La prima funivia che unirà Italia e Svizzera

AGI –  Il 1 luglio il “sogno diventa realtà”: in questa data, infatti, sarà inaugurato il Matterhorn Alpine Crossing, il più elevato valico transfrontaliero delle Alpi percorribile in funivia, che collegherà il Piccolo Cervino al Plateau Rosa, unendo Italia e Svizzera. Ad illustrare l’ambizioso e avveniristico progetto è stato Federico Maquignaz, presidente di Cervino Spa, società che gestisce gli impianti di risalita di Breuil-Cervinia, Valtournenche, Torgnon e Chamois, insieme a Franz Julen, presidente degli impianti di risalita del comprensorio svizzero di Zermatt, durante un evento stampa alla Terrazza Martini di Milano.

Un passaggio epocale

“Il primo luglio, data di apertura ufficiale al pubblico, segna un passaggio epocale”, sottolinea Maquignaz, e non solo perché di questo collegamento transfrontaliero se ne parlava da anni, ma per quello che comporterà per le destinazioni e per i turisti. Avvicina le località della Valle d’Aosta e del Cantone svizzero del Vallese permettendo a tutti, e non solo agli sciatori, di “conoscere la montagna, capire cosa vuol dire vivere a 3.500 metri e vedere le tre pareti del Cervino, la sud, la est e la nord da vicino, standosene comodamente seduti”, con una tappa al Piccolo Cervino “da dove si possono ammirare 38 vette sopra i 4 mila metri”.

Questo collegamento porterà anche a una stagione più lunga, “la nostra intenzione è stare aperti 11 mesi all’anno, fermandoci solo un mese per la manutenzione”. Di stagione ‘unica’, e soprattutto di favorire il turismo in estate, si parla anche in Svizzera. “A Zermatt crediamo fermamente nel turismo, è il nostro futuro – è intervenuto Franz Julen – e crediamo nella collaborazione con l’Italia che adesso, grazie a questo progetto, fa un ulteriore passo avanti”.

Nella vita bisogna avere “visioni e sogni e se ci credi un giorno si avverano”. Proprio come per questa funivia. Basti pensare che “risale al 1939 il primo progetto per ‘legare’ Zermatt e Cervinia – ricorda – . Poi ce ne sono stati altri, ma mai realizzati”.

Gli impianti di risalita di Zermatt però non hanno mai smesso di crederci, tanto da investire 60 milioni di euro per realizzare nel 2018 il primo tratto fra Trockner Steg e Piccolo Cervino, e ulteriori 60 per il nuovo collegamento: 1,6 km in sospensione sopra il ghiacciaio del Teodulo, a superare i 363 metri di dislivello. E tutto nel “rispetto della natura, che è il nostro asset principale, e che va assolutamente protetta: non ci sono tralicci”.

Un legame più forte tra Italia e Svizzera

Come ha spiegato Julen, il Matterhorn Glacier Ride II, questa nuova funivia trifune che collegherà la stazione a monte Matterhorn Glacier Paradise con la stazione a valle Plateau Rosà in Italia, completando la connessione da Breuil-Cervinia a Zermatt, offrirà “una enorme opportunità”, sia per avere nuovi ospiti, provenienti da diversi paesi, sia per dipendere meno dall’inverno e “favorire il turismo estivo”. Ed è un progetto di cui, è pronto a scommettere il presidente di Zermatt Bergbahnen, “si parlerà ancora tra cento anni”. Certo, un’opera così imponente non può essere economica: i prezzi sono “dinamici” ma in generale, il biglietto di andata e ritorno costa circa 240 euro. “È qualcosa di unico. Puntiamo sulla qualità, su piccoli gruppi. Non vogliamo Disneyland e il turismo di massa”.

Un legame fra Italia e Svizzera che diventa ancora più forte grazie alle prime gare di sci transfrontaliere nella storia della Coppa del Mondo FIS. Quattro appuntamenti che si terranno il prossimo novembre, e precisamente l’11 e 12 (due discese libere maschili) e il 18/19 (due discese libere femminili) sulla nuova e spettacolare pista Gran Becca. “Quando questa pista sarà conosciuta diventerà un mito” ha assicurato Maquignaz. “La Valle d’Aosta è bellissima in tutte le stagioni ma soprattutto – ha concluso il Presidente della Regione Renzo Testolin – quando ci sono lampi che la illuminano in maniera inaspettata, come le iniziative che sono state presentate. Sono fiori all’occhiello”.

Mafia. Società, fiumi di contanti e coperture. Messina Denaro, ecco la pista svizzera

Portano a Lugano gli affari del boss e dei suoi fiancheggiatori. Perquisizioni a tappeto a Campobello di Mazara: i carabinieri nell’abitazione di un ex avvocato
Perquisizione nel terzo covo di Matteo Messina Denaro a Campobello di Mazara (Trapani)

Perquisizione nel terzo covo di Matteo Messina Denaro a Campobello di Mazara (Trapani) – Fotogramma

avvenire.it

L’ultimo dei covi individuati a Campobello di Mazara dalla Polizia è intestato a un siciliano emigrato in Svizzera quarant’anni fa, quando il ventenne “don Matteo” già prometteva di emancipare la mafia dell’entroterra trapanese, fino a sedersi un giorno «sulle gambe di Totò Rina», come di lui dicono con spregio alcuni pentiti.

La Svizzera è sempre stata una delle fissazioni di “Diabolik”. A Lugano se ne parla apertamente. Perché da qui a Basilea, attraversando piccoli borghi e piazzali di istituti di credito, in molti hanno avuto a che fare con i “piccioli” di Messina Denaro. Soldi a palate da nascondere o da reinvestire e di cui in gran parte si sono perse le tracce. Il cicerone che ci accompagna tra i segreti svizzeri di “u siccu” sa di cosa parla e porta con sé documenti che ci lascia solo guardare.

Le sue parole trovano molte conferme negli archivi investigativi e nelle ricerche dell’Osservatorio sulla criminalità della Svizzera italiana. Uno dei nomi è quello di Giovanni Domenico Scimonelli, figlio di emigrati siciliani, nato e cresciuto a Locarno. I 1.800 chilometri che separano la soleggiata località svizzera sul Lago Maggiore dalla sterpaglia di Castelvetrano non hanno impedito a Scimonelli di tenere insieme la scuola dei libri contabili e quella del disonore. Non uno sherpa qualsiasi.

Scimonelli aveva creato schermature societarie attraverso cui rendere pressoché impossibile la tracciatura dei movimenti di diverse carte di credito, messe nella disponibiltà della ristrettissima cerchia dei fedelissimi di Messina Denaro. All’occorrenza recapitava messaggi attraverso i “pizzini” con cui il boss impartiva ordini. Sempre lui provvedeva ai bisogni della famiglia del latitante e trasportava denaro contante dall’Italia alla Svizzera, dove sono stati aperti almeno due conti nella disponibilità di Diabolik. Nel 2018 Scimonelli è stato condannato all’ergastolo quale mandante di un omicidio. Non ha mai collaborato con le indagini e dei soldi di “Diabolik” in Svizzera non si è saputo quasi più nulla.

Una fonte della polizia cantonale conferma che a suo tempo fu individuata «una movimentazione di almeno 15 milioni di euro, ma quanti soldi siano transitati complessivamente sui conti e dove siano stati trasferiti non è stato possibile accertarlo».

Nel Cantone Ticino portano le voci di un altro dei comparti su cui il boss si è specializzato. La seconda moglie di Vito Nicastri, ritenuto uno dei più affidabili prestanome del capomafia trapanese, nella Svizzera Italiana ha sviluppato un buon numero di affari. Il 21 gennaio di due anni Nicastri, noto come “re dell’eolico” per avere accumulato una fortuna con le energie rinnovabili, è stato assolto in Corte d’appello dal reato di concorso esterno in associazione mafiosa, per cui il Tribunale gli aveva comminato nove anni. Ma è stata confermata la condanna per intestazione fittizia di beni. Secondo gli inquirenti antimafia Nicastri sarebbe uno dei finanziatori della latitanza di Messina Denaro. In Svizzera da tempo gli investigatori tengono d’occhio la donna e i suoi interessi nel campo della ristorazione e del commercio. Fino a poco tempo fa amministrava società che dal 2010 avevano acquistato nel Paese diversi diritti di superficie. Quando hanno cercato di capirne di più, gli ispettori svizzeri hanno scoperto che tra i soci vi erano emissari delle cosche calabresi di Platì e di San Luca. La conferma del patto di Messina Denaro con la ‘ndrangheta calabrese, che in Svizzera ha sviluppato ingenti business.

Una ventina di anni fa si scoprirono proprio nella Confederazione elvetica tracce di uno degli hobby di Messina Denaro. Da padrone dei mandamenti di Trapani e Agrigento, il boss si è sentito in diritto di depredarne perfino la storia, come uno di quei barbari che ogni tanto rapinavano l’isola. A Basilea vennero sequestrati cinque magazzini nella disponibilità di Gianfranco Becchina, che cooperava nel business della storia rubata e custodiva un archivio di cui si è seppe solo che conteneva 4mila immagini e 17mila documenti.

«Per noi questa è l’ennesima conferma della presenza di una mafia quasi sempre silente, ma non certo meno pericolosa», commenta Francesco Lepori, dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università della Svizzera Italiana. «Da noi – osserva – non si spara, ma solo perché il ricorso alla violenza creerebbe un allarme sociale che sarebbe da ostacolo agli interessi economici». In Sicilia intanto proseguono le perquisizioni, specialmente a Campobello di Mazara, dove emerge una rete di fiancheggiatori che conferma il clima di omertà di cui ha goduto il boss per proteggere la sua irreperibilità.

L’ultimo a finire nei guai è Antonio Messina, 77 anni, un anziano avvocato e massone radiato dall’albo, già coinvolto in passato in indagini che ruotavano attorno al nome di Messina Denaro. I carabinieri hanno perquisito due immobili di sua proprietà. Uno degli edifici si trova di fronte all’abitazione di Salvatore Messina Denaro, fratello del boss; l’altro a Torretta Granitola, sul litorale di Mazara del Vallo. Messina fu condannato per traffico di droga negli anni ‘90. Assieme a lui erano imputati l’ex sindaco del Comune di Castelvetrano, Antonio Vaccarino, che per conto dei servizi segreti intavolò una corrispondenza con Messina Denaro con il nome di Svetonio, e gli uomini d’onore Nunzio Spezia e Franco Luppino. Messina fu indicato dai collaboratori di giustizia Rosario Spatola e Vincenzo Calcara, come mandante dell’uccisione del giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto, ma venne successivamente prosciolto. Assolto anche due anni fa dall’accusa di traffico internazionale di stupefacenti sulla rotta Marocco-Spagna-Italia.

Svizzera con record: 80 donne da 25 Paesi conquistano assieme il Breithorn

Svizzera © Ansa

Questa settimana 80 donne aggiungono un capitolo femminile alla storia degli sport di montagna, finora dai tratti prevalentemente maschili: nell’ambito dell’iniziativa di Svizzera Turismo 100% Women, che punta a rendere più visibili le donne negli sport di montagna e outdoor, sono arrivate in Svizzera donne provenienti da Europa, Stati Uniti, ma anche da Paesi come Iran, India, Sudafrica, Kazakistan o Ecuador.

Insieme hanno formato la cordata femminile più lunga del mondo sul Breithorn (4164 metri), stabilendo un record mondiale.

Prima dell’impresa, chiunque con le condizioni fisiche necessarie per affrontare la scalata poteva candidarsi online per uno dei dieci posti liberi disponibili. I restanti posti sono stati assegnati dagli organizzatori a giornaliste e altre candidate, provenienti dalla Svizzera e dall’estero, con l’obiettivo di comporre una squadra più variegata possibile, rappresentativa di tutte le donne.

La Svizzera, tra le altre, era rappresentata dalla storica Marie-France Hendrikx, decisamente felice dopo la scalata: «La mia partecipazione a questa avventura femminile è stata piena di energia positiva ed entusiasmo.Per nulla al mondo mi sarei persa questo evento unico», sono state le parole della Hendrikx dopo la scalata per descrivere le sue emozioni. «La storia dell’alpinismo e degli sport di montagna si è così arricchita di un capitolo scritto dalle donne. La nostra speranza è che l’iniziativa ispiri tante altre donne di oggi e di domani a scrivere una nuova pagina nella storia di questa disciplina più aperta e più inclusiva.»

Pure la scalatrice iraniana Mina Ghorbani ha trovato l’atmosfera della cordata femminile estremamente positiva: «Anche se noi donne siamo stigmatizzate e dobbiamo lottare contro gli stereotipi e le barriere di genere, vogliamo comunque contribuire in egual misura alla società. Questa lotta è più importante nel mio Paese, l’Iran, che in altri Paesi. Iniziative come 100% Women ci permettono di farlo, anche grazie ai collegamenti con le donne scalatrici in Svizzera e nel mondo. Ci dimostrano che abbiamo tutti gli stessi obiettivi». E anche l’attrice tailandese e «UN Women Goodwill Ambassador» Cindy Sirinya Bishop ha aggiunto: «Vogliamo dimostrare che le donne dovrebbero essere rappresentate e visibili in tutti i settori, anche negli sport di montagna. È una parte importante del cammino verso una società veramente paritaria e che rispetta la diversità.»

Grazie alle migliori prospettive meteorologiche e alle condizioni di sicurezza (meno vento, migliori condizioni di neve e ghiaccio), la salita sul Breithorn si è svolta venerdì 17 giugno anziché giovedì. In questo modo le donne arrivate hanno avuto più tempo per esplorare la località alpina di Saas-Fee, il campo base, e per prepararsi, con una sessione di allenamento sul ghiacciaio del Längfluh.

A fare in modo che le straordinarie immagini del record mondiale facciano anche il giro del mondo sono le partecipanti stesse, attraverso la loro presenza sui media tradizionali e sui loro canali social. In totale le partecipanti solo attraverso i loro canali social media raggiungono oltre 24 milioni di persone. Come ad esempio l’attrice coreana Lee Si-young, accompagnata da una troupe televisiva coreana prima e dopo l’escursione in quota e che con il suo canale TikTok raggiunge oltre 17 milioni di fan. «L’iniziativa ci permette non solo di unire le donne e renderle più visibili negli sport di montagna e outdoor in generale, ma anche di presentare al meglio la Svizzera come destinazione montana in patria e all’estero», ha commentato Letizia Elia, membro della direzione di Svizzera Turismo.

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Uno dei siti più violenti e virali della galassia anti-bergogliana è Gloria TV

Fondamentalisti. Secondo don Ray, direttore di Gloria TV, i povero vengono dopo il proprio egoismo
Il 21 Aprile 2020 #Report è arrivata in anticipo, alle 21.10 su Rai3
Gloria TV è uno dei siti più violenti e virali della galassia anti-bergogliana. Funziona come un social network e tutti i giorni pubblica vignette contro il Pontefice. La redazione ha sede in un piccolo paese del cantone tedesco della Svizzera. Fuori c’è l’insegna, ma dentro la stanza sembra vuota. In Italia hanno ricevuto diverse denunce ma i loro server sono registrati in Moldavia