Teologia: Una legge scritta dentro il cuore

«La Legge nuova è la grazia dello Spirito Santo ricevuta mediante la fede in Cristo. Essa è una legge d’amore, di grazia, di libertà» (Catechismo 1983. 1985).
L’opera di Cristo è completata e resa efficace dall’azione dello Spirito Santo. Per essa la legge evangelica è «legge nuova», in cui Tommaso d’Aquino traslittera la «legge dello Spirito» di san Paolo. Senza lo Spirito la legge è comando esteriore, fa sentire il suo peso, contrasta con la libertà. Per l’azione di grazia dello Spirito la legge è appello interiore, fa sentire il suo fermento, entra in sinergia con la libertà. Lo Spirito infatti è il Maestro interiore, operante nel cuore dell’uomo come luce dell’intelligenza e movente della volontà. È lui a compiere le promesse messianiche. Ezechiele: «Vi darò un cuore nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi». Geremia: «Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò nel loro cuore». Cuore nuovo e legge nuova declinano la novità di vita dei tempi messianici. San Paolo ci dà la consapevolezza di questa novità parlando del cristiano come di «una lettera di Cristo scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei nostri cuori». La novità della legge è la sua «scrittura» nel «cuore» (intelligenza e volontà) innovato dalla grazia, così da non percepirne l’onere, l’impotenza e il giudizio ma la sollecitazione, la luce e il vigore. La legge non è meramente imperativa: un «tu devi» impositivo esterno; ma un «tu puoi» di grazia, con cui molte volte san Paolo chiama la legge.
Legge di grazia, che non si limita a di dire ciò che si deve fare, ma dona anche la forza di farlo. Legge d’amore e di libertà, perché non subita e temuta come gli schiavi, ma accolta e corrisposta nel modo dei figli. «Noi – infatti – non abbiamo ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma lo Spirito che rende figli adottivi, il quale attesta al nostro spirito che siamo figli» (Rm 8,15). Così da rapportarci a Dio non come al padrone e al giudice, ma al Creatore e Redentore della nostra libertà.

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