Palermo. Dopo lo choc della preside arrestata la comunità dello Zen vuole ripartire

L’ingresso della scuola

La scuola dedicata alla memoria del giudice Giovanni Falcone, nel cuore dello Zen, periferia estrema di Palermo, vuole riacquistare la propria serenità. Il quartiere ha bisogno di voltare pagina. Ma non è semplice. Lo choc proposto dalla cronaca è fortissimo e non accenna a diminuire. L’ex preside, la professoressa Daniela Lo Verde, è stata arrestata, nei giorni scorsi, con addebiti pesantissimi. Un colpo al cuore per chi guardava al cancello della scuola con fiducia. Non si deve mai generalizzare, oltre le singole responsabilità, oggetto di indagine. Né si può dimenticare l’impegno strenuo di tanti presidi e docenti a latitudini complicate. Però è vero che i simboli investono percezioni a larghissimo raggio.

Era una dirigente scolastica antimafia apprezzata, Daniela Lo Verde, insignita dell’onorificenza di Cavaliere della Repubblica, nota per il suo impegno in una zona difficile. Gli addebiti di corruzione e peculato sono punteggiati da ricostruzioni inquietanti. Come la sottrazione di pc e tablet, destinati agli alunni e il cibo tolto alla mensa scolastica. Notizie che indignano, in questa parte poverissima di Palermo, tra padiglioni diroccati, spazzatura non raccolta, esposta alla luce del sole, e disagi di vaste proporzioni. Quaggiù fare la fame non è un modo di dire.

Il dirigente reggente Domenico Di Fatta con alcuni docenti dell’istituto “Falcone” del quartiere Zen di Palermo

Il dirigente reggente Domenico Di Fatta con alcuni docenti dell’istituto “Falcone” del quartiere Zen di Palermo – Web

Ora tutti gli occhi sono puntati sul nuovo reggente, il preside Domenico Di Fatta che era già stato alla “Falcone” dieci anni fa. Toccherà a lui riannodare i fili della fiducia spezzata, un compito arduo.

«Non voglio entrare nel merito dell’inchiesta, ma so che le cose che si sono viste e sentite non sono belle – ha detto il preside appena insediato –. Le mamme e i papà percepiscono un tradimento ed è comprensibile, io dovrò cercare di far loro cambiare idea e di spiegare a tutti che gli errori, se ci sono stati, investono la responsabilità di singole persone».

Il professore Di Fatta è un dirigente esperto e tenace: «Dopo essere stato preside della “Falcone”, dieci anni fa – ha raccontato, illustrando il suo curriculum – sono andato al liceo “Danilo Dolci” a Brancaccio a poche centinaia di metri da dove venne ucciso don Pino Puglisi. Ora sono dirigente al “Regina Margherita” la cui succursale è stata vandalizzata l’anno scorso. Le prime cose da fare qui? Ascoltare le famiglie e le associazioni che operano nel territorio. Da questo brutto momento dobbiamo uscire tutti insieme».

«Confesso che nell’apprendere la notizia il primo sentimento è stato di pietà per la preside – ha detto padre Giovanni Giannalia, parroco allo Zen da un anno e mezzo –. Mi sembra, però, sbagliato inquadrare la cosa a partire dalla realtà del quartiere. Io ci leggo invece la profonda crisi e confusione nella quale la nostra umanità può precipitare se non preghiamo e vegliamo su noi stessi. Mi permetto anche di far notare che i crolli evidenziano spesso che qualcosa non funziona a livello di struttura, scambio, vigilanza, compartecipazione. Piuttosto che piangersi addosso credo sia giusto rimboccarsi le maniche e ripartire con umiltà rafforzando tutti questi aspetti».

E ci sono le parole di frate Loris, nato nel quartiere, oggi cappellano al carcere “Pagliarelli”: «Il danno che si è prodotto lo considero gravissimo. La ferita inferta è molto profonda e non si rimarginerà subito. È necessario ripartire dalla riconquista della fiducia di tutti, dai bambini, dai ragazzi. E ci vogliono i servizi. Qui si deve attuare un progetto di rinascita non più rimandabile».

La rabbia dei genitori che accompagnano i figli a scuola, ogni mattina, è palese. Devono attraversare strade ricolme di rifiuti e rottami per arrivare al presidio dell’istruzione e della legalità. Ma cadono le braccia se perfino i luoghi che consideravi un’isola felice mostrano delle crepe.

C’è stata un’assemblea all’interno dell’istituto, un momento serrato di confronto. Ognuno ha condiviso con gli altri la propria sofferenza. Davanti al cancello una mamma si è sfogata: «La vita non è comoda, abbiamo i mariti al “Pagliarelli” e dobbiamo fare tutto da sole. Mio figlio è sconvolto, mi ha detto: se la preside rubava, perché non posso rubare pure io…».

All’incontro è intervenuto il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla: «La scuola e le istituzioni vanno al di là delle singole persone, il messaggio educativo continua – ha detto –. Sono sgomento per ciò che viene proposto dalla stampa sull’operato della preside Daniela Lo Verde e mi auguro che alla fine possa essere dimostrato che abbiamo fatto tutti solo un brutto sogno perché, prima da assessore e poi da sindaco, ho sempre ritenuto l’istituto Falcone un avamposto di legalità che non può ammettere tradimento». Allo Zen c’è bisogno, ancora più di prima, di fare bei sogni.

avvenire.it

L’altra Palermo

Gli artisti e i volontari alla riconquista dello Zen

DA PALERMO ALESSANDRA TURRISI

Cantanti, coreografi, attrici… Sono ‘Quelli della rosa gialla’. Dimostrano che a Brancaccio si produce anche cultura, non soltanto mafia
 La Palermo della speranza

Quando i riflettori si ac­cendono sulla cronaca, tutto il resto spesso resta in ombra. Il pentito Ga­spare Spatuzza, condannato per l’omicidio di don Pino Puglisi, con le sue dichiarazioni sta provando a riscrivere alcune delle parti più nebulose degli anni delle stragi di mafia; lo Zen viene messo a ferro e fuoco per contrastare il cronico fenomeno dell’occupazione abu­siva delle case; il centro storico e le periferie sono invasi dalla spaz­zatura e dal degrado. Ma in que­gli stessi quartieri, all’ombra, ci sono segnali di rinascita che han­no i volti di artisti in erba e inse­gnanti missionari, sacerdoti che sanno operare nel silenzio e vo­lontari che vogliono sporcarsi le mani. Brancaccio, la borgata in cui qua­si 17 anni fa fu decisa l’esecuzio­ne di don Puglisi, il parroco che in appena tre anni era riuscito a svegliare le coscienze degli abi­tanti, è sempre una periferia dal­le mille contraddizioni. Qui ha ap­pena aperto un grande centro commerciale, c’è la nuova scuola voluta da don Puglisi, sono stati ri­puliti i famosi magazzini di via Hazon, negli anni Novanta sede di ogni forma di illegalità, ma re­stano i passaggi a livello a chiu­dere ed emarginare questo pezzo di città. «Qui c’è un mondo in mi­niatura, dalla povertà estrema al possidente terriero – racconta don Maurizio Francoforte, parro­co di San Gaetano da un anno e mezzo. – Gli spazi non mancano, ma non c’è una progettualità. Speriamo nell’apertura della fer­mata della metropolitana – ag­giunge – ma il problema è che le periferie non possono più essere viste come gli sgabuzzini della città, dove si mette tutto ciò che non si vuole nel salotto buono. Devono essere centri promozio­nali di riconquista sociale e cul­turale. Non dimentichiamoci che anche Gesù è nato in una perife­ria ». Così, in un quartiere dove la parola famiglia assume tutti i si­gnificati tranne quello corrente, dove il pagamento del pizzo, se­condo le inchieste della magi­­stratura, è a tappeto, qualche se­gnale di cambiamento arriva. «A partire dalla promozione della fi­gura di don Puglisi – dice don Maurizio. – Finora si è sottolinea­to poco che lui è morto per la co­munità, per difenderla, da pasto­re coerente. Lui non vedeva solo degrado e miseria, lui vedeva uo­mini, persone e ogni persona è preziosa. Così, adesso noi pre­ghiamo don Pino ogni giorno. Qualche tempo fa è morta una zia dei Graviano (i mandanti dell’o­micidio di don Puglisi, ndr ) e tut­ti, ai funerali, hanno pregato per don Pino». E poi bisogna puntare sulla fami­glia, quella vera, «rimetterla al centro con un progetto educativo – aggiunge il parroco. – Bisogna responsabilizzare la famiglia, per curare la crescita nella fede dalla nascita alla morte. Ma dobbiamo anche incidere nella cultura di questo quartiere, entrare in rela­zione con la scuola, le biblioteche, dobbiamo insegnare ai bambini ad avere rispetto delle istituzioni, del creato, delle leggi, e agli adul­ti a fare emergere quello che c’è di bene». Un esempio esiste già e porta il nome del fiore preferito da don Puglisi. L’associazione ‘Quelli del­la rosa gialla’, fondata undici an­ni fa da Pippo Sicari, un medico di Brancaccio che la guerra di mafia l’ha vista in diretta, ma che ha de­ciso di «portare avanti gli inse­gnamenti di pace e legalità di don Pino e dimostrare che a Brancac- cio si può produrre anche cultu­ra, non solo mafia». Oggi sono 150 i giovani e meno giovani di tutta la città, che hanno scoperto i va­lori della vita grazie al canto, mi­gliaia quelli che li hanno assapo­rati come spettatori dei musical portati in giro per l’Italia. Un suc­cesso straordinario il Father Joe, dedicato a don Puglisi, nel 2008 al Brancaccio di Roma. Adesso la nuova missione è sensibilizzare i giovani contro l’abuso di alcol e contro le stragi del sabato sera. È questo il tema della favola-musi­cal Petali nel blu , realizzata su commissione della Polizia di Sta­to e messa in scena già a Palermo e Catania. E i primi risultati, in termini occupazionali e artistici, si sono già visti: «Nico ha canta­to a X Factor – racconta Sicari – Valentina, Serena e Angela sono diventate coreografe, Debora e Antonella attrici. Il mio sogno è creare qui, a Brancaccio, una scuola di teatro». Perché è strappando luoghi e braccia all’illegalità che si co­struisce il vero riscatto di Paler­mo. Anche a costo di diventare bersaglio di loschi interessi cri­minali. Una testimonianza arri­va dal centro storico, a due passi dal porticciolo della Cala, vecchio cuore antico della città. A piazza Tavola Tonda, è nato il Centro del­le arti e delle culture, che fra le va­rie associazioni ospita anche l’a­silo multietnico Ubuntu, più vol­te destinatario di attentati inti­midatori. Interamente gestito da volontari e collaboratori, offre un servizio gratuito ai bambini da zero a cinque anni. Per i più gran­di che frequentano le elementa­ri, la struttura si trasforma in una ludoteca dove trascorrere il po­meriggio e svolgere i compiti do­po la scuola. Ottanta bambini di diverse nazionalità, tutti figli del­le famiglie di immigrati che han­no trovato a Palermo un’alterna­tiva agli stenti dei loro Paesi. Piccoli cuori pulsanti in realtà che, dall’esterno, sembrano ari­de, immobili e piene di contrad­dizioni. L’emblema di ciò che questi quartieri sarebbero potu­ti diventare è quell’enorme inse­gna piantata al centro di una piazza dello Zen e circondata da rifiuti di ogni genere. A sorpresa recita ‘Il giardino della civiltà’. Uno scorcio di ‘paesaggio’ che le decine di bambini che fre­quentano il doposcuola e le atti­vità ricreative dell’associazione ‘Lievito’ si trovano sotto gli occhi quando escono da casa, quando aprono la porta del centro, quan­do vanno a scuola, quando gio­cano per strada. E proprio lì, in al­cuni locali incuneati in una delle insule progettate da Vittorio Gre­gotti e diventate paradigma del degrado sociale, quei volontari hanno deciso, quattro anni fa, di creare la propria sede operativa. I volontari sono tutti ragazzi dello Zen e suore di Carità che opera­no nel quartiere. «Abbiamo detto basta con l’ottica assistenziale, per cui gli aiuti vengono solo dal­l’esterno e, se sei un poveraccio, ci puoi restare» precisa il presi­dente Salvo Riso. Ed è scattata la logica della collaborazione fra le diverse realtà presenti a San Fi­lippo Neri, per tentare di diven­tare compagni di viaggio di chi è abituato ad avere come unica scelta quella dell’illegalità.