Teologia. Alla coscienza si ubbidisce sempre

«La coscienza morale ingiunge, al momento opportuno, di compiere il bene e di evitare il male. Essa giudica anche le scelte concrete, approvando quelle che sono buone, denunciando quelle cattive» (Catechismo 1777).
«Dimora del bene», in tutte le sue espressioni ed esigenze, la coscienza si fa giudizio particolare di azione nella concretezza e singolarità di una situazione. Essa svolge un ruolo mediatore dalla norma universale e oggettiva all’azione determinata e concreta: dal bene valevole «per tutti», al bene valevole «per me», nel «qui e ora» di una situazione, in ciò che questa ha di unico e irripetibile. Non basta conoscere la legge, bisogna saperla attuare. Compito proprio della coscienza che, in una determinata contingenza o evenienza, procede a un discernimento di tutte le circostanze e componenti, le vaglia e valuta alla luce dei beni «in gioco» (e relative norme) e perviene a un giudizio di azione da compiere. Alla sua elaborazione concorre la virtù cardinale della prudenza, questa sapienza pratica che abilita a formulare «prudenti giudizi di coscienza». Ad essi la libertà deve sottostare, facendoli propri e traducendoli in azione. Non si può disubbidire alla coscienza. Fosse anche erronea, ma in modo incolpevole, essa va ubbidita. Prendiamo ad esempio il buon samaritano nella parabola omonima. Egli viene a trovarsi in una situazione determinata e concreta: un uomo gravemente ferito ai bordi di una strada interpella la sua coscienza. Questa discerne tutte le circostanze alla luce del bene della vita e della norma etica della carità, e formula un giudizio di azione a soccorso di quell’uomo. Lo fa proprio e lo attua.
Nella formulazione del giudizio di coscienza opera lo Spirito di Dio col dono del consiglio. Per esso la virtù deliberativa del bene da compiere (la prudenza) è sopraelevata a intelligenza ricognitiva della volontà di Dio nelle situazioni della vita (cf Rm 12,2). Così che ubbidire alla coscienza ha significato più che etico. Ha valore teologale di discernimento e adempimento della volontà di Dio.
In presenza del male compiuto – o per inadempienza del buon giudizio o per attuazione di un cattivo giudizio – la coscienza si fa rimorso e pentimento.

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