Gli inni alla Vergine nella festa dell’Incontro del Signore

di Manuel Nin

La presenza della Madre di Dio nelle tradizioni liturgiche dell’oriente cristiano è importante per il suo ruolo nel mistero della salvezza. Con il nome di theotòkion – dal titolo theotòkos (“madre di Dio”) dato a Maria – si indicano nelle liturgie orientali, specialmente in quella bizantina, i testi liturgici che parlano del mistero della maternità divina di Maria. In questi testi viene sviluppata e cantata in forma poetica una vera e propria riflessione di carattere cristologico e mariologico.
Nella festa dell’Incontro del Signore, che ricorre il 2 febbraio, la figura della Madre di Dio è presente in quasi tutti i tropari. Maria è colei che porta Cristo, e diversi testi parlano del vegliardo, “l’antico di giorni” (Daniele, 7, 9), che i Padri e la liturgia hanno letto sempre in chiave cristologica: “L’antico di giorni, che un tempo sul Sinai ha dato a Mosè la legge, oggi si mostra bambino” ai due vegliardi nel tempio, Simeone e Anna.
La Vergine è presentata poi come colei dalla quale il Verbo di Dio nella sua incarnazione assume la natura umana: “È bambino per me l’antico di giorni; il Dio purissimo si sottopone alle purificazioni, per confermare che è realmente la mia carne quella che dalla Vergine ha assunto. Simeone, iniziato ai misteri, riconosce Dio stesso, apparso nella carne”. In tutta l’ufficiatura della festa, Maria è associata pienamente al mistero dell’Incarnazione del Verbo di Dio che si fa uomo per riparare la rovina sopraggiunta dalla caduta di Adamo. Maria è descritta nella sua verginità (ripetutamente con l’espressione “ignara di nozze”) e nella sua divina maternità: “La Madre di Dio, Maria, recando tra le braccia colui che è portato sui carri dei cherubini ed è celebrato con canti dai serafini, da lei senza nozze incarnato, metteva nelle mani del vecchio sacerdote il datore della Legge che compiva l’ordine della Legge”.
Come conseguenza di questa offerta da parte di Maria, l’anziano Simeone la canta come carro e trono terrestre che porta Dio: “Comprendendo il divino vegliardo la gloria che già un tempo si era manifestata al profeta, vedendo il Verbo tenuto tra le mani dalla Madre, esclamava: O venerabile, gioisci! Perché, come un trono, tu porti Dio, sovrano della luce senza tramonto e della pace. Inchinandosi il vegliardo e abbracciando i piedi dell’ignara di nozze e Madre di Dio, disse: Tu porti il fuoco, o pura: tremo nell’abbracciare come bambino Dio, Sovrano della luce senza tramonto”.
In diversi tropari della festa vi è la lettura cristologica del testo di Isaia, 6, 6, con l’immagine del carbone ardente che purifica coloro che lo toccano: “È purificato Isaia, ricevendo il carbone ardente del serafino, gridava il vegliardo alla Madre di Dio; e tu con le tue mani, come con molle, mi illumini dandomi colui che porti, il sovrano della luce senza tramonto”.
Nell’ultima ode del mattutino, quando la liturgia canta il cantico della Madre di Dio (Magnificat), sono ripresi i diversi aspetti del ruolo di Maria, che partorisce veramente il Verbo di Dio incarnato: “Per i neonati di un tempo, c’era una coppia di tortore o di piccoli di colomba: compiendo ora la figura col loro servizio, ecco il divino vegliardo e la casta Anna profetessa che magnificano, al suo entrare nel tempio, colui che è stato partorito dalla Vergine ed è unigenito Figlio del Padre”.
Infine Maria diventa colei che custodisce i fedeli e intercede per loro: “Madre di Dio, speranza di tutti i cristiani, proteggi e custodisci quanti sperano in te, e su di essi vigila”. E in questa festa è tutta la Chiesa che, assieme a Maria, gioisce per il sole di giustizia che da lei sorge per illuminare gli uomini.

(©L’Osservatore Romano 2 febbraio 2013)