Uno sguardo di pietà che molto deve a quel Dio…

«Si gira e salta giù, sapendo che potrebbe non essere vero, e atterrando sulla ghiaia, tra i detriti della sua vita, si inginocchia, il cuore gli batte forte, e lascia indugiare sulla lingua una parola, una sola, sospesa, sbilanciata. Prosegue oltre l’albero morto, al di là dei murali, una gran leggerezza nel corpo, non una sola ombra nella galleria. E al cancello sorride, soppesa quella parola sulla lingua, con tutte le sue possibilità, la sua bellezza, le sue speranze, una parola sola: resurrezione».

Ora, se uno scrittore finisce un romanzo – è il caso dell’americano Colum McCann nel suo I figli del buio (Bur) – con questa parola, «resurrezione», ebbene, ci offre una spia che una qualche visione sulla fede la possiede. In questo caso siamo davanti a un cattolico che ha lasciato la fede. Cresciuto nelle scuole dei Fratelli cristiani, McCann ha ricevuto in dote dai suoi insegnanti il detto del poeta Gerard Manley Hopkins: «Il mondo è carico della grandezza di Dio». E lo ha dimostrato anche nel suo ultimo romanzo, acclamato unanimemente come capolavoro dalla critica, Apeirogon (Feltrinelli), nel quale ha fatto incontrare un padre ebreo e un padre palestinese accumunati dall’immane tragedia di aver perso ciascuno un figlio.

Uno sguardo di pietà che molto deve a quel Dio conosciuto da ragazzo.

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