Piano piano si comincia a rientrare in classe (parte l’Alto Adige) e il tema della sicurezza in tempo di pandemia resta centrale

Ne parliamo con Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità, coordinatore del Cts e direttore di Medicina sperimentale di precisione del Bambino Gesù di Roma.

«I pilastri su cui si fonderà il rientro a scuola, il più possibile in sicurezza e con l’obiettivo di dare continuità alla didattica in presenza, sono tre: il Green pass per gli operatori scolastici, quindi corpo docente e personale non docente. Per Green pass si intende: soggetti vaccinati o che abbiano superato la malattia o che si siano sottoposti a tampone. L’auspicio e l’esortazione che rivolgo è che la percentuale dei vaccinati sia la più alta possibile».

Il secondo pilastro della sicurezza?

«Vaccinare il maggior numero di adolescenti delle superiori e degli ultimi due anni di medie. Abbiamo due vaccini a Rna messaggero approvati, Pfizer-BioNTech e Moderna. La speranza è di aumentare ulteriormente la già buona percentuale di soggetti che hanno ricevuto la prima dose che oggi tra i 15 e i 19 anni è vicina al 60 percento. E aumentarla nella fascia 12-14».

Persiste poi una serie di protocolli già nota a tutti…

«Il distanziamento interpersonale, l’uso delle mascherine, l’igienizzazione delle mani, l’importanza dell’areazione compatibilmente alla situazione climatica, l’opportunità che i genitori tengano a casa i figli in presenza di febbre o sintomatologia suggestiva per infezione da Sars-CoV-2».

Le mascherine saranno obbligatorie anche in aula?

«Sono obbligatorie dai 6 anni in su e d’imprescindibile utilità quando non c’è la possibilità di mantenere la distanza interpersonale di un metro. Toglierla? È una possibilità considerabile in presenza di una completa copertura vaccinale all’interno della classe».

Eppure la riapertura delle scuole spaventa.

«Un po’ di nuovi casi ci saranno, ma non dobbiamo farci intimorire. Vanno evitate situazioni come lo scorso anno con regioni che hanno scelto autonomamente politiche di chiusura della scuola. Serve una strategia nazionale, con una condivisione delle scelte tra Governo centrale e istituzioni regionali per tutelare la presenza degli studenti a scuola».

Se in classe c’è un positivo, che fare?

«Va gestito dal preside con le autorità sanitarie territoriali. L’eventuale adozione della quarantena già adesso prevede la riduzione della durata a sette giorni per chi è stato vaccinato rispetto ai 10 giorni per chi non lo è».

Qualche consiglio antipanico?

«Vaccinarsi prima di tutto, e questo vale per adulti e ragazzi dai 12 anni, per proteggere sé stessi e gli altri, soprattutto coloro a rischio di non rispondere alla vaccinazione, e per limitare la circolazione virale e l’associato rischio che emergano varianti del nuovo coronavirus. No ad assembramenti e affollamenti anche al di fuori dell’orario scolastico; sì ad atteggiamenti responsabili, anche sui mezzi pubblici, evitando di andare a scuola con febbre, tosse o raffreddore e indossare la mascherina ogni volta in cui è indicato. Così facendo possiamo augurarci una continuità nell’attività didattica in presenza che resta la priorità».
Famiglia Cristiana

COVID, OGGI E’ IL VAX DAY PER L’ITALIA E TUTTA L’UE

ansa

NEL MONDO 4 MLN I VACCINATI,CONTAGI TOTALI OLTRE QUOTA 80 MLN Oggi è il Vax day: l’Italia inizia le vaccinazioni anti-Covid, insieme agli altri paesi Ue. Ungheria e Slovacchia sono partite da ieri. Nel mondo 4 milioni di persone hanno già ricevuto il vaccino, con i contagi totali registrati dall’inizio della pandemia che hanno superato quota 80 milioni; oltre 1,75 milioni i decessi. In Italia risale intanto al 12,8% il rapporto tra positività riscontrate e tamponi effettuati; altri 261 i morti.

I vaccini anti-Covid. L’infettivologo Andreoni: tempi lunghi per la distribuzione

“Ha presente il cavallo di Troia? Viene introdotto nelle mura della città con il ventre pieno di soldati, che di notte la espugnano. Anche contro il Covid abbiamo oggi un cavallo di Troia, grazie a una tecnologia mai usata prima d’ora per un vaccino: introduciamo nel corpo umano piccolissime particelle del coronavirus Sars-CoV2, che una volta dentro vanno a stimolare una risposta immunitaria contro se stesse, cioè contro il Covid. Se un giorno dovessimo incontrarlo, ci troverebbe con le armi già pronte a riconoscerlo e vincerlo”. Degli oltre 260 vaccini anti-Covid studiati nel mondo, cinque hanno raggiunto una fase avanzata di sperimentazione e sono prossimi all’utilizzo nella pratica clinica, ma ciò che soprattutto affascina l’infettivologo Massimo Andreoni, professore di Malattie infettive all’università di Tor Vergata e direttore scientifico della Società Italiana di Malattie infettive e tropicali, è proprio la sofisticata tecnologia utilizzata per due di questi, che ha permesso di ottenere risultati insperati. “Sempre che quanto comunicato dalle industrie farmaceutiche corrisponda a ciò che leggeremo quando avremo veramente in mano i dati”.

Dunque lei si vaccinerà, appena possibile?
Senza alcun dubbio. I vaccini che verranno autorizzati e distribuiti vorrà dire che avranno passato tutti i test di sicurezza. Se non crediamo in questo, allora neghiamo la validità di tutta la ricerca e a questo punto dovremmo rifiutare qualsiasi sperimentazione, anche i farmaci contro l’Epatite C o gli ultimi ritrovati contro il cancro. Torniamo alla preistoria? Gli Stati stanno comprando i diversi tipi di vaccini, poi man mano svilupperanno campagne vaccinali con il prodotto che sarà a disposizione in quel momento: noi li riceveremo da un lotto o da un altro, ma do per scontato che saranno tutti ugualmente validi.

Ci aiuta a orientarci tra le tante notizie, forse troppe, sui prodotti in lizza nel mondo?
Occorre premettere che i vaccini contro un virus si possono creare con diverse formulazioni. O si inocula il virus intero ma ucciso o inattivato in modo che non si possa replicare, oppure si introducono solo piccole componenti del virus, inserite in un veicolo. Così funzionano i cinque vaccini che hanno già sperimentato la fase 3, ovvero quella che richiede la prova su decine di migliaia di persone. Due studi sono americani e sono i vaccini prodotti da Pfizer e da Moderna. Uno è europeo con l’apporto italiano del laboratorio di Pomezia ed è il vaccino di AstraZeneca. Poi ce ne sono uno cinese e uno russo. Tutti e cinque veicolano la parte di virus che chiamiamo proteina Spike, ovvero la molecola che ricopre il coronavirus e con cui questo si aggancia alle nostre cellule. Creare anticorpi contro questa proteina impedisce quindi al Sars-CoV2 di infettare le cellule.

Iniziamo da Pfizer e Moderna: la loro tecnologia è inedita.
Entrambi utilizzano un frammento del virus Sars-CoV2, il cosiddetto “Rna messaggero”, nanoparticella che, una volta entrata, esprime la proteina Spike. Moderna è stato sperimentato su 30mila persone, va somministrato in due volte a un mese di distanza e, secondo i produttori, dà una protezione del 94,5%, risultato ottimale visto che i vaccini di solito si fermano all’80%. Pfizer ha arruolato 43mila pazienti, 21.500 hanno ricevuto il vaccino, gli altri 21.500 solo un placebo. Anche questo va dato in due dosi e ha una protezione dichiarata del 94%. La differenza rilevante è che Pfizer va mantenuto a meno 80 gradi, Moderna a meno 20 ma può essere distribuito a 5 gradi, cosa non da poco pensando a una dotazione in larga scala.

Gli altri tre vaccini in corsa funzionano invece in modo più tradizionale.
Per portare dentro la proteina Spike usano come “cavallo di Troia” un adenovirus degli scimpanzé, virus che negli animali causa malattie respiratorie ma per l’uomo è innocuo. Per AstraZeneca, il vaccino anglo-italiano, occorrono due somministrazioni in un mese. Non abbiamo ancora i dati sulla protezione che dà, ma sappiamo che produce alte quantità di anticorpi ed è ben tollerato: mesi fa uno dei pazienti aveva sviluppato una mielite, ma si trovava nel gruppo placebo, dunque la malattia non era correlabile al vaccino. Quanto al vaccino cinese della CanSino, basta un’unica dose senza bisogno di richiamo, i dati non sono pubblicati ma in Cina è già registrato e iniettato su larga scala al personale sanitario e ai militari. Lo Sputnik 5 russo, infine, testato su 16mila volontari, si dà in due dosi e ha una protezione dichiarata del 92%. Insomma, lo scenario è per tutti molto incoraggiante, ma prima di esultare bisogna vedere se i dati annunciati in termini di sicurezza ed efficacia saranno rispettati: dopo la fase 3, che è l’ultima nella sperimentazione, c’è una fase 4, quando il vaccino è già usato nella pratica clinica ma resta sotto osservazione.

Quali le difficoltà?
L’elemento critico è la tempistica, vista la numerosità dei soggetti che devono essere vaccinati. Poi dobbiamo attendere la registrazione all’Ema, l’organismo che presiede alle autorizzazioni, peraltro già richiesta da Pfizer e da AstraZeneca, mentre Moderna sta presentando la documentazione. E soprattutto dovremo attendere la produzione di un numero di fiale sufficienti per avere la famosa immunità di gregge, che si ottiene in modo sicuro solo se l’80% delle persone viene vaccinato. Posto che circa un milione di italiani si sono già infettati e quindi in parte immunizzati (ma non si sa per quanto tempo), decine di milioni sono da vaccinare e i tempi saranno lunghi. Nel frattempo è assolutamente necessario usare mascherine, gel disinfettante, distanziamento. Infine c’è l’incognita di quanto durerà l’immunità vaccinale: anni? mesi? Lo sapremo solo con la pratica.

I vaccinati contro il Covid potranno ancora contagiare gli altri?
Devo premettere che i vaccini sono testati come efficaci a prevenire la malattia, piuttosto che l’infezione, ovvero lo sviluppo dei sintomi gravi, non il solo contagio. Detto ciò, ancora non abbiamo i sufficienti per escludere che la persona vaccinata e quindi asintomatica possa trasmettere il virus. Comunque non c’è problema, se tutti si vaccinano nessuno prende più la malattia, tutt’al più l’infezione senza sintomi o paucisintomatica. E naturalmente la circolazione del virus è drasticamente abbattuta.

Tra le paure della gente c’è una domanda cruciale: che cosa vuol dire che un vaccino funziona al 90%? Che cosa succede al rimanente 10%? Rischia la salute?
Assolutamente no. Prendiamo ad esempio lo studio Pfizer: dei 43mila sottoposti a sperimentazione (metà con un placebo e metà vaccinati) e poi esposti al rischio di infettarsi nella vita comune come tutti noi, nel gruppo placebo 94 si sono presi il Covid, solo 8 nel gruppo trattato con il vaccino. In definitiva con il vaccino si sono infettati il 90% in meno. E sia chiaro, quegli 8 si sono infettati nonostante, non a causa della vaccinazione.

Non teme che la tecnica dell’Rna messaggero, provata per la prima volta su un vaccino da Pfizer e Moderna, possa riservare brutte sorprese?
La scienza sviluppa tecnologie sicure e con premesse assolutamente tranquille, non dice “vediamo cosa accadrà”. Altrimenti anche AstraZeneca che usa come veicolo un virus degli scimpanzé dovrebbe farci paura? Chi ci dice che, essendo sconosciuto per l’uomo, una volta inattivato e inoculato non diventi aggressivo magari in un caso su un milione? Naturalmente sto dicendo un’assurdità. Sommate le due sperimentazioni, la tecnologia dell’Rna messaggero è stata testata su 73mila persone, ha superato il vaglio della ricerca, quindi è valida e non pericolosa. Che cosa potrebbe insorgere a distanza di 20 anni lo sa solo il Padre Eterno, ma come per tutti i farmaci: allora che fai, lasci morire di cancro le persone per paura di futuri improbabili effetti collaterali? Se mi chiedessero di farmi un vaccino a Rna messaggero per prevenire un raffreddore direi no, ma qui il rapporto rischio/benefici c’è tutto: ho visto come sono morti 130 miei pazienti di Covid e sarei stato molto felice se l’Rna messaggero fosse stato già a loro disposizione!

A proposito di malati oncologici, è vero che proprio la ricerca sul cancro ha dato una grande mano contro il Covid?
E’ dalla lotta al cancro che deriva questa raffinatissima tecnica ingegneristica con l’Rna messaggero: esistono oggi dei “vaccini” contro i tumori, che attraverso la stimolazione dell’immunità insegnano al nostro sistema immunitario ad aggredire le cellule tumorali, quindi il messaggio che viene veicolato è quello di un antigene del tumore: l’immunità impara a contrastare questo antigene e va ad aggredire le nostre cellule.

E’ vero che le persone in cura contro un tumore hanno avuto forme meno gravi di Covid rispetto agli altri?
Sì, nei soggetti immunodepressi il quadro clinico è risultato inaspettatamente meno violento. Si sente sempre dire che tra i più a rischio di infezione ci sono i malati oncologici, sembra una contraddizione ma non lo è: la famosa tempesta citochinica che si scatena nei Covid più gravi, ad esempio sotto forma di polmoniti, è causata dal nostro stesso organismo che cerca di difendersi dall’invasione del virus e per questo innesca una iper infiammazione. Ne consegue che i farmaci contro il cancro che danno immunosoppressione limitano la tempesta mortale. Come vede non c’è contraddizione: l’immunodepresso si contagia più facilmente nella fase iniziale, ma nella seconda fase è parzialmente più protetto proprio perché l’organismo è inerme. Tant’è che curiamo i pazienti Covid gravi anche con farmaci chemioterapici, che cioè distruggono l’immunità quando è eccessivamente espressa.

Dai vaccini ai farmaci: si parla molto di anticorpi monoclonali e di donazione di plasma iperimmune…
Esistono due strategie terapeutiche: la stimolazione di un’immunità attiva, prodotta cioè da te, e questa è la vaccinazione. E l’immunità passiva, cioè ti do direttamente gli anticorpi, non ti stimolo a crearli. In quest’ultimo tipo rientrano anticorpi monoclonali e plasma iperimmune. Il plasma iperimmune è tratto dai soggetti convalescenti, ma a oggi i dati non sono incoraggianti: secondo gli studi olandesi, cinesi e indiani riduce in alcuni casi i tempi di degenza ma non la mortalità, e in Italia lo si usa come terapia compassionevole, cioè nei casi estremi. Intorno agli anticorpi monoclonali c’è grande fervore: si parte dagli anticorpi presenti nel sangue dei pazienti con forte capacità di neutralizzare il virus e si cerca di riprodurli in vitro. E’ una strategia interessante che ha già dato risultati in altre patologie infettive, ad esempio l’Aids, ma è sperimentale e non è ancora entrata nella pratica clinica. Comunque sono terapie che sarebbero utili se utilizzate molto precocemente, perché agiscono solo nella prima fase, quella della replicazione del virus.

Grande fervore anche per i test veneti fai-da-te al posto dei tamponi, ma sono attendibili?
In generale tutti i test rapidi hanno una sensibilità molto ridotta rispetto ai tamponi molecolari, a volte anche al 50 o 60%. Per il singolo che deve sapere se è contagiato o no, quindi, hanno ben poco rilievo. Hanno un’utilità invece per test di massa e indagini epidemiologiche. Il tema è: meglio poter fare solo 100 tamponi veri, o ripiegare su 10mila test rapidi con attendibilità al 60%? Per necessità si sceglie la seconda opzione: avrò molti errori ma su 10mila test scoverò un gran numero di positivi che altrimenti sfuggirebbero. E’ chiaro che l’ottimo sarebbe poter fare 10mila veri tamponi, come in estremo Oriente. Ma la nostra è tutta un’altra storia.

avvenire

Crisanti, in assenza vaccino e terapia servono i test

“In assenza di un vaccino e in assenza di terapia l’unico modo efficace per spegnere la trasmissione è quello di fare il test a tutte le persone coinvolte nell’interazione sociale della persona ammalata: bisogna fare tamponi a parenti, familiari e colleghi di lavoro”. Così il direttore medicina molecolare Università di Padova Andrea Crisanti a `Mezz’ora in più di Lucia Annunziata su Rai3. E il suo piano di 300-400 mila tamponi, dice ancora Crisanti “è ancora realistico. Se si fa l’investimento giusto nel giro di 2-3 mesi si può arrivare a questa capacità”. E spiega: “Se si fa questo, adesso che abbiamo imparato come il virus si trasmette quando la persona si infetta e quanto tempo passa tra l’infezione e la positività possiamo accorciare tutte le quarantene. Ora sappiamo che se una persona non si infetta e non diventa positiva in 3-4 giorni dal contatto, di fatto non si infetterà più”. Il contact tracing “ha capacità estremamente limitata ed è facilmente saturabile. Di fatto – riferisce Crisanti – in condizioni ideali su 10-15 mila casi ogni persona ha in media 10 contatti quindi teoricamente dovremmo mettere in quarantena 150mila persone al giorno. Dopo 14 giorni saremmo a 2,5 milioni di persone in quarantena. Una cosa ingestibile”. Poi le file: “A me piacerebbe non vedere tutte queste file di gente disperata che vuole fare un tampone perchè magari glielo chiedono perché deve andare a lavorare, o perché ha avuto un contatto o ha paura di essere stata contagiata. Se noi agiamo soltanto diminuendo la qualità della vita, cioè mascherine, riduzioni dei locali, riduzione del movimento poi si creano situazioni di manifestaizoni di gente che di fatto non vuole vivere in queste condizioni, e per farlo l’unico modo è bloccare i focolai dove nascono e dove si manifestano”. (ANSA).

Pregliasco,vaccino Covid non a tutti subito, nodo immunità

“Ci sono varie sperimentazioni avanzate e ci sono gli elementi perchè si possa arrivare in tempi rapidi alla disponibilità di un vaccino anti-Covid, ma all’inizio il vaccino non potrà essere disponibile per tutta la popolazione poichè il numero di dosi sarà comunque inizialmente limitato”. A sottolinearlo all’ANSA è il virologo dell’Università di Milano Fabrizio Pregliasco, dopo l’annuncio da parte del ministro della Salute Roberto Speranza dell’arrivo delle prime dosi del vaccino entro l’anno se procederà positivamente la sperimentazione del candidato vaccino ‘Oxford’. Incerta, sottolinea Pregliasco, è poi “anche la durata della protezione che il vaccino potrà garantire”.

“Va detto – rileva il virologo – che dovrà esserci inevitabilmente una gradualità di diffusione del vaccino, perchè all’inizio la produzione delle dosi non potrà coprire l’intera popolazione. E’ dunque verosimile che ci possa essere una accelerazione nella messa a punto di un vaccino, considerando le varie sperimentazioni in atto, ma questo non vuol dire che il vaccino sarà disponibile per tutti in tempi brevi”. L”Organizzazione mondiale della sanità, ricorda, “ha infatti detto che il vaccino potrebbe essere disponibile su larga scala solo dalla primavera 2021, se tutto andrà bene, e credo sia questa la tempistica per un impiego su tutta la popolazione”. Tuttavia, precisa, “restano al momento molte incertezze circa la durata della protezione immunologica che un eventuale vaccino potrebbe garantire, o se si dovranno prevedere uno o più richiami”.

Quanto alla sicurezza delle procedure per la messa a punto del vaccino, questa è garantita, almeno in Occidente, ha rilevato al Gr1 Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute. Riferendosi quindi ai tempi, “per il candidato vaccino Oxford – ha detto – la fine di settembre rappresenterà il momento della verità perchè sarà completata la fase 3 di sperimentazione”. Inizialmente, “il vaccino non sarà ancora per tutti anche se – ha concluso – sarà indirizzato a fasce importanti della popolazione”. (ANSA).

Coronavirus. L’annuncio di Putin: Mosca ha registrato primo vaccino

L'annuncio di Putin: Mosca ha registrato primo vaccino

Avvenire

Vladimir Putin ha annunciato che il ministero della Sanità russo ha registrato il primo vaccino contro il coronavirus nel mondo e che sua figlia ne ha già ricevuto una dose. Lo riferisce Russia Today, citando il presidente russo, secondo cui il vaccino, sviluppato dall’Istituto Gamaleya di Mosca, ha ricevuto il via libera dal ministero della Sanità. Putin ha rivelato che alla figlia è già stato somministrato il vaccino, che le ha procurato una leggera febbre, sparita poco tempo dopo.

“Stamattina è stato registrato il vaccino contro il coronavirus per la prima volta al mondo”, ha detto il presidente in una riunione del governo. “So che il vaccino funziona in modo abbastanza efficace, garantisce un’immunità stabile e, ripeto, ha superato tutti i controlli”, ha detto Putin.

Già 20 i Paesi che hanno pre-ordinato circa un miliardo di dosi del nuovo vaccino russo.

Cauta l’Organizzazione mondiale della Sanità. “Accelerare non dovrebbe significare compromettere la sicurezza”, ha detto un portavoce, Tarik Jasarevic, in una conferenza stampa, aggiungendo che l’Oms è in contatto con le autorità russe e quelle di altri Paesi per analizzare i progressi nelle ricerca su diversi vaccini. Il portavoce ha sottolineato che l’organizzazione è incoraggiata “dalla velocità con cui vengono sviluppati i vaccini” e spera che alcuni di essi “si dimostrino sicuri ed efficienti”.