uno dei pochi cattolici a opporsi alle persecuzioni antisemite e scrisse una lettera di solidarietà al grande rabbino di Francia dopo aver saputo quanto stava accadendo in Germania e in Polonia. Al punto che il suo appartamento di Parigi venne perquisito, il suo telefono messo sotto controllo e il suo nome inserito fra gli otto autori considerati nemici del Reich. L’amore per il popolo ebraico l’avrebbe portato anche a criticare Pio XII per i suoi silenzi e a chiedere al Vaticano, nel 1951, di istituire una giornata di espiazione e pentimento per come i cristiani si erano comportati verso gli ebrei in Europa, prefigurazione di quanto poi realizzato da Giovanni Paolo II. Claudel muore nel 1955 e, valutando la sua opera, sorprende non poco che non gli sia stato attribuito il premio Nobel della letteratura. D’altronde, se si scorre l’elenco degli scrittori francesi che l’hanno ricevuto (Rolland, France, Bergson, Martin du Gard, Gide, Mauriac, Camus, Sartre, Simon, fino ai più recenti Le Clézio e Modiano), solo Mauriac è esplicitamente cattolico. Fra gli esclusi, non dimentichiamolo, Julien Green e Bernanos. Davvero incomprensibile.

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