Vaticano Non più ombre grigie e obbedienti

Osservatore Romano – donne chiesa mondo
(Lucetta Scaraffia) Se si osservano con attenzione le varie esperienze della Chiesa che sono in corso nel mondo, si rimane colpiti dal fatto che nei più diversi settori (cultura, pastorale, diritto, missioni, evangelizzazione) i contributi più innovativi, quelli che hanno incontrato maggiore successo, vengono da donne, e non da donne qualsiasi, ma dalle religiose. Sì, proprio quelle religiose che — se uno le osserva dalla Santa Sede, o dalle istituzioni centrali delle Chiese locali — sembrano solo ombre grigie e obbedienti, felici del loro ruolo dimesso e dimenticato.Ma se si alzano gli occhi, e si osserva ciò che accade, si scopre che le religiose, ancora la grande maggioranza dei consacrati, sono molto cambiate: piene di progetti e di vita, in realtà costituiscono per la Chiesa un punto di forza fondamentale, un tesoro, al quale però le gerarchie non attingono mai. Proprio di fronte al Vaticano, ad esempio, c’è la sede della Uisg, l’Unione internazionale delle superiori generali dei principali istituti di vita attiva del mondo. Se si varca quella porta, non si trova nessuna atmosfera burocratica e dimessa, ma vita, progetti, respiro mondiale e sguardo al futuro. Ma la presidente e il direttivo non sono mai consultati dagli organi di governo della Chiesa, come se non avessero niente da dire. Eppure ascoltarli non sarebbe certo una decisione rivoluzionaria: l’istituzione già esiste da decenni, ha una solida esperienza in vari campi, conosce in modo approfondito la situazione dei cattolici nel mondo, è fertile di idee e di nuove esperienze di evangelizzazione.
Viene spontaneo domandarsi come mai in un contesto in cui si cerca in molti modi di dare un volto sinodale alla Chiesa, non si sia mai pensato di coinvolgere nelle riunioni le rappresentanti di questa e di altre associazioni mondiali di religiose: non sarebbe forse necessaria la loro voce nelle riunioni del consiglio di cardinali costituito dal Papa un mese dopo la sua elezione, e non sarebbe indispensabile prevedere la loro attiva partecipazione alle congregazioni generali che precedono e preparano il conclave?
Allo stesso modo, le conferenze episcopali dei vari paesi non potrebbero coinvolgere le congregazioni di suore impegnate al loro fianco, per ascoltarle ed eventualmente valutare le loro proposte? Non sarebbe prudente e utile coinvolgerle nel discernimento che precede ogni promozione di un sacerdote all’interno della Chiesa?
Chiunque si può rendere conto che nei momenti decisionali della vita della Chiesa le donne — ma soprattutto le religiose — non sono previste, non sono ascoltate, e si procede come se non esistessero, come se non costruissero da millenni la tradizione cristiana insieme con gli uomini.
Se si vuole veramente dare un colpo al clericalismo, bisogna cominciare di lì, dalle religiose, e non tanto come singole persone — cosa che ovviamente può anche succedere, ma solo in casi di competenza specifica — ma soprattutto nella forma collettiva delle associazioni già esistenti.
Perché inserire la presenza di qualche donna qua e là nei dicasteri, in genere isolata e scelta fra le più ubbidienti, non cambia niente. È solo una foglia di fico, che simbolicamente significa qualcosa, ma nella realtà continua ad avere poca rilevanza. Se si pensa che perfino nella congregazione per i religiosi — nonostante le donne costituiscano quasi i due terzi del numero complessivo dei religiosi — c’è una sola sottosegretaria, ovviamente sovrastata, per quanto si possa dar da fare per far sentire la sua voce, da tutti i dirigenti sacerdoti, si capisce come le religiose non siano mai ascoltate nella loro realtà complessiva, attraverso persone elette da loro.
La scelta di coinvolgere le associazioni di religiose esistenti — le cui dirigenti sono votate democraticamente — è il solo modo per sfuggire al pericolo evidente di paternalismo nei loro confronti.
Certo questa proposta si scontra con un pregiudizio molto radicato: che ascoltare le religiose non sia di nessun interesse, che le religiose non pensino proprio niente, prive come sono di cultura e dedite a lavori servili (quasi sempre nei confronti dei preti). Ho sentito perfino un dirigente vaticano chiamare le suore «teste di cotone» per sottolineare la loro povertà intellettiva. Certo gli esempi in questo senso non mancano: le molte suore che lavorano incessantemente con compiti di servizio di vario tipo in Vaticano devono tenere un contegno sottomesso, accettare che il loro lavoro intellettuale se buono venga attribuito al superiore di turno, devono in sostanza scomparire come personalità individuali. «Sono loro che preferiscono così» mi viene detto spesso…
Come se il sacrificio di sé fosse l’unico modo per vivere la vocazione religiosa, come se questa non fosse l’unica moneta di scambio di cui dispongono le congregazioni femminili per ottenere qualcosa di cui hanno bisogno, come se si volessero chiudere gli occhi davanti alla realtà: il sacrificio delle donne è utilizzato solo per rafforzare il potere di chi già ce l’ha.

L’Osservatore Romano – gennaio 2019