Una Chiesa vicina alla gente

Joseph Kurtz, 67 anni e da tre numero due della Conferenza episcopale Usa, è il nuovo presidente dei vescovi statunitensi, chiamato a guidarli in un periodo di difficoltà e opportunità. La Chiesa americana è infatti in crescita numericamente, ma non sempre ha le risorse per far fronte alla dilagante povertà, emarginazione e diseguaglianza che dividono il Paese. L’attuale arcivescovo di Louisville, in Kentucky, che succede all’arcivescovo di New York, il cardinale Timothy Dolan, ha però l’esperienza e la preparazione per affrontare le sfide che lo attendono. È stato presidente della Commissione per la difesa del matrimonio ed è membro del Centro nazionale cattolico per la bioetica. Ha un master in studi sociali e per più di un decennio è stato a capo delle agenzie per i servizi ai poveri della diocesi di Allentown, in Pennsylvania.

Arcivescovo Kurtz, quale a suo dire deve essere l’impegno principale della Chiesa americana nei prossimi anni?
Il richiamo che abbiamo ascoltato dal Santo Padre è chiaro, dobbiamo essere prima di tutto pastori. Dunque dobbiamo chiederci: come possiamo riscaldare i cuori e sanare le ferite? Secondo me la risposta è stare il più possibile vicino alla gente, ascoltandola. Per questo credo che la pastorale della famiglia sarà fondamentale nei prossimi anni. La parte più importante, più formativa della mia vita sono stati gli anni che ho speso come pastore in una parrocchia, vicino alle famiglie. Solo quel tipo di esperienza prepara a incarichi di vertice nella Chiesa.

Lei stesso si è occupato di un membro della sua famiglia per molto tempo.
Sì, mio fratello George è nato con la sindrome di Down e dopo che nostra madre è morta ha vissuto con me per 12 anni, fino alla sua morte. Ho imparato molto da lui.

Quali sfide vede per la Chiesa di oggi?
Viviamo in una cultura di indifferenza. Come possiamo passare da una cultura rivolta a se stessa, egoista, a una che guarda all’esterno e vede le persone bisognose? La sfida per noi vescovi è di dare l’esempio con l’accoglienza, attraverso il servizio a chi non ha voce ed è vulnerabile, come gli immigrati, i poveri, i non nati e gli anziani, e di difendere la dignità della persona in ogni circostanza. All’interno della Chiesa ci deve essere un’unità di messaggio. E il Papa ci ha ricordato che i fedeli esigono che siamo uniti nella nostra missione di servizio.

Ha incontrato di recente papa Francesco. Che impressione ha avuto?
Di una persona che sa ascoltare e che vuole imparare da tutti, vuole sapere come si muove la Chiesa nel mondo, che cosa sta facendo per i bisognosi. Mi ha parlato in inglese, in italiano e in spagnolo, quasi per farmi capire che il suo messaggio è globale.

Lei parla qualche lingua straniera?
Capisco un poco di italiano e conosco lo spagnolo a livello liturgico. Sono in grado di tenere un’omelia in spagnolo, se è corta. Il che di solito non dispiace alla gente.

Intende fare passi per migliorare i rapporti fra i vescovi e l’amministrazione Obama, dopo le tensioni causate dall’obbligo governativo di offrire una copertura sanitaria che includa la contraccezione?
La fede arricchisce la vita pubblica. Quindi abbiamo il forte desiderio di aver una buona e sana relazione con il governo, con il Congresso e con i giudici. Siamo sempre alla ricerca di modi di approfondire questa collaborazione e di mantenere aperto il dialogo, in modo di lavorare insieme nel contesto di una libertà religiosa robusta. I nostri sforzi di parlare a nome dei bisognosi ci mettono nella posizione di fare del bene alla nostra nazione e di interagire frequentemente con l’Amministrazione, in un modo che riconosca quanto la fede contribuisce alla crescita di un Paese. Ma molte opportunità di cooperazione avvengono a livello statale, quindi verranno gestite direttamente dalle conferenze episcopali statali.

I vescovi da anni fanno pressione sul Congresso affinché approvi una riforma dell’immigrazione che permetta la regolarizzazione dei milioni di clandestini presenti negli Stati Uniti. Ma la legge stenta a decollare. Prevede nuove iniziative su questo fronte?
Dipende da che cosa avverrà sul fronte politico. L’immigrazione è un aspetto chiave della difesa della dignità della persona. Siamo a un punto in cui si ha la percezione che la riforma possa avvenire. Speriamo di esserne i catalizzatori.

Molti economisti concordano che la povertà negli Stati Uniti è causata dalla crescente disparità di opportunità fra i più abbienti e il ceto lavoratore. Crede che la Conferenza episcopale sponsorizzerà iniziative per intervenire alla radice delle cause della povertà?
Su questo punto siamo in piena solidarietà con il Papa. Dobbiamo essere una Chiesa dei poveri e per i poveri. La Chiesa americana è già il motore di innumerevoli iniziative di trasformazione sociale. Possiamo fare di più? Certamente. Vogliamo lavorare per sollevare la gente dalla povertà insieme alla loro famiglia. Ho imparato molto lavorando per la Caritas diocesana. Ha migliorato la mia capacità di ascolto. Penso che nel mio nuovo ruolo mi sarà utile.

Elena Molinari – avvenire.it