Venezia ricorda Giovanni XXIII nel cinquantesimo anniversario della morte

Una vita per il concilio

 

 

Nel pomeriggio di lunedì 3 giugno, nella basilica di San Marco a Venezia, il Patriarcato e la Fondazione Studium Generale Marcianum organizzano un atto accademico in memoria di Giovanni XXIII nel cinquantesimo anniversario della morte. Nella sua prolusione l’arcivescovo Agostino Marchetto ricorda come quello di Giovanni XXIII sia stato un pontificato per il Vaticano II. “Quella di Giovanni XXIII – scrive – fu una vita offerta per il concilio. Il Papa, il 2 febbraio 1960, confidava ai fedeli che quel giorno, ispirato dalla Candelora, “appressandoci all’altare della cappella domestica per la Messa mattutina, abbiamo fatto la consacrazione della nostra umile esistenza al Concilio Ecumenico”. E scriveva quello stesso giorno monsignor Samoré a Mons. Felici: “Il Papa è ormai tutto preso dal Concilio Ecumenico”, Nel corso di tre anni (10 febbraio 1960 – 28 aprile 1963) si contano ben ottantuno udienze concesse da Papa Giovanni al segretario generale monsignor Felici, per un totale di oltre novanta ore. Ogni udienza veniva preceduta, accompagnata e seguita da particolareggiate relazioni, promemoria, appunti, rescritti, note sull’esecuzione delle direttive e delle decisioni. Questa voluminosa documentazione, che segna le tappe del lavoro, veniva personalmente studiata, postillata, discussa e custodita dal Papa. Nel lavoro per il concilio rifulse la ricchezza spirituale di Giovanni XXIII: profonda fede, invitta speranza, ardente amore a Dio e alla Chiesa.
Nel pieno dei lavori, il 17 gennaio 1961, raccomandò al segretario generale di essere “sempre pronti ad affrontare le più grandi prove che il Signore vorrà mandarci e questo anche in vista del Concilio Ecumenico”.
Il 10 marzo, due mesi dopo, ripeté a monsignor Felici: “Nella preparazione del Concilio, che è opera di Dio, dobbiamo aspettarci delle grandi prove”. E le prove arrivarono. In modo particolare gli facevano dispiacere l’arrivismo e l’ambizione. Sempre a monsignor Felici, l’8 giugno 1960, infatti confidò che dal principio del suo sacerdozio, quando aveva avuto occasione di commentare a Roccantica, dimora estiva del Seminario Romano Maggiore, il passo dell’Imitazione di Cristo che inculca l’umiltà, il nascondimento, la fuga dall’ambizione, aveva fatto un proposito, che era come un voto, di fuggire cioè i primi posti e ogni ambizione: e aveva la coscienza di essere stato fedele a esso.
Dopo l’udienza del 29 luglio 1960, Felici, come di consueto, trasmise ai suoi collaboratori la benedizione del Santo Padre e aggiunse che gli incontri con il Papa erano più eloquenti e persuasivi di una predica: è un uomo di Dio che vive del suo Spirito, senza ostentazioni e formalismi. Ha la semplicità dell’anima piena di Dio; non ricorda le offese, interpreta tutto in bene, sente il male, la malevolenza, l’invidia, l’egoismo e ne soffre molto.
Inoltre poco prima dell’inizio del concilio il Papa fissò a monsignor Felici la linea da seguire, e cioè: “lavorare con retta intenzione, con idee precise, pronti a cedere e ad accondiscendere solo ove questo possa giovare alla Chiesa. Non è facile piacere a tutti, ma affidarsi alla volontà di Dio e piacere a lui solo”. Bisognava esser calmi e tranquilli, non perdere mai la pazienza e avere grande fiducia in Dio: “il Concilio così riuscirà!” concluse”.

(©L’Osservatore Romano 3-4 giugno 2013)