Tutti (davvero) pazzi per la tecno-novità

La rete nelle ultime ore è stata inondata di post, tweet, articoli sull’uscita e le meraviglie dell’iPhone 5, presentato al pubblico mercoledì e dal 28 settembre in commercio anche in Italia. A meno di un anno dalla scomparsa del mitico (nel senso usato da Barthes: un vero «mito di oggi») fondatore della Apple, Steve Jobs, e dall’uscita del modello precedente, il 4s, il nuovo “nato” viene presentato come «il più grande evento nella storia dell’iPhone dopo il primo iPhone». Come recita la presentazione ufficiale, «grande, ma con un basso profilo» dato che è «il 18% più sottile e il 20% più leggero dell’iPhone 4S».  Ma qualche millimetro e qualche grammo in meno giustificano il tam tam che sta intasando il Web?

Pur essendo, lo confesso, una utilizzatrice entusiasta degli “aggeggi” Apple (senza però inseguire l’ultimo modello), e apprezzando la sintesi riuscitissima tra forma e funzione che Jobs ha saputo realizzare, come studiosa non posso non osservare, con uno sguardo critico, una serie di fenomeni che questo “caso” mediatico fa emergere con particolare evidenza. Il primo è l’autoreferenzialità, oserei dire il provincialismo del sistema dei media. Il villaggio globale multipiattaforma è diventato una gigantesca stanza degli echi, che fa rimbalzare, amplificandoli, messaggi già costruiti con la piena consapevolezza di questi meccanismi: casi che diventano quindi miracoli annunciati, profezie che si autoavverano.

Ho osservato questa dinamica su Twitter: i micro blogger italiani, molti legati alla stampa, riprendono gli studiosi stranieri, che riprendono i grandi quotidiani, che rilanciano i comunicati pubblicitari dell’azienda. Qualcuno, lamentandosi dell’eccessivo spazio occupato dai commenti a questo lancio, contribuisce ad aumentare il volume della comunicazione sul caso. Un circuito che vale anche per gli altri generi di notizie: ormai la stampa e la tv guardano sempre più massicciamente alla rete come fonte di contenuti e soprattutto di “novità”, nella frenetica rincorsa ad arrivare primi a dire qualcosa che non sia già stato detto. L’effetto è quello di rinforzo, di legittimazione reciproca. Sempre meno di pluralismo. Casi come questo dimostrano che la moltiplicazione dei canali e delle piattaforme non necessariamente diversifica i punti di vista. E, spesso, i giornalisti – con tutto il rispetto per chi svolge con impegno e coscienza questa importantissima professione – rischiano di trasformarsi in uomini di marketing al servizio – gratuito – delle aziende.

Una seconda considerazione è più antropologica: dispositivi come il nuovo iPhone sembrano realizzare il sogno prometeico di un controllo della realtà attraverso la tecnologia. E, in un mondo il cui il “pensiero” dominante tende a rifiutare la religione in nome della ragione, paradossalmente riaccendono la fiducia nella magia: come la bacchetta magica (un tipico dispositivo touch, estensione del braccio umano) era in grado di produrre immediatamente apparizioni, trasformazioni, eliminazioni, così lo smartphone, protesi ubiqua e sempre attiva, sempre più leggera, maneggevole (anzi, user friendly) e quasi trasparente ci consente, secondo la definizione di magia formulata dal celebre antropologo Marcel Mauss, di «azzerare l’intervallo tra desiderio e realizzazione»: le cose che desideriamo succedono immediatamente, basta un tocco (e la app giusta).

Forse, su questa nostalgia del magico occorrerebbe una riflessione. Poi ci sono le dinamiche sociali: il mimetismo, lo spostamento del desiderio su oggetti sempre nuovi, la rincorsa degli status symbol, il bisogno di sentirsi al passo con un tempo che corre sempre più veloce…  Pare, secondo alcune recenti ricerche svolte negli Usa, che la rincorsa all’ultimo modello, e la supremazia simbolica della “mela morsicata” stiano producendo nuove forme di disuguaglianza e una sorta di «razzismo tecnologico», che discrimina i not have: chi non possiede l’iPhone e deve ripiegare su dispositivi più economici, e chi non può permettersi il modello più aggiornato soffre di una sorta di «inferiorità sociale».

Le stesse tecnologie che hanno reso il mondo più orizzontale rischiano dunque di produrre nuove tensioni, se il discorso dell’innovazione viene affrontato solo in termini di entusiasmo tecnologico. E infine, anche ci sarebbe tanto ancora da dire, non si può negare un “effetto distrazione”. Proprio stamattina ho letto un tweet che mi ha fatto riflettere. Era in inglese, lo traduco così: «Più impressionante caratteristica dell’iPhone 5: capacità di eliminare dalla tua mente ogni fatto spiacevole che accade fuori». Anche di questo, forse, bisogna essere consapevoli.

Chiara Giaccardi / avvenire.it