Comunione e testimonianza

di Mario Ponzi

C’è molta attesa in Libano per l’ormai prossimo arrivo del Papa. E c’è attesa per il messaggio che egli porterà con sé, frutto di quelle intense giornate di riflessione e di confronto maturate durante i lavori dell’ Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente. Benedetto XVI ha fatto proprie le speranze manifestate dai padri sinodali ed è pronto a portare la sintesi di ciò che definì l’espressione della “polifonia dell’unica fede”. Ecclesia in Medio Oriente è il titolo dell’esortazione apostolica post-sinodale che Benedetto XVI firmerà in Libano la sera di venerdì 14 settembre, nella chiesa di San Paolo ad Harissa, per consegnarla poi personalmente a rappresentanti delle diverse comunità.. All’arcivescovo Nikola Eterovic, segretario generale del Sinodo dei vescovi, abbiamo chiesto di ripercorrere per il nostro giornale l’itinerario che si concluderà proprio con la pubblicazione dell’esortazione.
Dopo aver ricordato i momenti principali vissuti durante l’assemblea sinodale, l’arcivescovo ha definito il messaggio del Papa c on le parole del Signore Gesù: “Non temere, piccolo gregge”. “Il vescovo di Roma- ha detto – desidera incoraggiare tutti i Pastori e i fedeli cristiani in Medio Oriente a mantenere viva, con coraggio, la fiamma dell’amore divino nella Chiesa e nei loro ambienti di vita e di attività. Il Papa sostanzialmente raccomanda di mantenere integra la missione della Chiesa, voluta da Cristo. Del resto l’urgenza del momento presente e di tante situazioni drammatiche, richiedono di unirsi per testimoniare insieme Cristo morto e risorto. Per annunciarlo e renderlo prossimo ai fratelli e sorelle che soffrono varie tribolazioni, in particolare in queste terre benedette da Dio”..

(©L’Osservatore Romano 13 settembre 2012)

Comunicazione e testimonianza nell'era digitale

Pubblichiamo la prefazione del vescovo segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), al libro di monsignor Domenico Pompili, direttore dell'Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali e portavoce della Cei, dal titolo Il nuovo nell'antico. Comunicazione e testimonianza nell'era digitale (Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2011, pagine 166, euro 13).

Libro: "Il nuovo nell'antico. Comunicazione e testimonianza nell'era digitale" Autore: Pompili Domenico

(acquista il libro su ibs online con il 20% di sconto clicca qui)
 

di MARIANO CROCIATA

Nel suo messaggio per la 45ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, il Santo Padre ha paragonato la "rivoluzione digitale" alla rivoluzione industriale, per la sua capacità di innescare mutamenti profondi nella vita delle persone. Con essa entra in gioco, infatti, non solo un incremento quantitativo delle possibilità e dei modi di comunicare, ma un cambiamento qualitativo dell'idea stessa di comunicazione. Lo si potrebbe definire un "meta-cambiamento": una trasformazione del modo in cui le cose cambiano, un mutamento di cornice. La profondità e la velocità di simili modificazioni possono suscitare timore e senso di inadeguatezza e alimentare un atteggiamento di rinuncia; o, all'esatto contrario, un'esaltazione entusiasta che si adatta acriticamente alle leggi immanenti dello sviluppo tecnologico; oppure, ancora, può svegliare quello stupore e quel senso di meraviglia che ogni frutto mirabile dell'ingegno umano è in grado di generare, senza che per questo se ne faccia un idolo, bensì interrogandosi su cosa lo renda possibile e su come diventi strumento al servizio dell'umanità. Si richiede, perciò, la conoscenza del funzionamento e dei possibili effetti, la consapevolezza dei rischi e delle opportunità connaturati a ogni opera umana, per poter circoscrivere i primi e valorizzare le seconde. Si tratta di un lavoro impegnativo e di uno sforzo senza termine, perché sempre interpellato da nuove sfide, da un'innovazione che incalza a ritmi sempre più sostenuti; un lavoro che può avere buon esito soltanto se, insieme a una motivazione adeguata a sostenerlo, ciò che sta a cuore è l'umanità dell'uomo (e non il profitto o lo sviluppo tecnico come fine in sé).
È sconcertante vedere oggi quale divario esiste – e si fa sempre più grande – tra un progresso tecnico avanzatissimo, cui corrisponde una competenza d'uso ormai largamente diffusa specie tra i giovani, e una sorta di "analfabetismo" rispetto a tutto ciò che non è materiale: non solo la dimensione spirituale, ma anche le emozioni, i sentimenti, le relazioni, che sono vissuti in modo immersivo e spesso superficiale, senza la capacità di interrogarsi sul senso, sul valore che consentirebbe una pienezza di esperienza.
Gli Orientamenti pastorali Cei per il decennio 2010-2020, dal titolo Educare alla vita buona del Vangelo, ricordano che l'ambiente mediale costituisce il nostro nuovo "contesto esistenziale" (n. 51). Gli educatori, siano essi insegnanti, genitori, sacerdoti e operatori pastorali, si trovano sfidati in un compito difficile, reso ancora più impegnativo da un ambiente complesso.
Questo libro, frutto della competenza, ma anche dell'esperienza sul campo e del confronto con una serie di contesti educativi e pastorali, si offre come un prezioso strumento che intercetta una serie di bisogni urgenti: cogliere le trasformazioni della comunicazione tra i media tradizionali e i nuovi media; entrare, non importa se da "immigrati digitali", nella logica del nuovo ambiente, che ormai caratterizza la nostra quotidianità, non solo per non restarne tagliati fuori, ma per portarvi un contributo umanizzante; tenere presente, nello sforzo di comprensione, il fine ultimo di ogni azione, che è l'essere umano nella sua totalità e integrità; offrire spunti per una pastorale nel mondo digitale, sottolineandone la contiguità, piuttosto che la contrapposizione, con altri ambienti esistenziali concreti e cercando di valorizzare le enormi potenzialità di avvicinamento dei lontani. Per rendere la rete un luogo di accoglienza, un "portico digitale", in cui far risuonare la buona notizia e testimoniare la speranza che ci abita.

(©L'Osservatore Romano 2 giugno 2011)

Comunicazione e testimonianza nell'era digitale

Pubblichiamo la prefazione del vescovo segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), al libro di monsignor Domenico Pompili, direttore dell'Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali e portavoce della Cei, dal titolo Il nuovo nell'antico. Comunicazione e testimonianza nell'era digitale (Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2011, pagine 166, euro 13).

Libro: "Il nuovo nell'antico. Comunicazione e testimonianza nell'era digitale" Autore: Pompili Domenico

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di MARIANO CROCIATA

Nel suo messaggio per la 45ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, il Santo Padre ha paragonato la "rivoluzione digitale" alla rivoluzione industriale, per la sua capacità di innescare mutamenti profondi nella vita delle persone. Con essa entra in gioco, infatti, non solo un incremento quantitativo delle possibilità e dei modi di comunicare, ma un cambiamento qualitativo dell'idea stessa di comunicazione. Lo si potrebbe definire un "meta-cambiamento": una trasformazione del modo in cui le cose cambiano, un mutamento di cornice. La profondità e la velocità di simili modificazioni possono suscitare timore e senso di inadeguatezza e alimentare un atteggiamento di rinuncia; o, all'esatto contrario, un'esaltazione entusiasta che si adatta acriticamente alle leggi immanenti dello sviluppo tecnologico; oppure, ancora, può svegliare quello stupore e quel senso di meraviglia che ogni frutto mirabile dell'ingegno umano è in grado di generare, senza che per questo se ne faccia un idolo, bensì interrogandosi su cosa lo renda possibile e su come diventi strumento al servizio dell'umanità. Si richiede, perciò, la conoscenza del funzionamento e dei possibili effetti, la consapevolezza dei rischi e delle opportunità connaturati a ogni opera umana, per poter circoscrivere i primi e valorizzare le seconde. Si tratta di un lavoro impegnativo e di uno sforzo senza termine, perché sempre interpellato da nuove sfide, da un'innovazione che incalza a ritmi sempre più sostenuti; un lavoro che può avere buon esito soltanto se, insieme a una motivazione adeguata a sostenerlo, ciò che sta a cuore è l'umanità dell'uomo (e non il profitto o lo sviluppo tecnico come fine in sé).
È sconcertante vedere oggi quale divario esiste – e si fa sempre più grande – tra un progresso tecnico avanzatissimo, cui corrisponde una competenza d'uso ormai largamente diffusa specie tra i giovani, e una sorta di "analfabetismo" rispetto a tutto ciò che non è materiale: non solo la dimensione spirituale, ma anche le emozioni, i sentimenti, le relazioni, che sono vissuti in modo immersivo e spesso superficiale, senza la capacità di interrogarsi sul senso, sul valore che consentirebbe una pienezza di esperienza.
Gli Orientamenti pastorali Cei per il decennio 2010-2020, dal titolo Educare alla vita buona del Vangelo, ricordano che l'ambiente mediale costituisce il nostro nuovo "contesto esistenziale" (n. 51). Gli educatori, siano essi insegnanti, genitori, sacerdoti e operatori pastorali, si trovano sfidati in un compito difficile, reso ancora più impegnativo da un ambiente complesso.
Questo libro, frutto della competenza, ma anche dell'esperienza sul campo e del confronto con una serie di contesti educativi e pastorali, si offre come un prezioso strumento che intercetta una serie di bisogni urgenti: cogliere le trasformazioni della comunicazione tra i media tradizionali e i nuovi media; entrare, non importa se da "immigrati digitali", nella logica del nuovo ambiente, che ormai caratterizza la nostra quotidianità, non solo per non restarne tagliati fuori, ma per portarvi un contributo umanizzante; tenere presente, nello sforzo di comprensione, il fine ultimo di ogni azione, che è l'essere umano nella sua totalità e integrità; offrire spunti per una pastorale nel mondo digitale, sottolineandone la contiguità, piuttosto che la contrapposizione, con altri ambienti esistenziali concreti e cercando di valorizzare le enormi potenzialità di avvicinamento dei lontani. Per rendere la rete un luogo di accoglienza, un "portico digitale", in cui far risuonare la buona notizia e testimoniare la speranza che ci abita.

(©L'Osservatore Romano 2 giugno 2011)

L'omelia come testimonianza di vita nuova

di padre Piero Gheddo*

ROMA, lunedì, 24 maggio 2010 (ZENIT.org).- Diversi lettori mi hanno telefonato o scritto a proposito del mio articolo pubblicato da ZENIT sull’omelia domenicale (11 maggio 2010). Gli amici sacerdoti soprattutto, uno dei quali scrive: “Tu dici che nell’omelia domenicale bisogna dare testimonianza della propria fede, fino a commuovere chi ci ascolta. Ho sempre saputo che l’omelia domenicale serve per spiegare le letture della Sacra Scrittura e per presentare le verità della nostra fede. Oggi c’è un’ignoranza spaventosa circa le verità di fede. Mi pare che prima di applicare la fede alle situazioni concrete e alla vita, bisogna spiegare bene in cosa crediamo e cosa dice la Parola di Dio”.

L’omelia domenicale deve durare 10-12 minuti al massimo: se supera questo tempo il predicatore deve sapere che distrugge quel che di buono ha detto (a parte casi eccezionali). L’amico giornalista Giorgio Torelli mi dice che ogni tanto, alla Messa domenicale, visita diverse chiese di Milano, proprio per sentire cosa dicono i sacerdoti. Il giudizio che dà non è complessivamente positivo dal punto di vista della comunicazione. Gli dà fastidio che, dopo aver letto il Vangelo (chi viene in chiesa lo conosce quasi a memoria), spesso il prete lo racconta di nuovo con parole sue, dando varie spiegazioni storiche, esegetiche, dottrinali. Una volta, mi dice, nel Vangelo si legge la parabola del buon samaritano. Poi il prete racconta la stessa parabola appena letta, spiegando chi erano i samaritani, i leviti, i sacerdoti del tempio, perchè la strada da Gerusalemme a Gerico era favorevole agli agguati dei briganti, perché gli ebrei non si fermavano a soccorrere un samaritano, cose che non interessavano nessuno o quasi. Insomma, quando giunge a dare alcune esortazioni pratiche per la vita dei fedeli, cioè a incarnare il Vangelo nella vita, la gente non ascoltava più, aspettava solo che finisse di parlare.

Oggi la televisione abitua a sentire di vita comune. “All’uomo interessa l’uomo” diceva Montanelli ai suoi redattori e lui certo sapeva farsi leggere! Gesù sapeva farsi ascoltare, naturalmente perché compiva miracoli, aveva un enorme fascino personale e diceva verità straordinarie (pensiamo alle Beatitudini!), ma credo anche perchè parlava in parabole, cioè raccontava fatti concreti che allora tutti capivano. La parabola del buon Samaritano, in quel mondo bloccato dal fariseismo, era una novità assoluta, oggi è un fatto talmente risaputo (da chi viene in chiesa) che dà persino fastidio rileggerlo e poi sentirlo raccontare di nuovo.

Mi permetto di raccontare una mia piccola esperienza. Quando ho commentato il Vangelo della domenica per due anni (1994-1996 – Anno A e B) alla TV di Rai Uno tutti i sabati sera dalle 19,30 alle 19,45, dopo la lettura del brano evangelico incominciavo raccontando un fatto, un’esperienza di vita missionaria,  cioè un fatto reale dei nostri giorni che incarnava il contenuto dottrinale e morale del Vangelo appena letto. Parlando una decina di minuti, applicavo quel Vangelo alla nostra vita quotidiana. Alla Rai mi dicevano che gli ascolti erano cresciuti da una media di 700-800.000 a circa due milioni e ricevevo in media più di venti lettere al giorno (in seguito, hanno spostato l’orario del Vangelo domenicale dalle 19,30 alle 17 e gli ascolti sono molto diminuiti).

Qualcuno però mi scriveva o diceva che era troppo facile per me, che ho visitato le missioni in tutto il mondo, trovare fatti originali, interessanti da raccontare. Certo, mi è stato utile il giornalismo perché ho sempre scritto tutti gli incontri e le interviste, ma sono convinto che qualsiasi prete, se scrive e ricorda i fatti importanti e degni di memoria della sua vita sacerdotale e pastorale, accumula un notevole materiale predicabile, cioè esperienze di vita pastorale da tradurre in parabole, che applicano il Vangelo alla vita di tutti i giorni.

L’importante, secondo la mia esperienza, è trasmettere la fede nella vita, quindi anche commuoversi e commuovere, non fare una mini-lezione di teologia o di esegesi biblica.  

Il grande mistico don Divo Barsotti (1914-2006), interrogato sulle omelie d’oggi, affermava ("Il Focolare, Mensile dell’Opera della Divina Provvidenza Madonnina del Grappa", Firenze, aprile 1999, pag. 6): “Gran parte della predicazione cristiana non ha più successo perchè è diventata come la dottrina: non è più una testimonianza di vita. Negli Apostoli, ma anche nei grandi santi sacerdoti che ha avuto la Chiesa, la parola non era soltanto la trasmissione di una dottrina concettuale, era una vita nuova che il sacerdote e il cristianesimo portano nel mondo. Troppo spesso siamo dei ripetitori di luoghi comuni o anche di cose grandi (poche), ma ripetere soltanto non basta all’efficacia del ministero. Quello che si impone oggi per il sacerdote non è di rendersi uguale agli altri, perché così perdiamo di credibilità e di efficacia, è invece di diventare credibile con la sua vita”.