Via Crucis a Reggio Emilia dalla Ghiara alla Cattedrale

Via Crucis a Reggio Emilia, 7 aprile 2023

laliberta.info

Venerdì 29 marzo la Via Crucis cittadina di Reggio Emilia parte dal sagrato della basilica della Ghiara e arriva in Cattedrale percorrendo corso Garibaldi e via Farini.
Il ritrovo è per le ore 21 e lungo il percorso verso la Cattedrale sono previste quattro soste (stazioni).
Lungo Corso Garibaldi, la Croce si fermerà nei pressi di Palazzo Magnani e in piazza del Cristo. In seguito, procedendo lungo via Farini, la processione sosterà all’altezza della chiesa di San Giorgio e si fermerà sul sagrato della Cattedrale dove è prevista la quarta stazione.

Ad animare e guidare ogni sosta saranno alcune delle associazioni ecclesiali presenti in Diocesi. Interverranno: Azione Cattolica Diocesana, Movimento di Comunione e Liberazione, Associazione Giuristi Cattolici, Movimento Familiaris Consortio e Rinnovamento nello Spirito.

La conclusione della Via Crucis, la quinta stazione, avverrà all’interno della Cattedrale dove interverrà l’arcivescovo Giacomo Morandi al termine del quale sarà possibile sostare per un momento di adorazione della Croce.

In caso di maltempo la Via Crucis si svolgerà all’interno della Cattedrale.

Via Crucis. La via del Calvario facendoci toccare dalla vita del mondo


Signore, nostro Dio e nostro Padre,
ti domandiamo la conoscenza
della Croce del tuo Figlio.
Donaci di contemplarlo
come l’ha contemplato Giovanni, il testimone fedele;
come l’hanno contemplato i primi cristiani,
e Stefano negli ultimi momenti della sua vita.
Donaci, Padre, di contemplare la gloria
che hai dato a tuo figlio e che risplende nella Croce.
Rendici partecipi della contemplazione
dei santi Padri della Chiesa,
dei santi e dei mistici di tutti i tempi,
di coloro che hanno dato la loro vita per la fede
e che hanno perdonato a chi faceva loro del male.
Te lo chiediamo per Gesù
che ha perdonato i suoi nemici,
per questo Gesù che è il Messia,
il Cristo nostro Signore, che vive per sempre. Amen.
(C.M. Martini)

Prima stazione

L’ingiustizia, vicina e lontana, che abita la realtà.

Gesù viene condannato. C’è il potere religioso, parole che reclamano la verità del volere di Dio come se fosse un’evidenza legale. C’è il potere politico, parole che costringono e cancellano la dignità delle persone. In mezzo Gesù, condannato: lo immaginiamo di spalle, senza volto, uno e nessuno, con le mani legate dietro la schiena, impotente. Eppure sono mani che hanno accarezzato, che hanno abbracciato, che hanno guarito, che hanno rassicurato. Quante mani abbiamo lasciato legare?

Seconda stazione

[2 giugno 2023 – Europa Today] Dopo la riconquista di Kabul da parte dei talebani, si sono moltiplicate in Europa le promesse di accoglienza nei confronti dei cittadini afghani in fuga dal regime fondamentalista. Ma a quanto pare alle parole non hanno seguito i fatti. Lo scorso anni nell’Unione europea sono stati reinsediati solo 271 afghani, lo 0,1% dei 270mila identificati come bisognosi di protezione permanente nei campi profughi. L’International Rescue Committee – organizzazione non governativa globale per gli aiuti umanitari, il soccorso e lo sviluppo che fornisce aiuti di emergenza e assistenza a lungo termine a rifugiati e sfollati – ha accusato i leader del blocco di “sconcertante negligenza” nei confronti dei rifugiati afghani, molti dei quali rimangono intrappolati in condizioni “simili a quelle di una prigione” sulle isole greche.

La trave orizzontale della croce, sulle spalle del condannato, è così pesante che schiaccia verso terra. La mano di Gesù sembra che vi si aggrappi, quasi cercasse sollievo in ciò che l’opprime, quasi tentasse di capirne il senso. Accanto e intorno, altre mani legate, altri condannati che urlano di dolore. Dietro e attorno volti beffardi, occhiaie vuote, indifferenza, parole di fastidio. E anche due volti segnati dalla sofferenza, confusi tra la folla il discepolo amato e la madre, che sono ancora, anche qui, accanto a Lui.

Terza stazione

[16 settembre 2023 – SkyTG24] Un anno di scontri, violenza, morte e repressione. Un anno di grida, sorellanza, speranza e coraggio. Per le donne iraniane c’è un prima e un dopo il 16 settembre 2022. Lo spartiacque è nel volto di una ragazza dai capelli neri. Il suo nome, Mahsa Amini, sarà urlato da milioni di donne in tutto il mondo. Le donne scendono in strada, gridano il suo nome, si tagliano i capelli e bruciano gli jihab in pubblico. L’Iran, insieme all’Afganistan è uno dei due unici Paesi del mondo dove l’uso dello jihab è obbligatorio per legge (la legge sull’obbligo del velo è in vigore dal 1981, poi modificata nel 1983). Le manifestazioni esplodono a Teheran lo stesso giorno della morte di Amini, arrivano in fretta alla sua città natale e ad altre città della provincia del Kurdistan, per poi estendersi a macchia d’olio in tutto il Paese. In strada scendono donne e uomini di diverse età e appartenenza sociale, gli studenti sono protagonisti. In risposta alle proteste il governo blocca Internet a partire dal 19 settembre 2022.

Le mani di una donna reggono il telo che ha asciugato il sangue e il sudore di Gesù, uno dei condannati. È come se il sangue e l’acqua, l’ultimo segno di vita che il corpo del condannato lascia uscire, si fossero già offerti in ricompensa a chi ha avuto compassione di lui: su quel velo resta impresso il suo volto, ed è il volto della compassione. Veronica, “vera immagine” della pietà: la sua per noi, la nostra per lui e per tutti quelli che la vita ha reso “sfigurati”.

Quarta stazione

[16 dicembre 2023 – La Repubblica] “Costretti a combattere”: l’incubo degli ucraini ora sono le agenzie di reclutamento forzoso… A Kiev, una mattina di novembre, verso le otto, Romain Mille si è sentito precipitare in un pessimo film d’azione. Mentre stava camminando per andare al lavoro, un minivan bianco ha inchiodato accanto a lui. La portiera scorrevole si è spalancata e due ceffi in mimetica sono saltati fuori e hanno cercato di trascinarlo nel veicolo. «Mi sono salvato soltanto perché ho tirato fuori il passaporto francese», ci racconta al telefono. I due tizi che volevano rapirlo in mezzo alla strada – un terzo era rimasto al volante col motore acceso – hanno fissato per un po’ il passaporto, poi si sono messi a ridere e se ne sono andati.

Attorno a Cristo, lungo la via angusta, c’è ora folla e tante mani che si levano. Quelle del condannato sembrano una cosa sola con la trave che lo opprime e gli spezza le spalle. Quelle della gente attorno, soprattutto donne con i loro figli, sono livide, si coprono il volto, ma l’orrore dilaga negli occhi e sulle labbra. Come sostenere il dolore? Come portare aiuto al condannato, sottratto con violenza alla vita, alla cura e all’affetto di chi gli ha voluto bene? Non c’è risposta: il dolore rende muti. In alto, come uno spiraglio o una speranza, il sole.

Quinta stazione

[21 febbraio 2024 – Avvenire] «Nelle prime ore del 15 febbraio – ricostruisce Medici senza Frontiere – veniva colpito il reparto di ortopedia dell’ospedale Nasser, la struttura sanitaria più grande nel sud di Gaza, provocando il caos e uccidendo e ferendo un numero imprecisato di persone. Temendo per la propria vita, i membri dello staff dell’organizzazione sono dovuti fuggire dal complesso lasciando dietro di sé diversi pazienti in gravi condizioni. Tutto questo è avvenuto dopo settimane di pesanti combattimenti nei pressi della struttura, in cui il personale medico, i pazienti e gli sfollati si sono ritrovati intrappolati con un accesso molto limitato alle forniture essenziali. All’esterno, molte persone ferite a causa degli intensi bombardamenti a Khan Yunis non hanno potuto raggiungere l’ospedale per ricevere cure di emergenza».

Sotto un cielo dilatato e un pallido sole Gesù stramazza al suolo, il volto sfigurato, ridotto a una massa indistinta, una poltiglia; del corpo è come se restassero solo le mani. Com’era già accaduto al Getsemani: «Cadde con la faccia a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora» (Mc 14,35). L’ora non passa, anzi il suo peso si aggrava. Occorre attraversare anche questo. Quale preghiera è possibile mentre si sale verso il colle della morte? Quale animo occorre per affrontare una solitudine così grande? Perché questo abbandono?

Sesta stazione

[20 novembre 2023 – Italo D’Angelo, Interris.it] In questi giorni in cui si parla delle troppe violenze che coinvolgono le donne, io posso solo dire: non perdonate! Difendetevi. La violenza si sviluppa in modo graduale, quasi sempre crescente e ciclico. Gli episodi violenti crescono di intensità nella vita quotidiana fino allo scoppio della tensione, a cui segue un periodo di calma fino all’episodio seguente: minacce, aggressioni verbali, umiliazioni, percosse, omicidio. C’è un’altra violenza, che non è meno grave delle altre. Come può un essere umano pensare che quella ragazzina che si prostituisce, a bordo della strada, nel freddo d’inverno o sotto la pioggia o il sole d’estate, lo faccia liberamente? Eppure giovani, anziani, uomini di ogni genere, pensano con pochi euro di poter comprare la dignità di una persona. “Ma fanno il mestiere più vecchio del mondo…?”. Sì, e se fosse tua figlia, magari disoccupata, quel “mestiere” glielo faresti fare? No. Come diceva don Oreste Benzi: non è il mestiere più vecchio del mondo, ma l’ingiustizia più vecchia del mondo.

Lo sguardo si allarga, la scena comprende anche gli altri condannati; due, o forse molti di più, in una uccisione di massa per risparmiare tempo e personale. Le mani e i piedi sono inchiodati: non c’è più un luogo dove andare, strada da fare, gesti da compiere. Le travi, pesanti e massicce, sono il segno di tutte le oppressioni – fisiche e mentali – che donne e uomini soffrono. Nei volti dei condannati si intravedono tutti i volti immersi nel buio della sofferenza, senza giudizi, senza categorie. Nella sua via dolorosa Gesù porta con sé chiunque sperimenti violenza, ingiustizia, sopraffazione e abbia nel cuore una nostalgia. Se è vero che Gesù muore “per” noi, ci sorprende e commuove vedere che Lui muore “con” noi.

Settima stazione

[26 gennaio 2024 – Wired] L’Alabama è il primo stato al mondo a eseguire una condanna a morte costringendo un detenuto a inalare azoto puro. L’azoto è presente nell’aria che respiriamo, ma se inalato in mancanza totale di ossigeno può causare in poco tempo la perdita di conoscenza e la morte. Kenneth Smith, 58 anni, è in carcere dal 1998. Condannato all’ergastolo dalla giuria, la sua pena è stata commutata in condanna a morte dal giudice. Alle 19 ore locale – le 2 di notte in Italia – del 25 gennaio nel carcere di Atmore Smith è stato tratto nella sala dell’esecuzione, dove – dopo essere stato legato al lettino dell’esecuzione – è stata apposta una maschera sul volto per coprire naso e bocca e far fluire azoto puro a pressione, in modo da impedirgli di assorbire ossigeno. Una morte per asfissia, la prima al mondo. Il condannato è morto alle 20.25 locali, circa un’ora e mezza dall’inizio dell’esecuzione. L’inalazione forzata è durata 22 lunghissimi minuti. L’uomo, all’inizio cosciente, ha poi avuto spasmi e contorsioni causate dal dolore, prima di morire.

La morte di Cristo: un corpo senza più respiro né forza, lacerato e abbandonato su un legno; ridotto a un rottame, lo hanno buttato “fuori”. Pallidissimi, i volti e le mani di Giovanni, Maria la madre e la Maddalena, sono immersi nelle tenebre, come se la pietra avesse già chiuso il sepolcro. I vangeli ricordano che, alla sua morte, il velo del Tempio si squarciò (Mt 27,51). Dietro quel velo era occultata la Presenza, il Dio invisibile. Ora quel velo è diventato inutile, distrutto e reso insignificante proprio da quella morte. Ora il volto di Dio si rivela: è il volto del Crocifisso. Quel corpo infatti nasconde un Dio che ama e che – in quella morte, in quell’abbandono, in quella lacerazione – si “svela” perché la oltrepassa.

Ottava stazione

I ‘media’ mostrano il volto di Lyudmila, madre di Aleksej Navalny: ferma nella sua intenzione a non far passare sotto silenzio le continue irregolarità e omissioni che riguardano la salma del figlio, consegnatole infine – dopo minacce e ultimatum – insieme a un certificato che stabilisce la morte per «cause naturali». La vedova Yulija Navalnya intanto accusa Putin di «satanismo» e «paganesimo», puntando il dito sul fatto che la tanto sbandierata vicinanza del presidente russo alla chiesa ortodossa si sia dimostrata con questa vicenda una vicinanza opportunistica e di facciata. «Sta violando qualsiasi legge, sia umana che divina», ha detto.

Il corpo deposto dalla croce riposa pacificato sul corpo della madre, quasi un ritorno all’utero che lo aveva generato. Le mani, ora, sono quelle dell’affetto, della custodia, della protezione, della cura. Quelle di Cristo appaiono trafitte dai chiodi. La morte rimane, con la sua illusione di predomini, ancora non è sconfitta, ma ha già perduto la sua preda. La vita appare e resiste nella “pietà”, che guarisce e consola. È già un preludio di risurrezione.

Nona stazione

L’attesa, l’ostinazione, la speranza di chi vive, grida, aiuta, non si rassegna.

In fondo all’oscurità di un sepolcro trova posto un cadavere. Ma c’è luce, non si sa come, e l’intuizione di una vita pronta a esplodere. La corona di spine, scherno e dolore, diviene corona di gloria. Il volto, che appena si indovina sotto il telo, tornerà vivo per donarci la “sua” pace. E questo è un canto di speranza che sorregge l’attesa. Ogni Via Crucis è un cammino di dolore per le strade del mondo, il punto di arrivo è il “riposo del sabato santo”, oltre il quale – nella fiducia e nella speranza talvolta “contro ogni speranza”, ci viene dato di accogliere con stupore la luce e la gioia della Pasqua.

Conclusione

O Cristo, nostro unico mediatore, Tu ci sei necessario:
per vivere in Comunione con Dio Padre;
per diventare con te, che sei Figlio unico e Signore nostro, suoi figli adottivi;
per essere rigenerati nello Spirito Santo.
Tu ci sei necessario,
o solo vero maestro delle verità recondite e indispensabili della vita,
per conoscere il nostro essere e il nostro destino, la via per conseguirlo.
Tu ci sei necessario, o Redentore nostro,
per scoprire la nostra miseria e per guarirla;
per avere il concetto del bene e del male e la speranza della santità;
per deplorare i nostri peccati e per averne il perdono.
Tu ci sei necessario, o fratello primogenito del genere umano,
per ritrovare le ragioni vere della fraternità fra gli uomini,
i fondamenti della giustizia, i tesori della carità, il bene sommo della pace.
Tu ci sei necessario, o grande paziente dei nostri dolori,
per conoscere il senso della sofferenza
e per dare ad essa un valore di espiazione e di redenzione.
Tu ci sei necessario, o vincitore della morte,
per liberarci dalla disperazione e dalla negazione,
e per avere certezze che non tradiscono in eterno.
Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio-con-noi,
per imparare l’amore vero e camminare nella gioia e nella forza della tua carità,
lungo il cammino della nostra vita faticosa,
fino all’incontro finale con Te amato, con Te atteso,
con Te benedetto nei secoli. Amen.
(S. Paolo VI)
in vinonuovo.it

Via Crucis in Santo Stefano

Partecipazione, raccoglimento, silenzio hanno contrassegnato la Via Crucis che la parrocchia dei Santi Agostino, Stefano e Teresa ha organizzato la sera di venerdì 31 marzo.

Piazza Ugolini, l’ospitale cortile dell’Istituto delle Figlie di Gesù e infine l’antica parrocchiale di San Stefano sono stati i luoghi scelti per le stazioni.

Le meditazioni sono state proposte dalle bambine e dai bambini del catechismo che assieme ai loro genitori hanno letto i brani del Vangelo, i commenti e le intenzioni di preghiera.

La Via Crucis è stata guidata dal parroco don Luca Grassi; al suo fianco il diacono Vittorio Magnanini che reggeva la croce astile; nella stazione conclusiva in chiesa sono stati significativamente alcuni bimbi a sostenerla.

L’iniziativa è stata coordinata da Paola Zanetti, Cinzia Carapezzi, Elena Bonini e Lara Montruccoli con il supporto di suor Giampaola Poli e Simone Buffagni.

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