Albania / Il poeta: «Nel nostro Dna la tolleranza. È un modello»

«L’Albania è uno dei paesi più antichi d’Europa ma la storia non è mai stata benevola con noi. Durante il regime comunista siamo rimasti isolati a lungo e la propaganda, che allora funzionava a pieno ritmo, ci ha fatto credere che l’Europa non ci volesse bene. Intorno a noi vedevamo soltanto nemici. Poi quella percezione è cambiata totalmente. Da noi si usa dire che “nelle avversità bisogna bussare subito alla porta del vicino”. In un mondo globale credo non sia possibile fare a meno della cooperazione e della solidarietà tra i popoli vicini. E la nostra porta più vicina è l’Europa». Originario di Korça, cittadina al confine fra la Grecia e la Macedonia del Nord, il poeta albanese Arjan Kallco intende da sempre la sua opera come una riflessione sul tempo e una ricerca dei luoghi in cui la poesia occidentale ha avuto origine. Il suo è lo sguardo di un letterato bilingue che pubblica nel suo idioma d’origine e in italiano – molte sue liriche sono uscite in Italia in opere collettanee – dal quale emerge la ricerca della classicità come rievocazione di un passato che è alle radici della nostra storia e della nostra modernità.

L’Albania è stata un Paese in bilico tra i fantasmi del passato e un presente segnato da uno sviluppo disordinato. Com’è cambiato negli ultimi trent’anni?

L’apertura all’Occidente ha finalmente abbattuto quell’isolamento di cui parlavo. La gente gode di diverse libertà, può viaggiare e spostarsi per motivi di lavoro, andare alla ricerca di una vita migliore. Ma dal punto di vista sociale abbiamo conosciuto un esodo biblico che ci ha fatto perdere alcune delle migliori menti del nostro Paese. Mentre la speculazione edilizia e il cemento hanno cambiato il volto delle principali realtà urbane, spesso il concetto stesso di democrazia si è ritrovato a oscillare tra anarchia e disordine, per colpa di una politica troppo conflittuale.

Da tempo il suo Paese è candidato all’ingresso nell’Ue: a che punto è sui temi della cittadinanza, del dialogo e della cultura in un’ottica europea?

Il confronto politico dovrebbe rispettare sempre i principi della tolleranza e del dialogo. Quando questi vengono meno, a risentirne è innanzitutto la popolazione. E se non rispettiamo appieno il concetto di uguaglianza nel senso più ampio della parola, la popolazione tornerà con la mente al passato. Magari rimpiangerà la presenza dello Stato, la scuola e la sanità gratuite. Negli ultimi trent’anni abbiamo costruito ponti non solo con l’Europa, facendo dialogare la nostra cultura con le altre. L’Istituto italiano di cultura, ad esempio, collabora da anni con le nostre istituzioni. Nel 1944 il mio Paese era molto arretrato. Ma da quel momento in poi si è trasformato grazie al lavoro dei nostri nonni e dei nostri padri. Anche se in passato gli intellettuali erano molto più preparati di oggi, la cultura occupa sempre un posto centrale nei nostri rapporti con il mondo, in particolare modo con l’Europa e con l’Italia.

Il dialogo interreligioso e interculturale, il clima di rispetto e fiducia reciproca tra cattolici, ortodossi e musulmani è un bene prezioso per il suo Paese. Crede che l’esperienza dell’Albania possa essere d’esempio per il resto del Mediterraneo?

Sono nato nel 1967, nell’anno della guerra contro la religione, in cui furono chiusi tutti i luoghi di culto. Chiese e moschee sono state riaperte solo dopo la caduta del regime comunista. Oggi nel mio Paese convivono più religioni anche perché i matrimoni misti hanno contribuito a pacificare le anime dei fedeli e questa cultura di tolleranza e dialogo viene tramandata alle nuove generazioni. Adesso gli albanesi celebrano insieme le feste religiose rispettive e gli estremisti, per fortuna, sono davvero una piccola minoranza. Nel corso dei secoli la gente si è convertita sempre dopo essere stata costretto dagli occupanti. Possiamo rappresentare un esempio anche per Paesi più grandi del nostro, ma tutto dipende dal rispetto reciproco e dalla volontà della gente di vivere in pace.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

«Da noi diciamo che “nelle avversità bisogna bussare subito alla porta del vicino”. E la nostra porta più vicina è la Ue»