Vaticano Udienza ai partecipanti al Congresso dei Centri nazionali per le Vocazioni delle Chiese di Europa

Sala stampa della Santa Sede


Dopo aver consegnato il discorso preparato per la circostanza,  il Santo Padre ha pronunciato a braccio il discorso seguente:Grazie per questa visita, grazie al Signor Cardinale per le sue parole.Ho preparato qui una riflessione, che consegnerò al Cardinale, e mi permetto di parlare un po’ a braccio di quello che mi viene dal cuore.Quando si parla di vocazioni, mi vengono in mente tante cose, tante cose da dire, che si possono pensare o fare, piani apostolici o proposte… Ma io vorrei prima di tutto chiarire una cosa: che il lavoro per le vocazioni, con le vocazioni, non dev’essere, non è proselitismo.Non è “cercare nuovi soci per questo club”. No. Deve muoversi nella linea della crescita che Benedetto XVI tanto chiaramente ci ha detto: la crescita della Chiesa è per attrazione, non per proselitismo. Così. Lo ha detto anche a noi [Vescovi Latinoamericani] ad Aparecida. Non si tratta di cercare dove prendere la gente…, come quelle suorine che andavano nelle Filippine negli anni ’90, ‘91, ‘92. Non avevano case nelle Filippine, ma andavano lì e portavano le ragazze qui. E ricordo che nel Sinodo del ’94 è uscito sul giornale: “La tratta delle novizie”. La Conferenza episcopale filippina ha detto: “No. Prima di tutto nessuno viene qui a pescare le vocazioni, non va”. E le suore che hanno casa nelle Filippine, facciano la prima parte della formazione nelle Filippine. Così si evita qualche deformazione. Questo ho voluto chiarirlo, perché lo spirito del proselitismo ci fa male.
Poi, penso – a proposito della vocazione – alla capacità delle persone che aiutano. Aiutare un giovane o una giovane a scegliere la vocazione della sua vita, sia come laico, laica, come sacerdote, religiosa, è aiutare a far sì che trovi il dialogo con il Signore. Che impari a domandare al Signore: “Cosa vuoi da me?”. Questo è importante, non è un convincimento intellettuale, no: la scelta di una vocazione deve nascere dal dialogo con il Signore, qualunque sia la vocazione. Il Signore mi ispira ad andare avanti nella vita così, per questa strada. E questo significa un bel lavoro per voi: aiutare il dialogo. Si capisce che se voi non dialogate con il Signore, sarà abbastanza difficile insegnare agli altri a dialogare su questo punto. Il dialogo con il Signore.
Poi, gli atteggiamenti. Lavorare con i giovani esige tanta pazienza, tanta!, tanta capacità di ascolto, perché a volte i giovani si ripetono, si ripetono… Pazienza e capacità di ascolto. E poi ringiovanirsi: cioè mettersi in moto, in movimento con loro. Oggi il lavoro con i giovani, in genere, qualsiasi tipo, si fa in movimento. Quando io ero giovane, il lavoro con i giovani si faceva nei circoli di riflessione. Ci riunivamo, facevamo riflessione su quel tema, sull’altro, ognuno studiava il tema prima… E noi eravamo soddisfatti, e facevamo alcune opera di misericordia, visite agli ospedali, a qualche casa di riposo… Ma era più sedentario. Oggi i giovani sono in movimento, e si deve lavorare con loro in movimento, e cercare in movimento di aiutarli a trovare la vocazione nella loro vita.
Questo stanca… Bisogna stancarsi! Non si può lavorare per le vocazioni senza stancarsi. È quello che ci chiede la vita, la realtà, il Signore, e tutti.
Poi una cosa: il linguaggio del Signore. Oggi sono stato in una riunione con la Commissione COMECE. Il presidente ha fatto una riflessione, mi ha detto: “Sono andato in Tailandia con un gruppo di 30, 40 giovani a fare delle ricostruzioni nel nord, per aiutare quella gente”. “E lei, perché fa questo?”, ho domandato. E lui mi ha detto: “Per capire bene il linguaggio dei giovani”. A volte noi parliamo ai giovani come siamo abituati a parlare agli adulti. Per loro, tante volte il nostro linguaggio è “esperanto”, è proprio come se parlassimo esperanto, perché non capiscono nulla. Capire il loro linguaggio, che è un linguaggio povero di comunione, perché loro sanno tanto di contatti, ma non comunicano. Comunicare è forse la sfida che noi dovremmo avere con i giovani. La comunicazione, la comunione. Insegnare loro che è bene l’informatica, sì, avere qualche contatto, ma questo non è il linguaggio: questo è un linguaggio “gassoso”. Il vero linguaggio è comunicare. Comunicare, parlare… E questo è un lavoro di filigrana, di “merletti” come dicono qui. È un lavoro da fare andando passo a passo. E a noi spetta anche capire cosa significa per un giovane vivere sempre “in connessione”, dove è andata la capacità di raccogliersi in sé stessi: questo è un lavoro per i giovani. Non è facile, non è facile, ma non si può andare con preconcetti o con l’imposizione puramente dottrinale, nel senso buono della parola: “Tu devi fare questo”. No. Bisogna accompagnare, guidare, e aiutare affinché l’incontro con il Signore faccia loro vedere qual è la strada nella vita. I giovani sono diversi tra loro, sono diversi in tutti i luoghi, ma sono uguali nell’inquietudine, nella sete di grandezza, nella voglia di fare del bene. Sono uguali tutti. C’è la diversità e l’uguaglianza.
Forse [potrà servirvi] questo che mi è venuto di dirvi, invece di leggere il discorso, che avrete per riflettere. Grazie del vostro lavoro! Non perdete la speranza, e andate avanti, con gioia.
E adesso che vedo questo coraggioso Cappuccino dell’Islanda, finiamo con una barzelletta. Al nord della sua terra, d’inverno fa 40 sotto zero. E c’era un suo fedele che è andato a comprare un frigo, e gli hanno chiesto: “Ma perché tu vai a comprare il frigo?” – “Per riscaldare mio figlio!”.
È mezzogiorno, preghiamo il Regina Coeli insieme.