Dagli Usa plauso al Mose, ma per Venezia prevedono scenari apocalittici

Il Washington Post: “È una soluzione storica per il cambiamento climatico ma che ora ha ridotto i timori che Venezia si trasformasse in una moderna Atlantide”

Da Usa plauso a Mose ma per Venezia prevedono scenari apocalittici

AGI – Il Washington Post celebra l’ultima prodezza del Mose, la barriera meccanica che si eleva nella laguna di Venezia in occasione delle alte maree e che pochi giorni fa ha salvato la città da un’ondata eccezionale, di gran lunga superiore alle alte maree che si sono ripetute nel tempo, a cominciare da quella di tre anni fa quando una storica ondata d’acqua si è riversata in città “inondando ristoranti e chiese, lanciando barche nelle calli e lasciando i veneziani attoniti e angosciati per un futuro di eventi sempre più estremi.

Ma la scorsa settimana – riferisce il giornale – ne è arrivato uno di quegli eventi – una marea grande quasi quanto quella del 2019 – e i residenti se ne sono accorti a malapena, a parte un po’ di vento e pioggia. La città ha resistito ed è stata risparmiata dal disastro”.

Merito del Mose, ovviamente, progetto ingegneristico – non manca di sottolineare il Post – “da 6 miliardi di dollari” progettato per proteggere Venezia dalle inondazioni. La città lagunare è ora “protetta da 78 barriere metalliche rettangolari, ciascuna dell’altezza di un edificio di cinque piani, che vengono pompate d’aria e sollevate dal fondo del mare ogni volta che l’acqua alta la minaccia”.

“È una soluzione storica per il cambiamento climatico, che ha richiesto 30 anni di progettazione e 20 anni di costruzione ma che ora ha ridotto i timori che Venezia si trasformasse in una moderna Atlantide”, rileva il quotidiano della capitale americana, che però non si esime dal chiedersi: ma cosa potrebbe accadere in futuro, “quando il sistema di salvaguardia potrebbe essere messo alla prova con un innalzamento del livello del mare di 30 centimetri?”

Giovanni Zarotti, direttore tecnico del Consorzio Venezia Nuova, il consorzio di imprese edili che gestisce il sistema di sbarramento delle alte maree, risponde che il sistema che salvaguarda Venezia a quel punto “potrebbe essere sottoposto a forte stress”.
Tanto più che le proiezioni indicano che tutto ciò potrebbe verificarsi entro la metà del secolo. Quindi le sorti di Venezia sono in mano alle decisioni che le principali nazioni adotteranno nel ridurre drasticamente le emissioni di Co2 nell’atmosfera, che sono all’origine del cambiamento climatico. Se così accadesse, “il Mose potrebbe ancora funzionare per 100 anni come previsto, dicono gli scienziati”, chiosa il Post.

Riferisce il quotidiano che “per ora, il Mose viene utilizzato con parsimonia, di solito in inverno, quando i venti più forti tendono a creare mareggiate lungo tutto il mare Adriatico. Ogni suo utilizzo però costa circa 300.000 dollari, ma se i mari si alzassero anche di 30 centimetri, “il Mose si alzerebbe un giorno ogni tre o quattro volte” annota il Washington Post.

E secondo Zarotti ciò stresserebbe il sistema, rendendo difficile la sua manutenzione e interferendo con il traffico marittimo. Ma alla domanda precisa se per il Mose sarebbe sostenibile lavorare e difendere Venezia con un aumento di 30 centimetri del mare, direttore tecnico del Consorzio Venezia Nuova, ha risposto: “Per come la vedo io, no”.

Gli scenari sono però terrificanti. Scrive il quotidiano Usa: “E se i mari si alzassero di 60 centimetri – uno scenario che è già in gioco per il 2100 – il Mose verrebbe utilizzato fino a 500 volte all’anno. Proiezioni più terribili per il 2100 suggeriscono un innalzamento del mare di oltre un metro. A quel punto, la laguna sarebbe chiusa praticamente tutto l’anno”.

Ma per Venezia sarebbe anche la fine. Perché nel migliore dei casi sarebbe una palude asfittica, putrida e maleodorante. Nel peggiore, se le onde avessero superato anche le paratie, verrebbe del tutto sommersa.

Venezia. Padre Pio difensore dei poveri nel film (che farà discutere) di Abel Ferrara

In anteprima mondiale il film del regista italoamericano sulla figura del Santo di Pietrelcina
Shia LaBeouf in "Padre Pio" di Abel Ferrara

Shia LaBeouf in “Padre Pio” di Abel Ferrara – .

Avvenire

«Allora lei scrive per la stampa cattolica? Le è piaciuto il film?». Diretto e attento il grande regista newyorkese Abel Ferrara, che vive in Italia da anni, fa subito capire quanto ci tiene al suo ultimo film Padre Pio, scritto con Maurizio Braucci, che ieri è stato presentato in anteprima mondiale alla Mostra del Cinema di Venezia in concorso alle Giornate degli Autori.

Protagonista la tormentata star di Hollywod Shia LaBeouf, ferma da due anni a causa di una vita turbolenta e guai giudiziari, che pare avere trovato la sua strada nella conversione al cattolicesimo (di nascita è ebreo) proprio interpretando il frate di Pietrelcina.

Il protagonista della saga di Transformers ha raccontato questo percorso di fede, che gli ha salvato la vita dalle tentazioni di suicidio, in una lunga intervista su Youtube al vescovo americano Robert Barron e ieri lo ha ribadito presentandosi alla proiezione ufficiale al Lido.

Padre Pio di Ferrara si focalizza sull’arrivo del giovane frate di Pietrelcina a San Giovanni Rotondo, nel foggiano, terra di povertà e sfruttamento dei lavoratori da parte dei grandi proprietari terrieri e si interseca con la storia dell’eccidio di San Giovanni Rotondo il 14 ottobre del 1920. In paese le elezioni erano state vinte dai socialisti, che al momento di insediarsi nel municipio trovarono la via sbarrata dai carabinieri ai quali era stato ordinato di impedire l’esposizione della bandiera rossa dal balcone comunale.

Nei disordini che ne seguirono rimasero uccisi 13 lavoratori e un carabiniere e oltre 60 persone furono ferite. Fortunatamente Ferrara non dà alcun adito alle calunnie che volevano Padre Pio coinvolto, anzi, punta il dito sugli Arditi d’Italia, un gruppo nato in seno alla sezione Mutilati e Combattenti. «Da qui inizia il fascismo che ha cambiato la storia del mondo – sostiene convinto il cineasta – . Padre Pio è estraneo ad ogni connivenza coi potenti locali ». Però vogliamo essere franchi: la parte dedicata a Padre Pio, con i tormenti spirituali, i dubbi, le visioni, le lotte col demonio, prima di ricevere le stimmate viene basata su una accurata ricerca e sulle lettere del frate, ed è intensa, profonda e a tratti affascinante.

Specie nella convinta interpretazione del bravissimo LaBeouf che vediamo nei panni di Padre Pio dire messa, confidarsi con i suoi confratelli (sono tutti frati veri in scena) confessare, operare un primo miracolo e soffrire per le ingiustizie dei suoi poveri.

Mentre ci lascia un po’ spiazzati la preponderanza della parte sociopolitica che tenta la carta pasoliniana, ma risulta avere il passo della fiction televisiva all’italiana (il cast è in maggior parte nostrano), non senza scivolare in alcuni luoghi comuni. Il parroco del paese che intasca soldi dai nobili e addirittura benedice con l’acqua santa i fucili e le pistole dei carabinieri che spareranno sulla folla induce all’equivoco mostrando una Chiesa incapace di stare al fianco dei più deboli. Soprattutto ci si trova di fronte a due film i cui filoni narrativi fanno fatica a intrecciarsi.

Il punto di incontro per il regista è l’apparizione delle stimmate di Padre Pio proprio allora. «Padre Pio ha vissuto con quella gente, le sue stimmate sono emerse allora per la sua passione per gli ultimi, sono una risposta alla realtà». La forza spirituale del santo canonizzato nel 2002 da Giovanni Paolo II, trascende comunque nel film anche lo scetticismo sui miracoli del buddista Ferrara. Nel lavoro sono stati coinvolti, fra gli altri, i frati cappuccini della provincia di Foggia, la Comunità monastica dell’Abbazia di Santa Maria di Pulsano, il Santuario di San Michele Arcangelo, Padre Pio Tv, il Convento dei frati minori ex Abbazia Santa Maria di Giosafat, la Biblioteca provinciale Francescana “P. Antonio Fania”.

Ed ora la produzione sta cercando di organizzare una proiezione in Vaticano e di incontrare papa Francesco. «Quando Shia ha iniziato a lavorare al film si è chiuso in un monastero cappuccino in California dove è rimasto due mesi vestendo il saio. Quando l’ho incontrato a Fiumicino è sceso dall’aereo vestito così… Shia crede davvero, nel film non recita, non potrebbe farlo. I frati hanno accettato lui, hanno abbracciato me e il film dove sono protagonisti».

La lotta fra il bene e il male, che da sempre affascina il regista americano, arriva da esperienze personali profonde. «La grande connessione tra Shia LaBoeuf e me è che ambedue abbiamo usato alcol e droghe, abbiamo dovuto affrontare questa dipendenza. Si era creato un muro tra noi e la spiritualità, ma c’è il perdono nel viaggio dal buio alla luce. Io sono buddista, sono cresciuto cattolico. Mio nonno è nato lo stesso anno di Padre Pio, un campano anche lui, di Sarno, poco distante da Pietrelcina – conclude Ferrara – . Siamo andati nei suoi luoghi ed abbiamo parlato con i testimoni diretti. E così è venuto fuori questo mio film in cui ho voluto che Padre Pio venisse visto come un uomo, non come un santo, specie nel periodo in cui era giovane e stava lottando con la sua fede». Comunque, alla fine della proiezione lunghi applausi per LaBoeuf.

Film che farà discutere quello del regista italoamericano sulla figura del Santo di Pietrelcina:

Venezia: 100mila per il Redentore,show pirotecnico in laguna

Il gemellaggio di Venezia con la città ucraina di Odessa e un inno alla pace.

Questo il tema dei fuochi d’artificio proposto dal Redentore 2022, una festa di colori per 100mila persone, tante ne sono arrivate, nel rispetto delle norme di sicurezza e del contingentamento anti-ressa, nella “notte famosissima”, quella con cui da 500 anni Venezia ricorda la fine della peste nel 1577.

Quaranta minuti di spettacolo puro, in cui hanno dominato i colori del rosso, del blu, dell’oro. Quasi 30mila le persone che vi hanno assistito in laguna, nelle barche, oltre 42mila erano sulle rive, mentre altre 25mila circa dai plateatici di hotel e ristoranti e dalle isole attorno. Nonostante l’enorme afflusso, tutto si è svolto senza problemi. Complessivamente durante i 40 minuti di spettacolo sono stati sparati 6.500 fuochi d’artificio, per un totale di 2.500 kg di materiale esplodente posizionato su 5 grandi zattere per i grandi calibri, a cui si sono aggiunti altri 25 pontoni di misure minori per i “foghi” di piccolo calibro. (ANSA). 

 

Venezia. Tornano splendere i polittici di Antonio Vivarini in San Zaccaria

Torna a splendere il Polittico della Vergine, opera di Antonio Vivarini (Murano, 1420 – Venezia, 1480 ca.) e di Giovanni d’Alemagna (m. Padova, 1450), con la collaborazione dell’intagliatore Ludovico da Forlì per la preziosa cornice lignea, realizzato tra il 1440 e il 1443 e collocato nella Cappella di San Tarasio, nella Chiesa di San Zaccaria a Venezia. Il restauro appena concluso si colloca a conclusione di un lungo e complesso intervento dell’Istituto Centrale del Restauro, realizzato in collaborazione con la Soprintendenza e il Patriarcato di Venezia, che ha portato al risanamento dell’intero gruppo dei tre preziosi polittici, realizzati secondo un progetto unitario dalla bottega di Antonio Vivarini per la Cappella di San Tarasio. Il progetto iniziato nel 2013, ha visto infatti prima il Polittico di Santa Sabina (altare di sinistra) quindi quello del Corpo di Cristo (altare di destra), infine sul Polittico della Vergine (altare centrale). A coronamento del progetto è in fase di preparazione un nuovo intervento conservativo che interesserà gli affreschi di Andrea del Castagno sulla volta e le decorazioni pittoriche presenti sulle pareti della Cappella.

da avvenire

Il Polittico della Vergine dopo il restauro

Il Polittico della Vergine dopo il restauro – Patriarcato Venezia / Mibac

Il Polittico della Vergine

La grande macchina d’altare vede le tavole dipinte inserite in una complessa cornice lignea dorata, dipinta e arricchita da busti di santi scolpiti in legno, mentre sul retro si configura come un grande armadio-reliquiario, dove sono dipinti, sugli sportelli, i santi dei quali erano conservate le reliquie.
Il restauro ha interessato le cinque tavole dipinte del fronte, due solo delle quali però sono direttamente riconducibili alla mano del pittore di Murano e del suo socio Giovanni d’Alemagna: sono quelle raffiguranti San Marco e Santa Elisabetta, collocate alle due estremità del polittico. Le altre tre tavole, ovvero quelle centrali raffiguranti la Vergine in trono con il bambino, San Biagio e San
Martino, provengono da un altro polittico smembrato, quello della Scuola dell’Arte dei Forneri (Fornai) a Santa Maria dell’Orto, e sono opera del pittore Stefano “pievano di Sant’Agnese”, come lo stesso artista si firma nella tavola centrale raffigurante la Vergine, datando al contempo l’opera al 1385. La presenza delle tre tavole dipinte da Stefano di Sant’Agnese all’interno del Polittico della Vergine è dovuta ad un restauro ottocentesco, attraverso il quale si operò la sostituzione di 3 tavole originali della bottega Vivarini, evidentemente ammalorate o perdute, con altrettante opere di Stefano.

Il Polittico di Santa Sabina dopo il restauro

Il Polittico di Santa Sabina dopo il restauro – Patriarcato Venezia / Mibac

Il Polittico del Corpo di Cristo e il Polittico di Santa Sabina

Concepiti secondo un progetto unitario quale corredo del polittico maggiore o della Vergine, e caratterizzati come questo dalla stretta associazione tra la componente figurativa su tavola e la complessa macchina lignea della cornice, anche i due polittici realizzati dalla bottega di Antonio Vivarini per gli altari laterali della Cappella di San Tarasio univano alla destinazione ornamentale una precisa funzionalità.
Il Polittico del Corpo di Cristo, collocato a destra, era destinato ad accogliere l’ostia consacrata, che veniva allocata nello sportellino centrale decorato con la rappresentazione dell’Imago Pietatis, ossia del Cristo a mezza figura con il corpo offeso dai segni della Passione. Nel polittico di Santa Sabina, posizionato sull’altare di sinistra, era invece custodita la preziosa reliquia del sangue di Cristo, che trovava posto nello sportello individuato dalla figura di un Angelo a mezzo busto colto nell’atto di svolgere il cartiglio recante l’iscrizione Hic est sanguinis Christi.
Mentre in quest’ultimo polittico la componente figurativa su tavola tende a prevalere, dispiegandosi sui tre grandi pannelli del registro inferiore con le raffinate immagini di San Girolamo, Santa Sabina e San Lizerio a figura intera, e sulle sante Margherita e Agata a mezzo busto del livello superiore, nel Polittico del Corpo di Cristo le tavole dipinte si riducono ai soli scomparti laterali dell’ordine inferiore, dove le figure di santi a figura intera compaiono accoppiate. La porzione centrale della grande macchina d’altare, invece, è dominata dal risalto plastico del bassorilievo con le Pie donne sovrastante lo sportello per l’Eucarestia, e soprattutto dallo straordinario gruppo a tutto tondo con il Cristo risorto dal sepolcro, che occupa lo scomparto centrale del registro sommitale.
A differenza del Polittico della Vergine, dove le tre tavole centrali sono state sostituite nell’Ottocento da altrettanti dipinti del pittore veneziano Stefano di Sant’Agnese, sia nel Polittico del Corpo di Cristo che in quello di Santa Sabina i pannelli figurativi sono tutti originali e riconducibili alla mano di Antonio Vivarini e di Giovanni d’Alemagna.

 

Il Polittico del Corpo di Cristo dopo il restauro

Il Polittico del Corpo di Cristo dopo il restauro – Patriarcato Venezia / Mibac

La cappella di San Tarasio

Nota anche come “Cappella d’oro” per la raffinatezza della struttura architettonica e per la ricchezza dell’apparato ornamentale, fu costruita e decorata tra il 1440 e il 1443 su iniziativa della potente badessa Elena Foscari, sorella del celebre Francesco, il doge più longevo nella storia della Serenissima. La cappella sostituì l’abside centrale della prima chiesa di San Zaccaria, edificio risalente probabilmente al IX secolo ricostruito in età romanica dopo il disastroso incendio del 1105. Ma già a partire dal 1460 la chiesa romanica fu integralmente riedificata su progetto di Mauro Codussi. L’intervento risparmiò tuttavia la cappella di San Tarasio, che da quel momento andò a costituire una sorta di ambiente adiacente la nuova abside e accessibile a scopo devozionale.
A decorare la struttura poligonale della cappella gotica eretta tra il 1440 e il 1443, furono chiamati, in quegli anni, alcuni degli artisti più rappresentativi del panorama peninsulare: al giovane Andrea del Castagno, da poco attivo nel panorama fiorentino, fu affidata l’esecuzione degli affreschi che impreziosiscono le vele della volta e l’arcata absidale, mentre il pittore muranese Antonio Vivarini e il suo socio di origini transalpine Giovanni d’Alemagna, in collaborazione con l’intagliatore Ludovico da Forlì, realizzarono lo straordinario complesso dei tre grandi polittici.
L’imponente complesso decorativo approntato tra il 1440 e il 1443 nella Cappella di San Tarasio celebrava l’importanza della chiesa di San Zaccaria, che, per il fatto di essere prossima alla Basilica di San Marco e di possedere il più importante patrimonio di reliquie di Venezia, era considerata di fatto una sorta di seconda cappella dogale. La maggior parte delle reliquie possedute dalla Chiesa di San Zaccaria erano raccolte proprio nella Cappella di San Tarasio, dove trovavano posto all’interno dell’armadio-reliquiario allestito sul retro del Polittico della Vergine e nei due altari laterali.

Venezia, San Zaccaria: cappella di San Tarasio, veduta d'insieme dei tre polittici

Venezia, San Zaccaria: cappella di San Tarasio, veduta d’insieme dei tre polittici – Patriarcato Venezia / Mibac