La croce: solidarietà di Dio, solidarietà di ogni cristiano

Dio va incontro a tutti. La croce insegna questa disponibilità estrema di Dio e mostra fino a che punto egli è disposto a spingersi. La croce di Cristo esprime in modo scandalosamente nuovo lo spazio di Dio nel mondo Lui non rimane a distanza: vive, muore e condivide da uomo fra gli uomini In una società lontana dai tempi forti della liturgia il cristiano non può dimenticare che la morte di Gesù avviene nel mondo e per il mondo

I tempi liturgici forti sono entrati così profondamente nell’orbita della cosiddetta “religione secolarizzata”, dove l’espressione commerciale con il suo potere consolatorio diventa sempre più preponderante, che quasi ne viene omessa la componente religiosa. Tuttavia, più che dichiarare una guerra tra cattedrali e centri commerciali, solo per prendere due rappresentanti del contrasto, è importante riconoscere la necessità di una riflessione sull’odierno fenomeno di “bricolage del religioso”, che non necessariamente va letto come sottrazione. Eppure, per i cristiani rimane un problema il fatto che la celebrazione della fede stia diventando culturalmente clandestina, che non dica più nulla alla città, come si trattasse di una questione extra muros. È vero che si potrebbe interpretare questa crescente indifferenza come una restituzione di libertà ai riti cristiani, i quali, senza interferenze esterne e senza il rumore del mondo, potrebbero forse essere celebrati con ritrovata integrità. Per il cristianesimo, però, anche quando vissuto come esperienza spirituale di piccole comunità, il mondo non è mai un rumore: il mondo rimane una dimora dove trovare posto. Dimora provvisoria, è vero, ma per i cristiani lo è nella stessa misura in cui essa lo è per tutti gli altri esseri umani sulla terra. E non è mai superfluo insistere sul fatto che il patrimonio delle religioni ha molto da rivelare alla cultura contemporanea su ciò che essa stessa, sempre più anonimamente, trasporta. Per la cultura, ignorare il religioso significa ignorare sé stessa. Per questo non sarà mai Venerdì santo solo nelle chiese. Ogni volta che si celebra la morte di Gesù, essa avviene nel mondo e riguarda il mondo. Dio va incontro a tutti. La croce ci insegna la solidarietà estrema di Dio e mostra fino a che punto egli è disposto a spingersi.

Uno dei caratteri più radicali del cristianesimo è l’aver disattivato le forme religiose di sostituzione.

Se pensiamo agli altari dell’antichità pre-cristiana, essi sono ricolmi di sacrifici e olocausti, ed erano regolati da un potente sistema rituale che garantiva che quegli animali immolati sostituissero i loro offerenti, ne tenessero il posto, adempissero nell’immolazione il voto che gli umani avevano fatto.

Per capire la radicalità del cambiamento cristiano in proposito, una mappa preziosa è il testo della Lettera agli Ebrei. Questo scritto, da collocarsi probabilmente in un periodo precedente all’anno 70 del I secolo, è l’unico luogo del Nuovo Testamento che attribuisce a Cristo i titoli di «sommo sacerdote» e di «mediatore della nuova alleanza». L’autore rilegge l’azione di Gesù confrontandola con due significativi momenti del passato: il patto dell’alleanza che Mosè stabilì sul monte Sinai, e la cerimonia annuale che nel grande Giorno dell’Espiazione il sommo sacerdote svolgeva nel tempio. Al Sinai, Mosè ratificò l’alleanza aspergendo l’assemblea del popolo con il sangue delle vittime sacrificali e spiegando: « Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi…» ( Es 24,8). E, in modo simile, il Giorno dell’Espiazione, dopo aver sacrificato le vittime animali, il sommo sacerdote entrava da solo nel santuario, raggiungeva il luogo chiamato «Santo dei Santi», e lo aspergeva con il sangue, operando così la purificazione dai peccati del popolo ( Lv 16).

La visione della Lettera agli Ebrei va in un’altra linea, in quanto dichiara: « È impossibile che il sangue di tori e di capri elimini i peccati» ( Eb 10,4). Riconosce così l’inefficacia dei sacrifici di sostituzione per poter accedere a Dio. L’autore, infatti, mette in bocca a Gesù queste parole: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”» ( Eb 10,5-7). Cristo diventa «il sommo sacerdote dei beni futuri» non con il sangue di capri e vitelli, ma con l’offerta di sé stesso, «l’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre» ( Eb 10,10).

Per questo è importante ricordare che la condanna a morte di quel profeta chiamato Gesù di Nazaret, la cui esecuzione su una croce apparve come un fatto rigorosamente profano, un evento di banale cronaca penale, di nessun’altra rilevanza, era in realtà il momento definitivo in cui la realtà dell’amore, il radicale dono di sé dell’amore autentico, dissolveva il sistema della sostituzione. È il motivo per cui il Vangelo di Matteo scrive che, quando Gesù spirò appeso a una croce, «il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono» ( Mt 27,51). L’umanità di Gesù, il modo in cui egli visse la sua umanità, diventa il vero tempio. Così come il vero culto diventa quello esistenziale.

Come ha incisivamente osservato il filosofo René Girard, Gesù svuota il paradigma della religione sacrificale, la logica di violenza contenuta nelle contese mimetiche, come pure il meccanismo dell’attribuzione arbitraria della responsabilità all’altro, che serve solo a sopprimerlo dalla nostra vita (il meccanismo del capro espiatorio). Sulla croce queste logiche s’infrangono. Cristo offre sé stesso, porge l’altra guancia, fa trionfare il perdono invece della vendetta.

La croce di Cristo esprime in modo scandalosamente nuovo lo spazio di Dio nel mondo. È una chiave ermeneutica differente per l’interpretazione del divino. Dio non rimane a distanza, indifferente al mondo e alle sue convulsioni. La confisca dell’esistenza è la condizione abbracciata in prima persona da Colui che è stato appeso alla croce. Così, nessun dolore, nessun pianto, nessuna paura, nessun confinamento gli sono indifferenti. Le questioni che questo Venerdì Santo solleva non sono, dunque, minoritarie e complicate questioni religiose che riguardino soltanto i cristiani. Sono un dibattito necessario sul significato dell’umano e su quello che ci salva. Ciò detto, bisogna aggiungere che entrare in una chiesa il Venerdì santo è un’esperienza che può solo lasciare attoniti. Guardiamo il tabernacolo, ed è aperto e vuoto, come fosse stato spogliato. L’altare non ha tovaglia né ornamenti: solo la nuda pietra. Se cerchiamo una croce, non la troviamo: è stata rimossa, o nascosta allo sguardo da un velo. Siamo lì come fossimo in un qualche luogo sperduto, frugando tra il silenzio e le macerie. Ci troviamo in una situazione parallela a quella descritta nel Vangelo di Giovanni quando i messaggeri vestiti di bianco chiedono alla Maddalena: «“Donna, perché piangi?”. Rispose loro: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto”» ( Gv 20,13). È vero che troppe volte il cristianesimo (il nostro, per lo meno) corre il rischio dell’eccesso: troppe parole, accumuli di simboli e di ritualismi… Il giorno del Venerdì santo è l’opposto: avviene una drammatica riduzione. Lo spazio religioso si svuota fino all’osso; diventa semplicemente anonimo; nulla lo distingue da qualsiasi altro luogo desolato sulla terra. La liturgia che si celebra in quest’occasione inizia con un silenzio rigoroso, e quando i presbiteri arrivano nella zona dell’altare si prostrano a terra, giacendovi a lungo, come inanimati, mimando con il proprio corpo l’abbandono che tutta la comunità è chiamata a sperimentare. Che fitto enigma è questo? Dove ci porta questo procedere incerto, questa celebrazione così spoglia, questo radicale denudamento? L’unica risposta è: ci porta al nocciolo ardente dei misteri cristiani, che in verità sono puro scandalo, stordimento e follia, poiché i cristiani credono in un Messia crocifisso, in un Salvatore che salva non attraverso la forza, ma attraverso l’impotenza. È ciò che san Paolo esplicita nella Prima Lettera ai Corinzi: « Noi annunciamo Cristo crocifisso: scandalo… e stoltezza » ( 1Cor 1,22). Davvero il cristianesimo opera una coraggiosa inversione di paradigma: mentre la religiosità naturale porta l’uomo a cercare un Dio potente in aiuto alla sua vulnerabilità, il cristianesimo rinvia continuamente l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio. In questo caso, la fede cos’è? La fede è prendere parte alla sofferenza di Dio nel mondo, abbracciando e prendendosi cura di ognuno che soffre, facendosi carico solidariamente della responsabilità di questa storia, credendo che nel mistero pasquale essa diventa stagione e promessa della storia della salvezza.

Nessun dolore, nessun pianto, nessuna paura, nessun confinamento gli sono indifferenti Le questioni che questo Venerdì Santo solleva non sono minoritarie e complicate questioni religiose che riguardano solo i fedeli: sono un dibattito necessario sul senso dell’umano e su quello che ci salva

Immagine: Mimmo Paladino, “Crocifisso”, 2023. Collezione privata / Per gentile concessione dell’artista

avvenire

Il Venerdì Santo a noi risparmiato

Venerdì Santo - Vatican News

I celebri Ecce homo di Antonello da Messina imprimono nell’anima un’immagine di avvilimento e di disillusione di intonazione rara – per non dire unica – nell’iconografia dell’arte sacra che commenta la passione di Gesù.

L’immagine comunica un senso di smarrimento, di frustrazione, di sorpresa: con tonalità che stanno al limite della catechesi convenzionale.

Non trovo parole più esatte, per questo fermo-immagine, di quelle dell’antica profezia: «Ho faticato invano, per nulla e inutilmente ho esaurito la mia forza» ( Isaia 49, 4). Lo sguardo, qui, che trattiene le lacrime, è come il groppo in gola che trattiene il respiro. Entrambi, infatti, stanno ai bordi dell’abisso: sull’orlo del buco nero che, per un istante sospeso ad una durata incalcolabile, lambisce l’intimità stessa di Dio: «Tutto è stato inutile». Gesù, certo, mille volte l’ha immaginato il passaggio attraverso questo attimo di smarrimento, annunciando ai suoi – in anticipo – che ne sarebbero stati le prime vittime. Ma viverlo è un’esperienza unica. Questa, infatti, è la prova di tutte le prove. Quella che Gesù stesso, per un attimo, ha domandato al Padre se non gli potesse essere risparmiata. Quella prova / tentazione, che sintetizza tutte quelle in cui Gesù ci ha insegnato a chiedere al Padre di non essere abbandonati. La prova / tentazione, alla fine, è sempre una prova della fede nella quale abbiamo creduto. Non si tratta semplicemente della violenza e del dolore. Nel Venerdì santo si tratta del fatto si tratta del fatto che tutto questo arriva come risposta – illogica e inattesa – alla dedizione dell’amore. Quest’Uomo ci ha guarito i bambini e noi gridiamo che il suo sangue sia come un’aspersione dei nostri figli ( Matteo 27, 25)?

Essere messi alla prova di questa contraddizione è la prova di tutte le prove. Per un attimo, il suo avvilimento è un’esperienza devastante per la nostra interiorità. Siamo pronti per la prova di tutte le prove? In realtà, non siamo mai abbastanza pronti per il passaggio dell’attimo eterno di questo smarrimento, che non fu risparmiato al Figlio, consentendogli di unirsi con l’esperienza più profonda della nostra interiorità vulnerabile.

Oggi siamo in una congiuntura nella quale il peso di questa “prova delle prove” della fede sembra coinvolgere credenti e non credenti in un unico smarrimento. Nei decenni post-bellici della nostra euforia scientifica abbiamo fatto di tutto per convincerci della nostra capacità di regolare i rapporti di causa ed effetto anche nell’ambito dell’interiorità e delle intenzioni. Ci siamo detti che una somministrazione educativa degli stimoli adatti alla soddisfazione dell’ego produce individui positivi e disposti alla collaborazione. Giusto farlo, ma non era vero. L’effetto che volevamo si apre soltanto nella condivisione di una forza spirituale che vuole appassionatamente il bene anche quando il voler bene è fallimentare. Ci siamo detti che una potente lievitazione della crescita produttiva e del benessere materiale genera un interesse diffuso per la pacifica collaborazione delle società e dei popoli. E via cantando. Giusto pensarlo, ma non era vero. Il seme della convivenza e della pace non può affatto aspettarsi di diventare possibile solo quando tutti mangiano e hanno il cellulare. Viene da un’indisponibile affezione della libertà, alla quale deve attingere senza calcolo: altrimenti, quando il rapporto causa-effetto non funziona, siamo persi. E diventiamo anche un po’ vili: arretriamo, allontanando ancora di più il tempo del riscatto.

Il Christus patiens del Venerdì santo ci spiega – pazientemente direi – ogni anno, che questa contraddizione fra il seme generosamente gettato e il raccolto apparentemente compromesso va ogni volta affrontata, portata, espiata.

Lo Spirito e la forza che ci consentono di non arretrare, onorando il Figlio, che non cedette al nchilismo del bene fatto e del bene voluto, sono la grazia del Venerdì santo. Noi stiamo entrando, collettivamente ormai, nel vortice di questa prova: annunciato dai segni di una regressione pulsionale collettiva. Dopo decenni di giusto orgoglio per i successi della conoscenza psicologica e del benessere diffuso, uomini e donne, come anche genitori e figli, sono indotti ad affrontarsi “fisicamente”. Dopo decenni di convivenza interreligiosa e di cooperazione internazionale, le differenze ridiventano motivo di “guerra”: con il ritorno degli dèi che maledicono gli infedeli e benedicono le spade. “Abbiamo faticato invano?”

Non abbiamo faticato invano, certo. Però, da qualche tempo, abbiamo forse evitato di faticare. In questi decenni non abbiamo forse cercato compensare la scarsa creatività della lieta semina della fede con l’eccitazione di infiniti progetti di riforma dell’istituzione? Intanto, molti fratelli e sorelle, in molte parti del mondo, patiscono un Venerdi santo che a noi è risparmiato. Dobbiamo alleggerire la loro prova, più che cercare di sottrarci alla nostra.

Avvenire

Il Venerdì Santo di Cristo e di noi tutti. La vergogna e l’ascolto

Venerdi santo, 10 aprile: riti del vescovo e dei sacerdoti in diocesi /  Diocesi / #TIASCOLTO - Il Popolo

Chi grida? È Gesù, quello che grida. E gli altri? Gli altri non gridano più, spettegolano sull’evento, scendendo dall’altura o passando lontano. I suoi sono ammutoliti, letteralmente. Dopo aver farfugliato qualcosa, per mascherare l’imbarazzo (anche Giuda lo fa), non hanno più parole. Ci vorranno le donne a svegliarli, annunciando che, dopo quel grido, e il silenzio mortale che ne affievolisce l’eco, sta succedendo qualcosa di inaudito.

Noi siamo diventati molto civili, non gridiamo a Dio. Quando alziamo la voce, come nei dibattiti televisivi, o allo stadio – spesso due varianti dello stesso fenomeno – non lo facciamo certo per farci ascoltare da Dio.

Il grido di quelli che soffrono davvero sembra diventato muto, come l’urlo di Munch. Chi lo ascolta? Si sono rassegnati, lo convertono in un gemito e poi neanche più quello. Le nostre società – forse anche le nostre chiese – hanno problemi di udito.

Certo le grida delle proteste le sentono, e cercano di rispondere con le grida delle promesse. Niente da dire, meglio che niente. Ma è ancora uno scambio di voci fra i salvati, non è l’ascolto dei sommersi. Molti uomini, donne, bambini, piegati dall’avvilimento e crocifissi dal risentimento, hanno fiato per un solo grido.

Se ci perdiamo quello, sono persi. Ma anche se lo sentiamo e passiamo oltre. Il grido di dolore risuona debolmente, ma il silenzio di morte rimbomba letteralmente dentro di noi. Concentriamoci su questo, ora, domani è già troppo tardi. Domani incominceremo a trovare ragioni, sviluppare analisi, rammendare il buco. Immedesimiamoci oggi con l’orrore di questo silenzio di morte e cerchiamo di acoltare per tempo il grido del dolore.

Il Crocifisso fa appena in tempo ad affidarci gli uni agli altri. Il Crocifisso ci ammonisce: ecco che cosa succede quando non ci fidiamo, quando ci sfidiamo, quando impariamo a diffidare gli uni degli altri. I gridi vanno persi, diventano silenziosi, inudibili, mortali.

Di chi deve fidarsi la generazione che viene al mondo ora? A chi possono affidarsi i giovani che cercano uno straccio di progetto di vita condivisa al quale dare fiducia? Non lo trovano nella famiglia (vecchia o nuova che sia, nulla cambia a questo riguardo: nulla) non lo trovano nella scuola, non lo trovano nel lavoro, non lo trovano nella politica. Troppe grida di risposta sono imperturbabili: non è il nostro specifico compito. E di chi, allora? Intanto, le voci della disperazione gridano dentro i ragazzi, che non sanno più neppure da dove vengono le voci: si smarriscono in un’interiorità già assai precaria, tirano colpi alla cieca sui loro fantasmi, vogliono scendere dal nostro mondo: e qualcuno, poi, lo fa davvero.

“Ragazzi, vado avanti io, nelle regioni oscure dell’umiliazione e dell’avvilimento.

Voi onoratemi almeno in questo: amatevi l’un l’altro come io vi ho amati. Non vi lascerò orfani, manderò un Vento di Dio che spazzerà le foglie morte e farà venir voglia al grano di nascere ancora, alla vite di avere nuova linfa, ai fichi di offrire il cuore. E com’è vero che ora vi precedo, nelle ombre della morte e nella via della vita, tornerò.

Mangeremo insieme e berremo insieme: e saprete che le ombre sono davvero finite e il mondo è veramente cambiato”.

Più o meno con queste parole, Gesù aveva anticipato l’orrore del Venerdì Santo, il giorno in cui si deve ascoltare con struggimento il grido dei perseguitati e patire con vergogna il silenzio dei civilizzati. Non c’è modo di immaginare – l’esperienza lo prova ogni giorno – la nostra capacità di farci realmente trafiggere da quel grido e abbracciare con passione la promessa che esso racchiude. È pura grazia, il Venerdì Santo. Se non la chiediamo ora, quando? La grazia del Venerdì Santo deve resistere – per tutto l’anno – alla prova del fallimento delle nostre programmazioni di una vita immune dalle ferite, delle nostre complicità messe alla prova degli abbandoni, della nostre professionalità che ci esonerano dall’umanità che sta fuori dalle procedure.

Programmi ne avevano fatti anche gli Apostoli. Poi il Venerdì santo arriva e bisogna saper improvvisare la cura dei feriti, la ricerca degli abbandonati, tenerezza per gli esclusi dai protocolli. (Eppure Lui l’aveva detto che il regno di Dio viene all’improvviso, nei modi più impensati, con tenerezza e violenza: e bisogna afferrarlo in entrambe). Il Crocifisso va avanti per primo, ci lascia in vita perché ascoltiamo il grido del Venerdì di Passione e ne interiorizziamo la grazia. Così, quando arriva il Vento di Dio non ci chiuderemo in casa – o in chiesa – e avremo occhi e orecchie nuove per vedere gli scarti della società civilizzata e ascoltare il gemito della creatura oppressa. E ci commuoverà e ci rallegrerà, persino, la forza che troveremo per farlo.

avvenire.it

Liturgia VENERDI SANTO – «PASSIONE DEL SIGNORE»

Colore Liturgico Rosso

Antifona

In questo giorno e nel seguente, la Chiesa, per antichissima tradizione, non celebra nessun sacramento, a eccezione della Penitenza e dell’Unzione degli infermi.

Oggi la santa comunione si distribuisce ai fedeli solo durante la celebrazione della Passione del Signore; ai malati, che non possono partecipare a questa celebrazione, si può portare a qualunque ora del giorno.

L’altare sia interamente spoglio: senza croce, senza candelieri e senza tovaglie.

Celebrazione della Passione del Signore

Nelle ore pomeridiane di questo giorno, e precisamente verso le quindici, a meno che non si scelga, per ragioni pastorali, un’ora più tarda, ha luogo la celebrazione della Passione del Signore. Essa è costituita da tre parti: Liturgia della Parola, Adorazione della Santa Croce e Santa Comunione.

Il sacerdote e, se è presente, il diacono, indossate le vesti di colore rosso come per la Messa, si recano in silenzio all’altare e, fatta la riverenza, si prostrano a terra o, secondo l’opportunità, si inginocchiano e, ancora in silenzio, pregano per alcuni istanti. Tutti gli altri si mettono in ginocchio.

Quindi, il sacerdote con i ministri va alla sede da dove, rivolto al popolo, omettendo l’invito Preghiamo, dice, con le braccia allargate, una delle seguenti orazioni.

Colletta

Ricordati, o Padre, della tua misericordia
e santifica con eterna protezione i tuoi fedeli,
per i quali Cristo, tuo Figlio,
ha istituito nel suo sangue il mistero pasquale.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
R/. Amen.

Oppure:

O Dio, che nella passione di Cristo nostro Signore
ci hai liberati dalla morte,
eredità dell’antico peccato
trasmessa a tutto il genere umano,
rinnovaci a somiglianza del tuo Figlio;
e come abbiamo portato in noi,
per la nostra nascita,
l’immagine dell’uomo terreno,
così per l’azione del tuo Spirito
fa’ che portiamo l’immagine dell’uomo celeste.
Per Cristo nostro Signore.
R/. Amen.

 

Prima Lettura

Egli è stato trafitto per le nostre colpe. (Quarto canto del Servo del Signore)Dal libro del profeta Isaìa
Is 52,13-53,12

Ecco, il mio servo avrà successo,
sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente.
Come molti si stupirono di lui
– tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto
e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo –,
così si meraviglieranno di lui molte nazioni;
i re davanti a lui si chiuderanno la bocca,
poiché vedranno un fatto mai a essi raccontato
e comprenderanno ciò che mai avevano udito.
Chi avrebbe creduto al nostro annuncio?
A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?
È cresciuto come un virgulto davanti a lui
e come una radice in terra arida.
Non ha apparenza né bellezza
per attirare i nostri sguardi,
non splendore per poterci piacere.
Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia;
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori;
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per le nostre colpe,
schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,
ognuno di noi seguiva la sua strada;
il Signore fece ricadere su di lui
l’iniquità di noi tutti.
Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca.
Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua posterità?
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
per la colpa del mio popolo fu percosso a morte.
Gli si diede sepoltura con gli empi,
con il ricco fu il suo tùmulo,
sebbene non avesse commesso violenza
né vi fosse inganno nella sua bocca.
Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.
Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione,
vedrà una discendenza, vivrà a lungo,
si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.
Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce
e si sazierà della sua conoscenza;
il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà le loro iniquità.
Perciò io gli darò in premio le moltitudini,
dei potenti egli farà bottino,
perché ha spogliato se stesso fino alla morte
ed è stato annoverato fra gli empi,
mentre egli portava il peccato di molti
e intercedeva per i colpevoli.

Parola di Dio.

Salmo Responsoriale
Dal Sal 30 (31)

R. Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.In te, Signore, mi sono rifugiato,
mai sarò deluso;
difendimi per la tua giustizia.
Alle tue mani affido il mio spirito;
tu mi hai riscattato, Signore, Dio fedele. R.

Sono il rifiuto dei miei nemici
e persino dei miei vicini,
il terrore dei miei conoscenti;
chi mi vede per strada mi sfugge.
Sono come un morto, lontano dal cuore;
sono come un coccio da gettare. R.

Ma io confido in te, Signore;
dico: «Tu sei il mio Dio,
i miei giorni sono nelle tue mani».
Liberami dalla mano dei miei nemici
e dai miei persecutori. R.

Sul tuo servo fa’ splendere il tuo volto,
salvami per la tua misericordia.
Siate forti, rendete saldo il vostro cuore,
voi tutti che sperate nel Signore. R.

Seconda Lettura

Cristo imparò l’obbedienza e divenne causa di salvezza per tutti coloro che gli obbediscono.Dalla lettera agli Ebrei
Eb 4,14-16; 5,7-9

Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato.
Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.
[Cristo, infatti,] nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

Parola di Dio.

Acclamazione al Vangelo

Gloria e lode a te, Cristo Signore!

Per noi Cristo si è fatto obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome. (Cf. Fil 2,8-9)

Gloria e lode a te, Cristo Signore!

Vangelo

Passione del Signore.

Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Giovanni
Gv 18,1–19,42

– Catturarono Gesù e lo legarono
In quel tempo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?».

– Lo condussero prima da Anna
Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno. Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo».

Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.

Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.

– Non sei anche tu uno dei suoi discepoli? Non lo sono!
Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.

– Il mio regno non è di questo mondo
Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.

Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?».

E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.

– Salve, re dei Giudei!
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi.

Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!».

Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».

All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande».

– Via! Via! Crocifiggilo!
Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parascève della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

– Lo crocifissero e con lui altri due
Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».

– Si sono divisi tra loro le mie vesti
I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato –, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: “Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte”. E i soldati fecero così.

– Ecco tuo figlio! Ecco tua madre!
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.

Qui ci si genuflette e si fa una breve pausa.

– E subito ne uscì sangue e acqua
Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: “Non gli sarà spezzato alcun osso”. E un altro passo della Scrittura dice ancora: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”.

– Presero il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli insieme ad aromi
Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di áloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.

Parola del Signore.

Sulle offerte

La Liturgia della Parola si conclude con la Preghiera universale, che deve essere fatta in questo modo: il diacono, se presente, o, in sua assenza, un ministro laico, stando all’ambone, pronuncia l’esortazione con la quale si indica l’intenzione. Quindi tutti pregano in silenzio per alcuni istanti; infine il sacerdote, stando alla sede, o, secondo l’opportunità, all’altare, con le braccia allargate, dice l’orazione.
I fedeli, per tutto il tempo delle preghiere, possono mettersi in ginocchio o rimanere in piedi.

Prima dell’orazione del sacerdote, secondo la tradizione,il diacono può invitare tutti a genuflettersi per pregare in silenzio, dicendo: Mettiamoci in ginocchio – Alzatevi.

In caso di grave necessità pubblica, il vescovo diocesano può permettere o stabilire che si aggiunga un’intenzione speciale.

I. Per la santa Chiesa
Preghiamo, fratelli e sorelle, per la santa Chiesa di Dio. *
Il Signore le conceda unità e pace,
la protegga su tutta la terra, *
e doni a noi, in una vita serena e sicura, +
di rendere gloria a Dio Padre onnipotente. **

Preghiera in silenzio; poi il sacerdote dice:

Dio onnipotente ed eterno,
che hai rivelato in Cristo
la tua gloria a tutte le genti,
custodisci l’opera della tua misericordia,
perché la tua Chiesa,
diffusa su tutta la terra,
perseveri con fede salda
nella confessione del tuo nome.
Per Cristo nostro Signore.
R/. Amen.

II. Per il papa
Preghiamo per il nostro santo padre il papa N. *
Il Signore Dio nostro,
che lo ha scelto nell’ordine episcopale, *
gli conceda vita e salute e lo conservi alla sua santa Chiesa +
come guida e pastore del popolo santo di Dio. **

Preghiera in silenzio; poi il sacerdote dice:

Dio onnipotente ed eterno,
sapienza che regge l’universo,
ascolta la tua famiglia in preghiera,
e custodisci con la tua bontà
il papa che tu hai scelto per noi,
perché il popolo cristiano,
da te affidato alla sua guida pastorale,
progredisca sempre nella fede.
Per Cristo nostro Signore.
R/. Amen.

III. Per tutti i fedeli di ogni ordine e grado
Preghiamo per il nostro vescovo N.*,
per tutti i vescovi, i presbiteri e i diaconi, *
e per tutto il popolo dei fedeli. **

Preghiera in silenzio; poi il sacerdote dice:

Dio onnipotente ed eterno,
che con il tuo Spirito guidi e santifichi
tutto il corpo della Chiesa,
accogli le preghiere che ti rivolgiamo,
perché secondo il dono della tua grazia
tutti i membri della comunità
nel loro ordine e grado
ti possano fedelmente servire.
Per Cristo nostro Signore.
R/. Amen.

IV. Per i catecumeni
Preghiamo per i [nostri] catecumeni. *
Il Signore Dio nostro apra i loro cuori all’ascolto
e dischiuda la porta della misericordia, *
perché mediante il lavacro di rigenerazione
ricevano il perdono di tutti i peccati *
e siano incorporati
in Cristo Gesù, Signore nostro. **

Preghiera in silenzio; poi il sacerdote dice:

Dio onnipotente ed eterno,
che rendi la tua Chiesa sempre feconda di nuovi figli,
aumenta nei [nostri] catecumeni
l’intelligenza della fede,
perché, nati a vita nuova nel fonte battesimale,
siano accolti tra i tuoi figli di adozione.
Per Cristo nostro Signore.
R/. Amen.

V. Per l’unità dei cristiani
Preghiamo per tutti i fratelli e le sorelle che credono in Cristo. *
Il Signore Dio nostro raduni e custodisca nell’unica sua Chiesa *
quanti testimoniano la verità con le loro opere. **

Preghiera in silenzio; poi il sacerdote dice:

Dio onnipotente ed eterno,
che raduni i tuoi figli ovunque dispersi e li custodisci nell’unità,
volgi lo sguardo al gregge del tuo Figlio,
perché coloro che sono stati consacrati da un solo Battesimo
siano una cosa sola nell’integrità della fede
e nel vincolo dell’amore.
Per Cristo nostro Signore.
R/. Amen.

VI. Per gli Ebrei
Preghiamo per gli Ebrei. *
Il Signore Dio nostro, che a loro per primi ha rivolto la sua parola, *
li aiuti a progredire sempre nell’amore del suo nome +
e nella fedeltà alla sua alleanza. **

Preghiera in silenzio; poi il sacerdote dice:

Dio onnipotente ed eterno,
che hai affidato le tue promesse
ad Abramo e alla sua discendenza,
esaudisci con bontà le preghiere della tua Chiesa,
perché il popolo primogenito della tua alleanza
possa giungere alla pienezza della redenzione.
Per Cristo nostro Signore.
R/. Amen.

VII. Per coloro che non credono in Cristo
Preghiamo per coloro che non credono in Cristo. *
Illuminati dallo Spirito Santo, *
possano anch’essi entrare
nella via della salvezza. **

Preghiera in silenzio; poi il sacerdote dice:

Dio onnipotente ed eterno,
dona a coloro che non credono in Cristo
di trovare la verità camminando alla tua presenza con cuore sincero,
e concedi a noi di essere nel mondo testimoni più autentici
della tua carità, progredendo nell’amore vicendevole
e nella piena conoscenza del mistero della tua vita.
Per Cristo nostro Signore.
R/. Amen.

VIII. Per coloro che non credono in Dio
Preghiamo per coloro che non credono in Dio. *
Praticando la giustizia con cuore sincero, *
giungano alla conoscenza del Dio vero. **

Preghiera in silenzio; poi il sacerdote dice:

Dio onnipotente ed eterno,
tu hai messo nel cuore degli uomini
una così profonda nostalgia di te
che solo quando ti trovano hanno pace:
fa’ che, tra le difficoltà della vita,
tutti riconoscano i segni della tua bontà
e, stimolati dalla nostra testimonianza,
abbiano la gioia di credere in te,
unico vero Dio e Padre di tutti gli uomini.
Per Cristo nostro Signore.
R/. Amen.

IX. Per i governanti
Preghiamo per coloro
che sono chiamati a governare la comunità civile. *
Il Signore Dio nostro illumini la loro mente e il loro cuore *
a cercare il bene comune +
nella vera libertà e nella vera pace. **

Preghiera in silenzio; poi il sacerdote dice:

Dio onnipotente ed eterno,
nelle tue mani sono le speranze degli uomini
e i diritti di ogni popolo:
assisti con la tua sapienza coloro che ci governano,
perché, con il tuo aiuto,
promuovano su tutta la terra
una pace duratura,
la prosperità dei popoli
e la libertà religiosa.
Per Cristo nostro Signore.
R/. Amen.

X. Per quanti sono nella prova
Preghiamo, fratelli e sorelle, Dio Padre onnipotente, *
perché purifichi il mondo dagli errori,
allontani le malattie, vinca la fame, *
renda la libertà ai prigionieri, spezzi le catene,
conceda sicurezza a chi viaggia,
il ritorno ai lontani da casa, *
la salute agli ammalati +
e ai morenti la salvezza eterna. **

Preghiera in silenzio; poi il sacerdote dice:

Dio onnipotente ed eterno,
consolazione degli afflitti,
sostegno dei sofferenti,
ascolta il grido di coloro che sono nella prova,
perché tutti nelle loro necessità
sperimentino la gioia di aver trovato
il soccorso della tua misericordia.
Per Cristo nostro Signore.
R/. Amen.

Conclusa la Preghiera universale, si fa l’adorazione solenne della Santa Croce.

 

Antifona alla comunione

Finita l’adorazione, un diacono o un ministro porta la Croce al suo posto, presso l’altare. Le candele accese vengono collocate vicino all’altare o sopra di esso o presso la Croce.

Quindi procede alla distribuzione della comunione ai fedeli. Durante la comunione si può cantare il salmo 21 o un altro canto adatto.

Terminata la distribuzione della comunione, la pisside viene portata dal diacono o da un altro ministro idoneo nel luogo preparato al di fuori della chiesa o, se le circostanze lo richiedono, viene riposta nel tabernacolo.

 

Dopo la comunione

Dio onnipotente ed eterno,
che ci hai rinnovati con la gloriosa morte
e risurrezione del tuo Cristo,
custodisci in noi l’opera della tua misericordia,
perché la partecipazione a questo grande mistero
ci consacri sempre al tuo servizio.
Per Cristo nostro Signore.
R/. Amen.

All’orazione sul popolo, il diacono o, in sua assenza, lo stesso sacerdote può premettere l’invito:
Inchinatevi per la benedizione.
Quindi il sacerdote, rivolto al popolo, con le mani stese sopra di esso, dice la seguente orazione:

Orazione sul popolo

Scenda, o Padre, la tua benedizione
su questo popolo
che ha celebrato la morte del tuo Figlio
nella speranza di risorgere con lui;
venga il perdono e la consolazione,
si accresca la fede,
si rafforzi la certezza nella redenzione eterna.
Per Cristo nostro Signore.
R/. Amen.

E tutti, fatta la genuflessione alla Croce, se ne vanno in silenzio.
Dopo la celebrazione, l’altare viene spogliato. Vi rimane sopra la Croce con due o quattro candelieri.

Coloro che hanno partecipato all’azione liturgica pomeridiana non sono tenuti alla celebrazione dei Vespri.