La “cura” può fare la differenza. Anche contro la tratta

La rete globale anti-tratta Talitha Kum – che comprende più di tremila suore cattoliche e laici – lancia la campagna #CareAgainstTrafficking in vista della Giornata mondiale contro la tratta di persone che si celebrerà venerdì 30 luglio. L’intervista a suor Gabriella Bottani: “Il Papa ci chiede di promuovere e realizzare l’economia della cura nel quotidiano”La campagna lanciata da Talitha Kum ha come hashtag #CareAgainstTrafficking

La cura è quella che il Papa ha definito “vaccino per il cuore” e la cui importanza ha sottolineato in numerose occasioni, da ultima quella del ricovero al Policlinico Gemelli. Avere cura dei malati, dei vicini, dei familiari. Cura del prossimo. Curare chi è ferito, come quei soggetti vittima delle tratta delle persone. A quella cura guarda oggi Talitha Kum, la Rete Internazionale della Vita Consacrata contro la tratta di persone. Lo fa lanciando la campagna “Care Against Trafficking”, con la quale si vuole dimostrare che la cura può fare la differenza in ogni fase del percorso per combattere la tratta di persone: cura per chi è a rischio, cura per le vittime e cura per i sopravvissuti.

Prostituzione. La ricca Milano chiama schiave dall’Est Europa

Aumentano le donne romene e albanesi sulle strade della metropoli. In calo le nigeriane. Suor Biondi (Caritas): «Ma restano prigioniere in Libia dove subiscono violenze terribili»
Aumenta il numero di donne romene e albanesi prostituite sulle strade di Milano

Aumenta il numero di donne romene e albanesi prostituite sulle strade di Milano – archivio Avvenire

da Avvenire

Vengono sempre più spesso dall’Est Europa le donne costrette a prostituirsi sulle strade di Milano: romene e albanesi principalmente, controllate da un racket spietato. Appare in calo, invece, il numero delle vittime di sfruttamento originarie della Nigeria. Una buona notizia? Solo a prima vista. In realtà, sempre più di frequente rimangono intrappolate nei campi di detenzione libici, dove vengono schiavizzate e sfruttate, o vengono prostituite in altri Paesi africani. Così dicono i dati – e l’esperienza sul campo – dell’unità di strada «Avenida» di Caritas Ambrosiana, che due volte la settimana esce tra periferia e hinterland a offrire loro un contatto, un aiuto. E una chance di liberazione dalle catene del racket. Come hanno fatto le 19 donne, tutte nigeriane, entrate nella rete di protezione nell’ultimo anno con il sostegno della Caritas.
Nel 2019 Avenida ha “intercettato” 197 donne sui marciapiedi di Milano. Nel 2018 erano state 235. Romene e albanesi, «storicamente le più presenti», ricorda un comunicato Caritas, «passano, le romene, dal 43% nel 2018 al 45% nel 2019» sul totale delle donne contattate, mentre «le albanesi passano dal 22% al 25,9%» e insieme continuano a essere «la maggioranza delle donne costrette a prostituirsi in strada». Un incremento che, assieme al turn over, «fa credere agli operatori che il racket continui a operare indisturbato». Cambiato è, invece, il peso percentuale delle nigeriane fra i “contatti” di Avenida. «Anche nel passato non sono mai state la maggioranza», sottolineano in Caritas, e fra 2018 e 2019 sono passate dal 23% al 14,2%. Tutto questo accade «a dispetto dell’enfasi posta sui gruppi criminali africani e i loro legami con gli scafisti libici», annota il comunicato – diffuso per la Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta – che restituisce un ritratto prezioso sullo scenario milanese, sia pur parziale (resta fuori, ad esempio, la prostituzione indoor, in appartamenti o centri massaggi). «La diminuzione della presenza di donne nigeriane si spiega con una diversa strategia dei gruppi criminali che gestiscono il traffico – osserva suor Claudia Biondi, responsabile Area Tratta di Caritas Ambrosiana –. Se prima del caos libico le donne nigeriane venivano mandate in Italia con normali voli aerei ed entravano con visti turistici, dall’inizio della guerra i clan criminali hanno trovato più conveniente accordarsi con gli scafisti e utilizzare le rotte dell’immigrazione. Ora, invece, hanno capito che è più facile farle prostituire nelle miniere d’oro dell’Africa Sub-sahariana, mentre quelle che non riescono più ad attraversare il Mediterraneo restano prigioniere dei centri di detenzione libici dove subiscono violenze terribili».
Per queste donne, Milano può essere luogo di rinascita. Sono tutte nigeriane, infatti, le 37 ospiti delle case protette della Caritas. E sono ben 19, come detto, quelle entrare solo nell’ultimo anno nei percorsi di protezione. Ma resta la sfida di aiutare anche le altre. «È vero – commenta Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana – che i trafficanti nigeriani hanno sfruttato le rotte migratorie per far giungere in Italia le schiave del sesso, come abbiamo sempre denunciato. Ma chiudere i porti non risolve il problema. Al contrario lo sposta altrove e aggrava sofferenza e sfruttamento delle donne. Lo sfruttamento – insiste – si combatte con la repressione dei trafficanti e offrendo alle donne occasioni d’integrazione, come dimostra l’attività dei nostri servizi. Invece l’enfasi sui barconi rischia di far passare in secondo piano un fenomeno rilevante che non si è mai interrotto e continua ancora: la tratta delle bianche in mano a organizzazioni criminali forse meno strutturate ma non meno violente di quelle africane che hanno continuato ad agire indisturbate in questi anni attraverso i confini interni dell’Europa».

Caritas, un’«unità di strada» per spezzare le catene

«Ci sono anche uomini fra i 15 volontari che assieme alle nostre due educatrici permettono all’unità di strada Avenida di eseguire due uscite alla settimana in orario notturno e di farsi, così, incontro alle donne prostituite tra periferia e hinterland di Milano. È importante offrire a queste donne un modello positivo di uomo. È importante mostrare che gli uomini non sono solo sfruttatori o clienti», scandisce Sabrina Ignazi, dell’Area Tratta e prostituzione di Caritas Ambrosiana.
Ci sono molte catene da spezzare, per aiutare queste donne a lasciare la strada: «L’ignoranza, cioè la non conoscenza di servizi e normative che le possono aiutare – spiega Ignazi –; il timore, nel contatto con le istituzioni, di essere riconosciute come “clandestine” e di essere espulse dall’Italia; il clima di isolamento, sospetto, paura, minacce e violenza in cui le chiude lo sfruttatore. Che nel caso delle nigeriane, è una donna. E c’è anche la paura di minacce e ritorsioni contro i familiari in madrepatria, e il vincolo di un debito da pagare all’organizzazione che si è fatta carico dell’arrivo in Italia. E il meccanismo dello sfruttamento spesso si fa intensissimo e intollerabile».
È per aiutare le donne prostituite e sfruttate sulle strade di Milano che dagli anni ’90 Avenida si fa loro incontro. «E il primo passo è proprio rompere l’isolamento – e un prima occasione può essere l’accompagnamento ai servizi sanitari per “presidiare” e proteggere la loro salute – e così creare spazi di relazione liberi da sfruttatori e clienti, perché possano arrivare a decidere di chiedere aiuto». Ignazi lavora al Sed (Servizio disagio donne), il servizio sociale di Caritas Ambrosiana che si occupa dell’ascolto, dei colloqui e della presa in carico delle donne, a questo punto invitate ad aderire a un progetto personalizzato che le porti verso l’emancipazione e l’autonomia, e ospitate in strutture protette, in luoghi segreti (due comunità e cinque appartamenti gestiti da cooperative della “rete” Cartitas) dove riprendere in mano la propria vita. «Imparare o migliorare la conoscenza dell’italiano, proseguire o completare gli studi, soprattutto imparare un mestiere ed inserirsi nel lavoro: questo, insegna l’esperienza degli anni, è decisivo perché queste donne possano arrivare ad una piena autonomia – sottolinea Ignazi –. L’alternativa è tornare nella precarietà e ricadere in percorsi di sfruttamento».
Le 37 donne ospiti delle case protette della Caritas sono tutte nigeriane. Due terzi sono rifugiate politiche, un terzo ha ottenuto il permesso di soggiorno con l’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione (il decreto legislativo 286 del 1998) entrando in percorsi protetti di fuoriuscita dallo sfruttamento. «Forse per questo tutte le nostre ospiti sono nigeriane. Per le romene, che sono comunitarie, e le albanesi, che possono entrare in Italia con un visto rinnovabile ogni tre mesi, il permesso di soggiorno è una “offerta” molto meno allettante». Ecco, dunque, la sfida: trovare vie e strumenti per «agganciare» anche loro. «L’aumento di romene e albanesi, con il calo delle nigeriane, è la tendenza da almeno un paio d’anni a Milano come nel resto d’Italia. E si tratta di donne ad elevata “mobilità”, che il racket, anche per motivi di “rinnovamento” dell’offerta di mercato, sposta spesso tra i vari Paesi europei, incrementando così il loro isolamento».

Vittime della tratta: non numeri ma volti e storie concrete

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Interrogativi intrisi di sofferenze indicibili e racconti di orrori vissuti sulla pelle e perpetrati ancora oggi, ogni giorno, in diversi Paesi del mondo. È attraverso questo intreccio, denso di angoscia e sgomento, che si è articolata, stamani, la conferenza stampa per la presentazione della Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta delle persone, promossa dall’Unione Internazionali delle Superiore e dei Superiori Generali.

Un dramma contemporaneo

La Giornata ricorre ogni anno l’8 febbraio, il giorno in cui la Chiesa ricorda Santa Giuseppina Bakhita. Spinge e costringe a porsi delle domande. Padre Michael Czerny, sotto-segretario della Sezione migranti e rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, in particolare ha posto questi interrogativi: Perché la depravazione del traffico umano persiste nel 21.mo secolo? Semplicemente perché la tratta, ha aggiunto, è molte redditizia? Cosa possiamo fare per arginare ed eliminare il traffico di esseri umani?

Non numeri, ma volti

Secondo stime fornite dalle Nazioni Unite, sono oltre 45 milioni le persone vittime della tratta. Ma la realtà, anche sotto il profilo dei numeri, è probabilmente ancora più grave. Padre Frederic Fornos, direttore internazionale della Rete mondiale di preghiera del Papa, ha detto che “di fronte a questa tragedia umana, di fronte a tanta sofferenza, impotenza e angoscia di uomini, donne e bambini, spesso nel contesto delle migrazioni”, si eleva un grido. “È un grido – ha affermato – che viene dal cuore, è il grido di preghiera al Signore”. Per Francesco, ha sottolineato, “non sono numeri, sono nomi, volti, storie concrete”. “Non possiamo tacere, ha aggiunto padre Fornos, se non vogliamo vendere la nostra anima al diavolo”. Per questo motivo, ha poi ricordato, “abbiamo preparato con il Papa il video mensile su questo dramma”.

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Santa Sede. Papa: le migrazioni arricchiscono le società. «Anche Gesù fu un rifugiato»

Il Papa con alcuni migranti in un’immagine d’archivio (Fotogramma)

La questione dei migranti e della tratta degli esseri umani è al centro delle preoccupazioni pastorali e degli orientamenti magisteriali di papa Francesco. Ne sono ulteriore prova due nuovi documenti della Sezione migranti e rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, un ufficio posto alle dirette dipendenze del Pontefice e diretto da due sotto-segretari: il gesuita slovacco-canadese Michael Czerny e lo scalabriniano italiano Fabio Baggio.

I due testi diffusi oggi sono gli “Orientamenti pastorali sulla Tratta di persone” e “Luci sulle Strade della Speranza – Insegnamenti di Papa Francesco su migranti, rifugiati e tratta”.

Il primo, frutto di un processo di consultazione con le Conferenze Episcopali, le organizzazioni cattoliche e le congregazioni religiose, presenta una serie di orientamenti pastorali allo scopo di comprendere, riconoscere, prevenire e debellare la piaga della tratta di persone, proteggere le vittime e promuovere la riabilitazione dei sopravvissuti. Il documento, di 38 pagine, illustra “realtà e risposte” sulla piaga della tratta, indicandone le cause, sollecitandone il riconoscimento, illustrandone le dinamiche e le possibili modalità per sconfiggere il fenomeno (rafforzare la cooperazione, sostegno ai sopravvissuti, promuovere la reintegrazione). Il documento è disponibile in formato digitale su: https://migrants-refugees.va/it/tratta-di-esseri-umani-e-schiavitu/ in varie lingue e formati.

Il secondo volume, prefato dallo stesso Pontefice, è una corposa raccolta (489 pagine) degli insegnamenti magistrali di Papa Francesco su migranti, rifugiati e tratta dall’inizio del Suo Pontificato alla fine del 2017. Ad esso è abbinata una versione elettronica con programma di ricerca, disponibile sul sito della Sezione, che viene aggiornata regolarmente a cadenza semestrale incorporando i nuovi insegnamenti pontifici.

“Spostarsi e stabilirsi altrove con la speranza di trovare una vita migliore per se stessi e le loro famiglie: è questo il desiderio profondo che ha mosso milioni di migranti nel corso dei secoli”, osserva il Pontefice nella sua prefazione. Spiegando come “gli esodi drammatici dei rifugiati” siano “un’esperienza che Gesù Cristo stesso provò, assieme ai suoi genitori, all’inizio della propria vita terrena, quando dovettero fuggire in Egitto per salvarsi dalla furia omicida di Erode”.

“Il viaggio dei migranti non è sempre un’esperienza felice” rimarca Papa Francesco. Basti pensare “ai terribili viaggi delle vittime della tratta”. Anche in questo caso, però, “non mancano le possibilità di riscatto, come accadde per il piccolo Giuseppe, figlio di Giacobbe, venduto come schiavo dai fratelli gelosi, il quale in Egitto divenne un fiduciario del faraone”.

“Nella Sua infinita misericordia, Dio elargisce liberamente la Sua grazia in ogni circostanza”, scrive Papa Francesco. “Ce lo confermano – aggiunge – gli esempi ispiratori dei nostri antenati nella fede i quali hanno dovuto fuggire dalle persecuzioni o, seguendo la voce del Signore, hanno viaggiato in terre lontane come missionari”.

“Anche oggi – osserva il Pontefice – i movimenti umani, pur generando sfide e sofferenze, stanno arricchendo le nostre comunità, le Chiese locali e le società di ogni continente”. “Come la storia umana, – prosegue – la storia della salvezza è stata segnata da itineranze di diverso genere – migrazioni, esili, fughe, esodi – tutte comunque motivate dalla speranza di un futuro migliore altrove. E anche quando l’itineranza è stata introdotta con intenzioni criminali, come nel caso della tratta, non bisogna lasciarsi rubare la speranza di librazione e riscatto”.

“Mi auguro – conclude la prefazione – che questa raccolta di insegnamenti e riflessioni possa illuminare i nostri passi sulle strade della speranza, fornendo spunti d’ispirazione per la preghiera, la predicazione e l’azione pastorale”.

I padri Czerny e Baggio da parte loro, nella prefazione al volume sugli “Orientamenti pastorali sulla tratta delle persone”, sottolineano come Papa Francesco “non ha mai nascosto la sua grande preoccupazione” verso tale fenomeno, “che miete milioni di vittime – uomini, donne e bambini -, le quali possono essere annoverate tra le persone più deumanizzate e scartate ovunque nel mondo di oggi”. I due religiosi ricordano che il Pontefice chiamano la tratta “un ’flagello atroce’, una ’piaga aberrante’ e una ferita ’nel corpo dell’umanità contemporanea’”. E scopo degli Orientamenti è proprio quello “di fornire una chiave di lettura della tratta e una comprensione che diano ragione e sostegno a una lotta necessaria e duratura” per sradicarla.

>> LA PREGHIERA PER LE VITTIME DELLA TRATTA

da Avvenire