Un gelato per Gaza

Ha riaperto, in sincronia con la stagione estiva, la prima gelateria artigianale e sociale di Gaza, un locale dai colori allegri, pieno di luce e, soprattutto, di gelati fatti con frutta vera, a chilometro zero, e offerti «in sospeso» (come il caffè a Napoli) a chi non può permetterseli. Il negozio era stato inaugurato a fine ottobre 2019, ma il rischio pandemia e la chiusura precauzionale da marzo a maggio di tutti i locali avevano messo a repentaglio un progetto che era ancora agli esordi.

L’iniziativa, promossa da una ong italiana Vento di Terra e una ong palestinese del campo profughi di Al Burej, è stata salvata dai palestinesi della striscia di Gaza. Senza aiuti esterni — dato che il confine è sigillato da marzo anche per i cooperanti stranieri, causa covid-19 — gelatai, agricoltori e trasportatori hanno continuato a mandare avanti l’attività senza ricevere nessuno compenso, con gelati d’asporto e gelati offerti soprattutto nelle scuole.

Il “marchio” si è diffuso, consentendo alla gelateria di Nasser street, in piena Gaza City, di riaccogliere una clientela consolidata anche nei tempi di chiusura forzata per il coronavirus. Chiariamoci: nella Striscia, nonostante guerre e povertà, i gelati esistono da sempre, ma sono gli ice-cream confezionati o preparati con polverine di latte e di vari gusti artificiali, e rappresentano un lusso non alla portata di tutti. «Gelato di Gaza, gelateria sociale» (sull’insegna del locale è scritto proprio così, in italiano e senza troppe leziosità) utilizza invece i prodotti dei contadini della Striscia ed ha come obiettivo non solo quello di garantire a tutti il diritto piacevolissimo di un gelato, ma anche — se le cose si metteranno bene — di investire i guadagni in altre attività per aiutare la popolazione.

L’iniziativa, finanziata inizialmente dall’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo, si articola su una piccola rete di strutture operative: la prima è la gelateria stessa, dove tre giovani camerieri servono coppette e coni e gli avventori possono lasciare offerte e aiuti. Su una parete del locale, il giorno dell’inaugurazione, è stata appesa una grande bacheca, a prima vista una specie di quadro astratto: si tratta delle forme e dei volumi dei contenitori per i gelati in sospeso, disegnati dai primi degustatori, i bambini del villaggio beduino di Um al Nasser, uno dei luoghi più vulnerabili e disastrati della striscia.

La seconda struttura operativa è formata da una ventina di contadini locali che si occupano del rifornimento di frutta fresca e latte. A preparare e impastare creme e gusti ci pensano due palestinesi gelatai professionisti, formati da maestri italiani, in un laboratorio di pasticceria nel campo profughi di Al Burej. A tutto ciò bisogna poi aggiungere un elemento fondamentale, il tuktuk, un furgoncino che porta i gelati negli angoli più remoti e poveri. I tuktuk sono ormai diventati un simbolo di Gaza: consegnano acqua, cibo, merci e prodotti di tutti i generi, senza fermarsi mai, neanche nei periodi di guerra. Il furgone dei gelati non passa certo inosservato: coni, ghiaccioli, coppette e frutta di ogni tipo, dipinti su uno sfondo giallo, coprono ogni centimetro della carrozzeria. Il tuktuk, guidato da un’autista impiegato nell’impresa, è sempre in giro: gelati nelle scuole, gelati in “sospeso”, gelati venduti per la strada, sul lungomare.

«Il gelato attrae e piace tantissimo; il fatto di essere preparato secondo la scuola italiana gli dà un fascino particolare. I palestinesi sono veramente bravi. In molti sono pronti a giurare che il gelato artigianale di Gaza sia persino più buono di quello fatto in Italia», ci racconta Maria Stella Jacopino, attuale responsabile di Vento di Terra in Terra Santa, bloccata a Gerusalemme in queste settimane dalla seconda ondata della pandemia. «Nella striscia, almeno per il momento, la situazione è più sotto controllo. Il blocco degli ingressi e delle uscite ha limitato il contagio». La gelateria — spiega — è sostenuta soprattutto dalla generosità dei palestinesi di Gaza: «Anche se i soldi sono pochi, nella striscia è normale, quando si compra un gelato, lasciare una piccola somma per offrirlo a chi non ha nulla. Le persone più abbienti acquistano poi volentieri gelati per i bambini di un’intera scuola o per eventi e feste di comunità».

«A Gaza — osserva ancora — è molto forte il senso del volontariato, dell’aiutarsi l’uno con l’altro». Del resto, i sacrifici fatti dai dipendenti nei tempi duri della chiusura forzata hanno consentito all’impresa, praticamente in fasce, di sopravvivere. Se la gelateria artigianale riuscirà ora a consolidarsi e a decollare, i profitti andranno in altri progetti sociali.

Dal tuktuk dei gelati si passerà ad un secondo tuktuk che stavolta porterà libri ai bambini e agli adolescenti più poveri. Fiabe, racconti, avventure. Per sognare, magari mangiando un gelato alla fragola. Sembra che sia il gusto più popolare nella striscia.

di Elisa Pinna / Osservatore Romano