Una tempesta da sedare

Cinque anni di pontificato sobrio e illuminato, una catechesi alta e impegnata, un linguaggio nuovo e aperto, con immagini bibliche di grande suggestione: «La Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di "cortile dei Gentili", dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero». Cerca il dialogo con gli ebrei, fratelli maggiori, e con l’islam, terza religione del Libro. Visita moschee e sinagoghe vincendo incomprensioni e antichi rancori. Pubblica tre encicliche sulle virtù cristiane per recuperare la speranza e vivere di fede in comunione con Dio carità. Celebra tre Sinodi, uno sulla Parola di Dio fonte e fine della missione, uno sull’Eucaristia, vita e senso della Chiesa, e uno sull’Africa, continente aperto al futuro con popoli e città multietnici e multireligiosi, veri laboratori di ecumenismo vissuto nella pace. Con la verità che trionfa nel suo motto «Cooperatores Veritatis», papa Ratzinger non può non alzare la voce contro la «dittatura del relativismo» mettendo in guardia i cristiani dal «lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina». Parla con autorevolezza quando si rivolge, ancora cardinale, ai confratelli nell’episcopato e alla Chiesa intera. È il 18 aprile 2005 e, su mandato di Giovanni Paolo II, deve redigere i testi liturgici per la tradizionale Via Crucis del Colosseo. Scrive allora, tra lo stupore di tutti: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!». Lo scandalo dei sacerdoti pedofili allora non era ancora scoppiato in tutto il mondo, anche se in America era già arrivato ai tribunali civili con tanto sdegno e clamore. Con la sua sicurezza serena nel Signore e la sua umiltà operosa, papa Ratzinger ha cercato in seguito di rispondere al dramma degli abusi sessuali: ha chiesto perdono, ha ascoltato, ha pregato. Ha chiamato i crimini con i termini infamanti che competono a queste azioni, ha punito a rigore di diritto canonico i colpevoli e ha ricevuto le vittime, piangendo con loro e cercando di fare tutto il possibile per riparare alle ferite subite, che sono anche ferite inflitte alla Chiesa. Ma la gogna mediatica l’ha posto nel mirino degli attacchi. Leggendo ogni mattina i giornali si ha la sensazione di vedere la barca di Pietro ridotta a un guscio di noce, come nelle miniature gotiche. Il mare gli cresce attorno e noi la vediamo sempre più piccola, dall’alto, come spettatori disorientati e addolorati. Quando il racconto diventa più drammatico, il turbamento cresce. Ci viene allora da pensare alla Tempesta sedata di Eugne Delacroix conservata al Metropolitan Museum of Arts di New York o a quella di Giorgio De Chirico dei Musei Vaticani. In queste immagini terribili, dove le onde vogliono sommergere la barca, già ridotta a relitto, i pescatori sono uomini comuni, fragili e presi dal panico, e l’unico che ha l’aureola di luce è il passeggero che dorme. Santo Padre, intoni per noi una preghiera universale, un salmo di penitenza e di alleluia, e ci aiuti a fare coro con lei, a gridare insieme con Giovanni: «Maràn athà!». Il nostro divino passeggero si sveglierà, fermerà i venti e tornerà la bonaccia. La luce, quella tenera del mattino, è appena sotto l’orizzonte.

Antonio Tarzia – jesus maggio 2010