Dal 22 al 25 aprile Villa Borghese a Roma ha ospitato il Villaggio per la Terra, una quattro giorni di eventi per celebrare la Giornata Mondiale della Terra. Non solo l’ecologia ma anche le questioni umanitarie e sociali bussano alla porta dei cittadini globali e mostrano quanto ogni singola realtà del pianeta sia connessa alle altre e le responsabilità siano condivise.
A questa iniziativa, promossa da Earth Day Italia e dal Movimento dei Focolari, e a cui papa Francesco ha voluto rendere visita il 24 aprile, ha partecipato anche l’imam Nader Akkad della comunità islamica di Trieste che ha parlato del modello di dialogo triestino, un modello che parte dal basso e che l’imam Nader definisce “transfrontaliero”.
Qual è stato il messaggio che hai portato al Villaggio per la Terra?
Ho voluto portare la nostra esperienza triestina per far vedere attraverso le immagini come il dialogo interreligioso debba andare oltre le conferenze e scendere sul campo a stringere alleanze con persone concrete. Bisogna instaurare relazioni personali e vedere insieme come costruire un mondo migliore.
Come mettete in pratica il dialogo nella vostra comunità di Trieste?
Trieste è una città di mare e di frontiera. Facciamo varie attività concrete come camminate insieme oppure il “gelato interreligioso”. Ultimamente abbiamo portato avanti un’iniziativa di dialogo in mare per aprirci ai nuovi immigrati, ai richiedenti asilo e rifugiati arrivati da poco. Abbiamo affittato due barche e siamo andati una domenica di marzo in mezzo al mare. Lì a mezzogiorno, abbiamo spento i motori per vivere insieme un momento di preghiera, ognuno nella sua lingua, nel suo cuore, pregando per la pace e ricordando tutti quelli che non sono riusciti a finire il loro viaggio e sono morti in mare. Con questo gesto abbiamo voluto anche dare un messaggio di benvenuto ai nuovi arrivati e allargare il dialogo a tutti, non solo cristiani e musulmani.
L’accoglienza dei rifugiati è un tema molto attuale. Come lo vivete come comunità?
Cerchiamo di proporre un’integrazione accelerata tramite la lingua italiana: parliamo con i nuovi arrivati e presentiamo loro un modello costruito negli anni di dialogo e convivenza pacifica. Cerchiamo di dare loro una speranza sapendo che ci sono difficoltà enormi. La lingua italiana è importante perché è lo strumento di integrazione principale e permette di aprirsi alla cultura italiana. La cultura di provenienza è un arricchimento solo se integrata a quella del Paese che ospita.
Al Villaggio per la Terra c’è stata la possibilità di vivere l’aspetto interreligioso in maniera molto concreta…
Sì. Al Villaggio abbiamo vissuto l’esperienza di essere “fratelli di sangue”. I leader religiosi presenti hanno tutti donato il sangue mostrando così che siamo fratelli di sangue. In quanto referenti, le nostre comunità religiose ci guardano e vedono come agiamo. Nei nostri atti ci facciamo portatori di messaggi per gli altri.
Domenica 24 aprile hai incontrato un’altra volta Papa Francesco. Cosa vi siete detti?
Ho avuto la possibilità di incontrare altre volte papa Francesco, la prima volta nel 2014 al Sacrario di Redipuglia quando fece un bellissimo discorso nel Centenario della Prima Guerra Mondiale auspicando che non ci fosse mai più la guerra. Questo ultimo incontro è avvenuto dopo la sua visita a Lesbo, dalla quale è tornato con tre famiglie siriane. Ho voluto ringraziarlo personalmente per questo suo gesto.
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