TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE (ANNO B). Letture e Salmo

Grado della Celebrazione: FESTA
Colore liturgico: Bianco
Scheda Agiografica: TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE (ANNO B)

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NOTA: Quando questa festa ricorre in domenica, si proclamano le tre letture qui indicate; se la festa ricorre in settimana, si sceglie come prima lettura una delle due che precedono il Vangelo; il Salmo responsoriale è sempre lo stesso.



La Trasfigurazione non era destinata agli occhi di chiunque. Solo Pietro, Giacomo e Giovanni, cioè i tre discepoli a cui Gesù aveva permesso, in precedenza, di rimanere con lui mentre ridava la vita ad una fanciulla, poterono contemplare lo splendore glorioso di Cristo. Proprio loro stavano per sapere, così, che il Figlio di Dio sarebbe risorto dai morti, proprio loro sarebbero stati scelti, più tardi, da Gesù per essere con lui al Getsemani. Per questi discepoli la luce si infiammò perché fossero tollerabili le tenebre della sofferenza e della morte. Breve fu la loro visione della gloria e appena compresa: non poteva certo essere celebrata e prolungata perché fossero installate le tende! Sono apparsi anche Elia e Mosè, che avevano incontrato Dio su una montagna, a significare il legame dei profeti e della Legge con Gesù.
La gloria e lo splendore di Gesù, visti dai discepoli, provengono dal suo essere ed esprimono chi egli è e quale sarà il suo destino. Non si trattava solo di un manto esterno di splendore! La gloria di Dio aspettava di essere giustificata e pienamente rivelata nell’uomo sofferente che era il Figlio unigenito di Dio.

Oggi Trasfigurazione del Signore 6 Agosto 2020. S. Messa in S. stefano ore 19

Oggi Trasfigurazione del Signore S. Messa in S. stefano ore 19

Icona della Trasfigurazione, Centro Aletti

Oggi la Trasfigurazione del Signore, luce che tutto illumina

La festa della Trasfigurazione del Signore fa parte del mistero della salvezza e, come scrive Papa Francesco oggi in un tweet, in essa “Gesù ci mostra la gloria della Risurrezione: uno squarcio di cielo sulla terra”.

Circa otto giorni dopo aver annunciato agli Apostoli la Sua Passione, Gesù si apparta con tre di loro che erano i suoi preferiti, o forse semplicemente i più pronti a vedere, e sale con loro su una montagna. Pietro, Giovanni e Giacomo qui hanno una visione di Gesù trasfigurato, cioè splendente di luce e di Gloria, mentre accanto a Lui compaiono anche Mosé ed Elia che parlano della prossima morte di Gesù a Gerusalemme. A quel punto gli Apostoli cadono in un sonno profondo perché tutto quello che stanno vivendo è per loro insostenibile. Si risvegliano avvolti da una nube, da cui odono la voce di Dio e la sua raccomandazione di ascoltare Gesù, che chiama “il suo Figlio prediletto”.

La simbologia del monte

Sebbene nel corso dei secoli siano state avanzate diverse interpretazioni – come quella sul Monte Hebron – è certo che la montagna su cui Gesù conduce gli Apostoli sia il Tabor. Ma quello che è interessante è il significato di questo simbolo: l’altura è sempre il luogo in cui si può incontrare Dio, contrapposto alla grotta che in genere simboleggia il mondo umano, sensibile. Dio, ad esempio, aveva dato a Mosé le Tavole della Legge sul Sinai, un altro monte; e un parallelismo c’è anche con il Golgota, il luogo in cui Gesù viene crocifisso.

La luce che tutto illumina

La festa della Trasfigurazione esprime nella maniera più completa la teologia della divinizzazione dell’uomo e lo fa attraverso l’espressione della divinità di Cristo, il cui simbolo è la luce. Nelle rappresentazioni iconografiche che illustrano la Trasfigurazione, infatti, ogni cosa è illuminata, ma è come se ci fossero più sfumature: nel testo evangelico, infatti, si dice che Cristo appare di una luce abbagliante, in realtà la luce con cui Gesù si presenta non è la sua vera luce perché nessun uomo può vedere davvero il divino e restare vivo. Come teofania, anticipata da quelle veterotestamentarie e a sua volta anticipatrice della Risurrezione di Gesù di cui condivide proprio il simbolo della luce, la Trasfigurazione è anche una manifestazione trinitaria: qui, infatti, mentre il Figlio appare con la sua carne trasfigurata e il Padre è presente con la voce, c’è anche lo Spirito Santo, rappresentato dalla nube luminosa.

Mosé ed Elia, poi gli Apostoli

Nella scena della Trasfigurazione, la presenza di Mosé ed Elia accanto a quella dei tre apostoli, sottolinea la doppia natura di Cristo, che è insieme umana e divina, come pure la fondazione della Chiesa stessa. Mosé viene in genere raffigurato a destra, con la barba corta, il volto giovanile, che porge a Gesù le tavole della legge; Elia è l’altro, con capelli e barba lunga, è lì come simbolo di tutti i profeti e infatti indica Cristo: l’oggetto delle loro profezie, il Messia. Gesù, in mezzo a loro, è venuto non per abolire la legge o contraddire i profeti, bensì per portare a compimento entrambi, perché tutti guardano all’unica verità che è Dio. Sotto ci sono gli apostoli, che sono innanzitutto uomini e come tali sbagliano: basti guardare Pietro, che propone di rimanere lì, tirando su tre tende. I loro errori, la loro finitudine, la loro incapacità di capire, inscindibile dalla natura umana, sono quelle di ognuno di noi.

La festa della Trasfigurazione

Tra le dodici grandi feste del calendario bizantino, che si celebra dalla vigilia fino all’ottava successiva, la Trasfigurazione cade il 6 agosto perché secondo un’antica tradizione sarebbe avvenuta 40 giorni prima della crocifissione, cioè 40 giorni prima della festa dell’Esaltazione della Croce che è il 14 settembre. In Oriente si comincia a celebrare la solennità della Trasfigurazione alla fine del V secolo ed è documentata nel VII nella Siria occidentale. In Occidente le prime testimonianze in merito risalgono alla metà del secolo IX, ma alla sua diffusione contribuisce molto Pietro il Venerabile, finché Papa Callisto III nel 1457 la inserisce nel calendario della Chiesa universale.

vaticannnews

Commento al vangelo della Trasfigurazione

Solitamente nel vangelo odierno si vede:
– Un’anticipazione della gloria di Cristo (cf in Gv 12,28 1a voce del Padre: «L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!»). Il suo volto è trasfigurato, come più tardi lo sarà il volto del risorto, che richiederà del tempo per essere riconosciuto.
– Un sostegno alla fede degli apostoli. Pietro, Giacomo e Giovanni saranno i testimoni dell’agonia, quando Gesù in persona, e non più gli apostoli, «cominciò a provare tristezza e angoscia… si prostrò con la faccia a terra» (Mt 26,37-39). Poco prima della Trasfigurazione, Pietro aveva confessato la fede in Gesù Figlio di Dio: la voce del Padre viene a confermare questa professione di fede e il commento fattone da Gesù: «Il Padre mio che sta nei cieli (te l’ha rivelato)» (Mt 16,13-20).

Ma questa fede di Pietro era ancora molto debole
Poco dopo la sua «confessione», egli aveva manifestato la sua totale incomprensione del mistero della croce e Gesù l’aveva trattato come «Satana» (Mt 16,13-23). Forse questo contesto di tensione fra Pietro e Cristo può spiegare il timore menzionato da Matteo. Timore sacro che l’incontro col divino provoca nell’uomo, e che Gesù viene amichevolmente a placare con un gesto fraterno notato solo da Matteo.
– Una conferma della natura di Gesù e della sua missione profetica: «Il Figlio mio… ascoltatelo».
Una lettura più approfondita ci mostra Gesù come:
– L’erede di tutto l’Antico Testamento. Lo attestano la presenza di Mosè e di Elia, i due grandi profeti, i due testimoni (che ritroviamo in Ap 11,3); e anche i due la cui morte supera la sorte comune (la tomba di Mosè non fu mai ritrovata ed Elia fu portato via su un carro di fuoco).
– «Il profeta» annunciato dal Deuteronomio che prenderà il posto di Mosè: «Un profeta pari a me; a lui darete ascolto» (Dt 18,15, citato in At 7,37). Come il volto di Mosè era raggiante alla sua discesa dal Sinai (Es 34), il volto di Gesù «brillò come il sole». Questo particolare è proprio di Matteo, mentre Marco e Luca si accontentano di affermare che il volto di Gesù cambiò aspetto.
– Colui che sta preparando la nuova Pasqua. L’«alto monte», il sopraggiungere della nube, il timore che essa provoca ricordano il Sinai; le tende che Pietro vuol costruire ricordano il deserto.

Il racconto della Trasfigurazione in Matteo
Pur dipendendo da Marco (9,2-10), Matteo rielabora i dati della tradizione in forma abbastanza libera, accentuando soprattutto i tratti letterari «apocalittici» nel suo racconto e attingendo non poco da Daniele (cf 10,1-11, ecc.): così, ad esempio, il volto di Gesù diventa luminoso come il sole e le sue vesti come la luce; i discepoli cadono bocconi a terra assaliti da timore; Gesù li tocca e li rincuora, invitandoli ad alzarsi e a non temere, ecc. Tutto questo serve a creare il senso del mistero e della «trascendenza». Gesù si manifesta come uno che appartiene a un «mondo» e a una realtà diversi da quelli della nostra esperienza. Il «regno di Dio», sia pure per un attimo, in lui si manifesta in totalità e pienezza con tutti i «segni» che lo costituiscono e lo caratterizzano.
Quel «regno di Dio», a cui non soltanto rendono testimonianza i più significativi personaggi del pessato, come Mosè ed Elia, ma di cui fanno anche parte: il che equivale a dire che esso è una realtà «omnicomprensiva» che, pur trovando in Cristo la sua pienezza, si compone e si arricchisce della presenza e dell’apporto di tutti. In questo senso è evidente che Cristo da solo non basta a costituire il regno di Dio!
Il mistero non è però sufficiente a spiegarsi da solo: nelle visioni apocalittiche, infatti, ricorre come costante letteraria il suono di una «voce» che viene dal cielo a illustrare il senso delle cose e dei personaggi in gioco, proprio come capita nel nostro caso: «Ed ecco una voce che diceva: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo”» (Mt 17,5).
Ciò nonostante il senso del mistero rimane, per il semplice fatto che subito dopo i tre discepoli, che Gesù aveva prescelti per questa singolare esperienza, e cioè Pietro, Giacomo e Giovanni, si ritrovano davanti al Gesù di tutti i giorni: «All’udire ciò i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore, ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: “Alzatevi e non temete”. Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo» (vv. 6-8). Quello che avevano visto e udito sembrava loro niente più che un incantesimo, o un’illusione!
Tanto più che Gesù stesso interviene per proibire di divulgare questo fatto prima della sua Risurrezione: «E mentre discendevano dal monte Gesù ordinò loro: “Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti”» (v. 9).

La Trasfigurazione come «anticipazione» della gloria pasquale
Perché questa proibizione? La ragione non è per niente chiara. Io ritengo che il motivo sia da ricercare nel fatto che la Trasfigurazione, per un verso è come un’anticipazione, sia pure ancora incerta, del mistero della Risurrezione che immette già nella gloria definitiva del mondo «futuro»; e, per un altro verso, solo attraverso la futura esperienza della Risurrezione i discepoli di Gesù potevano afferrare il mistero di quei pochi attimi di gloria e di felicità, che Pietro era stato invece tentato di prolungare all’indefinito: «Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia» (v. 4).
Bisognava perciò attendere la Risurrezione per penetrare fino in fondo il mistero e comprendere la «continuità» fra il Gesù «terreno» e il «Signore della gloria». La Trasfigurazione rappresenta precisamente l’anello di saldatura fra le due esperienze che gli Apostoli hanno avuto di Cristo: dal sepolcro non è venuto fuori un personaggio fantastico, inventato dalla immaginazione amorosa dei suoi discepoli e neppure creato dalla onnipotenza di Dio, ma un personaggio «concreto» che, se soltanto adesso rifulge della «gloria» abbagliante della divinità, questa «gloria» la possedeva già prima, come mostra appunto l’evento misterioso della Trasfigurazione. Per questo molti studiosi parlano di essa come di una esperienza pasquale «anticipata».
Tutto questo si capisce anche meglio se si pensa alla precisa collocazione del nostro testo. Esso viene subito dopo l’annuncio della passione e morte del Figlio dell’uomo, dopo le rimostranze di Pietro e l’invito ai discepoli a seguire il Maestro sulla via della croce: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,21-28). Con ciò si vuol dire che al di là della passione esiste per Gesù un futuro di gloria e che in lui non c’è frattura tra la sua missione di Servo sofferente di Jahvè e quella di giudice glorioso ed escatologico, che gli compete in quanto «Figlio dell’uomo» già predetto da Daniele (7,13-14).
Solo l’esperienza di Pasqua poteva perciò aiutare i discepoli a mettere insieme questi due aspetti così contrastanti dell’unica personalità e dell’unica esperienza salvifica di Cristo.
Tutto questo, del resto, non è facile neppure per noi dopo duemila anni di cristianesimo, almeno a livello esistenziale. Ed è per questo che la voce, che proclamò solennemente al mondo Gesù come «Figlio prediletto» del Padre (cf Is 42,1 e Mt 3,17), aggiunse anche: «Ascoltatelo» (v. 5).
Il riferimento corre qui al Profeta futuro, atteso come un secondo Mosè, per proclamare al popolo la Parola ultima e definitiva di Dio: «Il Signore tuo Dio susciterà per te… un profeta pari a me; a lui darete ascolto» (cf Dt 18,15).
L’«ascoltare», però, ha un’ampiezza ben più vasta, come risulta da tutto il contesto: è la capacità di accettare Cristo, alla luce della fede, come colui nel quale si incrocia il mistero della umiliazione e della gloria, della sofferenza fino alla morte e della risurrezione, e di seguirlo su questa via di apparente contraddizione ma di profonda armonia di valori e di esperienze vitali. È un «ascoltare» che si traduce in un «riesperimentare» e in un «rivivere».

Occorre essere esperti di tenebre per comunicare la speranza.

Il viaggio della vita terrena ha come meta ultima la vita, la casa del Padre, la comunione perfetta.
C’è l’invito ad essere viandanti, non nomadi.

Il viandante va, ha nel cuore la nostalgia per ciò che ha lasciato, ma anche la passione e la premura di raggiungere la meta.
Il viandante si mette in marcia con un carico leggero perché la strada è lunga ed egli lo sa, però può diventare benedizione per chi incontra.
Il viandante è obbediente ad una chiamata e lungo il cammino impara ad ascoltare il ritmo della vita della strada, e ciò che compie non è per la sua brama, per la sua volontà, ma perché nell’ascolto attento entra nella realizzazione del progetto di Dio.

Tutto questo va fatto in un percorso di speranza.
La speranza è come quella luce sul monte della trasfigurazione.
Luce che subito si spegne perché bisogna riprendere la strada nella notte.
Ma intanto quella luce si è accesa e tu sai che c’è.
Per avere la speranza e poterla comunicare bisogna essere esperti di tenebre.
Per questo, la luce del Tabor viene fatta risplendere mentre si cammina verso la croce di Gesù.
Anche chi ritiene di non avere la fede, e non porta ancora dentro di sé la luce del Risorto, può essere in grado di sperare.
E lo può proprio perché, nella sua strada di notte, qualcosa è venuto a spezzare per un momento le tenebre,
e la luce di quell’istante è diventata la forza segreta del suo cammino che è, nello stesso tempo,
nel buio della notte e nell’attesa paziente di un’alba luminosa della storia.

L’ultima decisiva partenza di ogni uomo è quella che si lascia alle spalle ogni sicurezza e si abbandona a Dio per un futuro che è solo promessa.

elledici.org

 

Oggi 6 Agosto è Trasfigurazione di Gesù, ecco le cose da sapere

Grado della Celebrazione: FESTA
Colore liturgico: Bianco


Fu papa Callisto III nel 1457 a estendere questa festa alla Chiesa universale. La data del 6 agosto dipende dal fatto che secondo una tradizione l’episodio narrato dai Vangeli sarebbe avvenuto quaranta giorni prima della Crocifissione di Gesù la cui festa, già nella Chiesa d’Oriente e poi anche in quella d’Occidente si celebra il 14 settembre con l’Esaltazione della Santa Croce

Il 6 agosto la Chiesa cattolica e quella ortodossa celebrano la Trasfigurazione di Nostro Signore. Gesù scelse di prendere con sé alcuni discepoli per salire sul Monte Tabor a pregare. Sei giorni prima aveva detto ai suoi discepoli: «Vi sono alcuni tra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell’uomo venire nel suo regno» (Mt 16, 28) ed ecco che Pietro, Giacomo e Giovanni furono scelti per assistere all’ineffabile: Cristo apparve nel suo Corpo glorioso. Infatti, mentre pregava, «il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante» (Lc 9, 29) e due uomini, anch’essi apparsi nella loro gloria, parlavano con Lui del compimento in Gerusalemme del suo sacrificio: erano Mosè ed Elia che rappresentavano la Legge e i Profeti. L’episodio è raccontato dai vangeli di Matteo 17,1-8; Marco 9,2-8 e Luca 9,28-36.

Giovanni Bellini, La Trasfigurazione, Napoli, Galleria Nazionale di Capodimonte.

Giovanni Bellini, La Trasfigurazione, Napoli, Galleria Nazionale di Capodimonte.

QUALE PAPA HA DECISO DI ESTENDERLA ALLA CHIESA UNIVERSALE?

La liturgia romana leggeva il brano evangelico riferito all’episodio della Trasfigurazione il sabato delle Quattro Tempora di Quaresima, mettendo così in relazione questo mistero con quello della Passione. Lo stesso evangelista Matteo inizia il racconto con le parole: «Sei giorni dopo» (cioè dopo la solenne confessione di Pietro e il primo annuncio della passione), «Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, suo fratello, e li condusse sopra un alto monte, in disparte. E si trasfigurò davanti a loro: il suo volto risplendette come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce».

C’è in questo episodio una netta contrapposizione all’agonia dell’orto del Getsemani. La Trasfigurazione, che fa parte del mistero della salvezza, è ben degna di una celebrazione liturgica che la Chiesa, sia in Occidente come in Oriente, ha comunque celebrato in vario modo e in date differenti, finché papa Callisto III nel 1457 elevò di grado la festa, estendendola alla Chiesa universale. Alla diffusione capillare della festa contribuì Pietro il Venerabile e Cluny.

QUAL È L’INTERPRETAZIONE DI SANT’AGOSTINO?

Sant’Agostino spiega, nel Discorso 78, che i suoi vestiti sono la sua Chiesa. «Se i vestiti non fossero tenuti ben stretti da colui che l’indossa, cadrebbero. Che c’è di strano se mediante il vestito bianchissimo viene simboleggiata la Chiesa, dal momento che sentite dire dal profeta Isaia: Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, lì farò diventare bianchi come neve (Is 1, 18)?». Dunque anche se i peccati commessi dagli uomini di Chiesa fossero di colore rosso scarlatto, la sua Sposa avrebbe comunque un abito candido e rilucente grazie al Sole, Cristo. A tale visione Pietro esprime sentimenti soltanto umani, senza pensieri soprannaturali: «Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia» e, a questo punto, l’evangelista Luca precisa: «Egli non sapeva quel che diceva»; Pietro, la pietra sulla quale Cristo avrebbe edificato la sua Chiesa, seppure di fronte alla bellezza della maestà del Salvatore, utilizza canoni di carattere terreno.

Spiega ancora sant’Agostino: «È bello per noi, o Signore – dice – stare qui. Era infastidito dalla folla, aveva trovato la solitudine sul monte; lì aveva Cristo come cibo dell’anima. Perché avrebbe dovuto scendere per tornare alle fatiche e ai dolori mentre lassù era pieno di sentimenti di santo amore verso Dio e che gl’ispiravano perciò una santa condotta? Voleva star bene».

Di fronte a Cristo glorioso Pietro aveva trovato la felicità e non avrebbe più voluto muoversi da quel luogo. La risposta giunse mentre egli ancora parlava: arrivò una nube e li avvolse e da essa uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo», la stessa voce che si era udita quando San Giovanni Battista aveva battezzato Gesù sulle rive del Giordano: «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto» (Mc 1,9-11).

Beato Angelico, Trasfigurazione di Gesù

Beato Angelico, Trasfigurazione di Gesù

QUAL È IL MONTE DELLA TRASFIGURAZIONE?

Una tradizione attestata già nel IV secolo da Cirillo di Gerusalemme e da Girolamo, identifica il luogo dove sarebbe avvenuta la Trasfigurazione con ilmonte Tabor, in arabo Gebel et-Tur (“la montagna”). Un colle rotondeggiante e isolato, alto circa 600 metri sul livello delle valli circostanti. È su questo colle che i bizantini costruiranno, poi, tre chiese di cui parla l’Anonimo Piacentino che le visiterà nel 570. Un secolo dopo Arculfo vi troverà un gran numero di monaci, e il Commemoratorium de Casis Dei (secolo IX) menzionerà il vescovado del Tabor con diciotto monaci al servizio di quattro chiese. Successivamente ci saranno i Benedettini che costruiranno anche un’abbazia, circondando gli edifici di una cinta fortificata.

PERCHÉ SI CELEBRA IL 6 AGOSTO?

La festa della Trasfigurazione secondo alcuni storici della liturgia ricorda la dedicazione delle basiliche del monte Tabor. Era celebrata dalla Chiesa nestoriana già alla fine del V secolo ed è documentata nel VII secolo nella Siria occidentale. La fissazione della data della festa al 6 agosto dipende dal fatto che secondo una tradizione l’episodio della Trasfigurazione narrato dai Vangeli sarebbe avvenuto quaranta giorni prima della crocifissione di Gesù. In Oriente si celebrava già la festa dell’Esaltazione della Santa Croce il 14 settembre, quindi di conseguenza fu stabilita la data della Trasfigurazione. In Occidente le prime testimonianze della festa risalgono alla metà del IX secolo (Napoli, paesi germanici, Spagna). Successivamente nel X secolo in Francia e nei secoli XI e XII anche a Roma nella Basilica Vaticana.

da Famiglia Cristiana



La Trasfigurazione non era destinata agli occhi di chiunque. Solo Pietro, Giacomo e Giovanni, cioè i tre discepoli a cui Gesù aveva permesso, in precedenza, di rimanere con lui mentre ridava la vita ad una fanciulla, poterono contemplare lo splendore glorioso di Cristo. Proprio loro stavano per sapere, così, che il Figlio di Dio sarebbe risorto dai morti, proprio loro sarebbero stati scelti, più tardi, da Gesù per essere con lui al Getsemani. Per questi discepoli la luce si infiammò perché fossero tollerabili le tenebre della sofferenza e della morte. Breve fu la loro visione della gloria e appena compresa: non poteva certo essere celebrata e prolungata perché fossero installate le tende! Sono apparsi anche Elia e Mosè, che avevano incontrato Dio su una montagna, a significare il legame dei profeti e della Legge con Gesù.
La gloria e lo splendore di Gesù, visti dai discepoli, provengono dal suo essere ed esprimono chi egli è e quale sarà il suo destino. Non si trattava solo di un manto esterno di splendore! La gloria di Dio aspettava di essere giustificata e pienamente rivelata nell’uomo sofferente che era il Figlio unigenito di Dio.

Trasfigurazione del Signore. L’unione con Dio destino dell’uomo

trasfigurazione

È la gloria il vero destino dell’uomo, un orizzonte che si è realizzato in Cristo e che dona senso a ogni singola azione quotidiana dell’umana esistenza. La festa liturgica odierna, tratta dal noto racconto evangelico della trasfigurazione del Signore sul monte Tabor davanti agli occhi degli apostoli, ci ricorda proprio che il mondo e il tempo tendono a un unico fine: l’unione con Dio. Va letta in questa direzione anche la presenza sul Tabor di Mosè e di Elia, immagini della Legge e dei Profeti che hanno preparato la strada alla venuta del Messia. Di fronte a questo evento Pietro sembra non comprendere la portata di ciò cui sta assistendo: lui pensa a godere del momento, mentre il Maestro gli ricorda che la missione di ogni vero apostolo è quella di stare in mezzo agli uomini.
Altri santi. Sant’Ormisda, papa (VI sec.); beato Carlo Lopez Vidal, martire (1894-1936).
Letture. Dn 7,9-10.13-14 (2 Pt 1,16-19); Sal 96; Mc 17,1-9.
Ambrosiano. 2 Pt 1,16-19; Sal 96; Eb 1,2b-9; Mt 17,1-9.

 

© riproduzione riservata – avvenire.it

La festa della Trasfigurazione del Signore nella tradizione bizantina

 

di Manuel Nin

 

La Trasfigurazione è una delle dodici Grandi feste del calendario bizantino; ha un giorno di prefesta il 5 agosto e un’ottava che si conclude il 13. L’iconografia della festa riprende la narrazione evangelica mettendo il Signore trasfigurato al centro dell’icona, avvolto di luce; Mosè ed Elia ai lati e sotto i tre discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni che non osano quasi guardare la luce abbagliante che viene dal Signore.
Al vespro delle grandi feste l’ufficiatura bizantina ha due momenti che in qualche modo le caratterizzano: la litì e l’artoclasia. La litì (“supplica”) è costituita dalla processione e dalle litanie che si cantano nel vespro, dopo le letture bibliche e i tropari che le seguono. Essa si svolge nella navata della chiesa, davanti all’iconostasi, e si conclude con l’artoclasia, cioè la frazione e distribuzione del pane, benedetto assieme all’olio e al vino.
Nella festa della Trasfigurazione del Signore durante la litì un lungo tropario, anonimo, riassume tutta la teologia della festa. Si tratta di una vera e propria mistagogia, per la Chiesa che lo canta, del mistero celebrato: Cristo glorioso trasfigurato sul Tabor di fronte ai discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni, alla presenza dei profeti Mosè ed Elia.
“Il Cristo, splendore anteriore al sole, mentre ancora era corporalmente sulla terra, compiendo divinamente prima della croce tutto ciò che attiene alla tremenda economia, oggi sul monte Tabor misticamente mostra l’immagine della Trinità”. La prima parte del tropario situa la scena della Trasfigurazione dandone già un’interpretazione teologica. Due aspetti sono importanti: la Trasfigurazione di Cristo avviene prima della sua croce e in qualche modo per i discepoli la prepara; quindi essa è una teofania trinitaria. Diversi tropari del vespro infatti ripetono e mettono in evidenza questo “prima della sua croce”. La Trasfigurazione del Signore, manifestando la sua divinità, prepara e sorregge i discepoli per l’altra grande manifestazione, quella della sua umanità sul Calvario.
“Conducendo infatti con sé in disparte i tre discepoli prescelti, Pietro, Giacomo e Giovanni, nasconde un poco la carne assunta e si trasfigura davanti a loro, manifestando la dignità della bellezza archetipa, seppure non nel suo pieno fulgore: l’ha infatti manifestata per dare loro piena certezza, ma non totalmente, per risparmiarli, perché a causa della visione non perdessero la vita, ed essa si adattasse piuttosto alle possibilità dei loro occhi corporali”. La seconda parte del tropario colloca la presenza dei tre discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni sul Tabor.
La Trasfigurazione sarà per loro un intravedere la natura divina del Verbo incarnato; la carne che il Verbo ha assunto – e qui il tropario adopera un linguaggio cristologico fortemente alessandrino – viene messa quasi tra parentesi per mostrare a Pietro, Giacomo e Giovanni la bellezza della natura divina. Quasi che nel tropario la Trasfigurazione fosse messa in contrasto con quella manifestazione piena della natura più umana che mai del Verbo nell’orto di Getsemani, sempre davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni. Nel Tabor, la visione è comunque velata, parziale, come lo fu quella di Mosè sul Sinai.
\”Parimenti prese il Cristo anche i sommi tra i profeti, Mosè ed Elia, come testimoni della sua divinità, perché attestassero che egli è verace irradiazione dell’essenza del Padre, colui che regna sui vivi e sui morti. Perciò anche la nube come tenda li avvolse, e attraverso la nube risuonò dall’alto la voce del Padre che confermava la loro testimonianza, dicendo: Questi è colui che, senza mutamento, dal seno, prima della stella mattutina, ho generato, il mio Figlio diletto; è colui che ho mandato a salvare quanti vengono battezzati nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, e con fede confessano che è indivisibile l’unico potere della Deità: ascoltatelo!”. La terza parte del tropario si sofferma sulla presenza di Mosè e di Elia sul Tabor che diventa quindi un nuovo Sinai.
Il testo è una parafrasi dei capitoli 24 e 33 del libro dell’Esodo – la nube che avvolge il monte durante la teofania e la voce di Dio dal Sinai – e che sono proclamati durante le letture fatte immediatamente prima nel vespro della festa. Mosè ed Elia diventano testimoni della divinità di Cristo, “verace irradiazione dell’essenza del Padre, colui che regna sui vivi e sui morti”, espressione che è quasi una parafrasi della professione di fede quando proclama “luce da luce”. La voce del Padre dall’alto del Tabor diventa quindi una professione di fede di tutta la Chiesa nel Dio uno e trino, e nel Figlio mandato per la salvezza di tutti gli uomini.
“Tu dunque, o Cristo Dio amico degli uomini, rischiara anche noi con la luce della tua gloria inaccessibile, e rendici degni eredi, tu che sei più che buono, del regno che non ha fine”. Il testo si conclude con una preghiera a Cristo che verrà ripresa nel tropario proprio della festa: “Ti sei trasfigurato sul monte, o Cristo Dio, facendo vedere ai tuoi discepoli la tua gloria, per quanto lo potevano. Fa’ risplendere anche su noi peccatori la tua eterna luce, per l’intercessione della Madre di Dio, o datore di luce: gloria a te”.

(©L’Osservatore Romano 5-6 agosto 2013)