La storia. Corpus Domini: cosa significa, cosa si celebra

Originariamente in calendario il giovedì che segue la prima domenica dopo Pentecoste, lo si celebra prevalentemente la domenica successiva. Il 3 giugno il Papa a Ostia.
Papa Francesco durante il rito del Corpus Domini.

Papa Francesco durante il rito del Corpus Domini.

Avvenire

Una festa di popolo

Il Corpus Domini (Corpo del Signore), è sicuramente una delle solennità più sentite a livello popolare. Vuoi per il suo significato, che richiama la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, vuoi per lo stile della celebrazione. Pressoché in tutte le diocesi infatti, si accompagna a processioni, rappresentazione visiva di Gesù che percorre le strade dell’uomo.

Le origini nel Medio Evo, in Belgio

La storia delle origini ci portano nel XIII secolo, in Belgio, per la precisione a Liegi. Qui il vescovo assecondò la richiesta di una religiosa che voleva celebrare il Sacramento del corpo e sangue di Cristo al di fuori della Settimana Santa. Più precisamente le radici della festa vanno ricercate nella Gallia belgica e nelle rivelazioni della beata Giuliana di Retìne. Quest’ultima, priora nel Monastero di Monte Cornelio presso Liegi, nel 1208 ebbe una visione mistica in cui una candida luna si presentava in ombra da un lato. Un’immagine che rappresentava la Chiesa del suo tempo, che ancora mancava di una solennità in onore del Santissimo Sacramento. Fu così che il direttore spirituale della beata, il canonico Giovanni di Lausanne, supportato dal giudizio positivo di numerosi teologi presentò al vescovo la richiesta di introdurre una festa diocesi in onore del Corpus Domini. Il via libera arrivò nel 1246 con la data della festa fissata per il giovedì dopo l’ottava della Trinità.

Papa Urbano IV e il miracolo eucaristico di Bolsena

L’estensione della solennità a tutta la Chiesa però va fatta risalire a papa Urbano IV, con la bolla Transiturus dell’11 agosto 1264. È dell’anno precedente invece il miracolo eucaristico di Bolsena, nel Viterbese. Qui un sacerdote boemo, in pellegrinaggio verso Roma, mentre celebrava Messa, allo spezzare l’Ostia consacrata, fu attraversato dal dubbio della presenza reale di Cristo. In risposta alle sue perplessità, dall’Ostia uscirono allora alcune gocce di sangue che macchiarono il bianco corporale di lino (conservato nel Duomo di Orvieto) e alcune pietre dell’altare ancora oggi custodite nella basilica di Santa Cristina. Nell’estendere la solennità a tutta la Chiesa cattolica, Urbano IV scelse come collocazione il giovedì successivo alla prima domenica dopo Pentecoste (60 giorni dopo Pasqua).

L’inno scritto da san Tommaso d’Aquino

Papa Urbano IV incaricò il teologo domenicano Tommaso d’Aquino di comporre l’officio della solennità e della Messa del Corpus et Sanguis Domini. In quel tempo, era il 1264, san Tommaso risiedeva, come il Pontefice, sull’etrusca città rupestre di Orvieto nel convento di San Domenico (che, tra l’altro, fu il primo ad essere dedicato al santo iberico). Il Doctor Angelicus insegnava teologia nello studium (l’università dell’epoca) orvietano e ancora oggi presso San Domenico si conserva ancora la cattedra dell’Aquinate e il Crocifisso ligneo che gli parlò. Tradizione vuole infatti che proprio per la profondità e completezza teologica dell’officio composto per il Corpus Domini, Gesù – attraverso quel Crocifisso – abbia detto al suo prediletto teologo: “Bene scripsisti de me, Thoma”. L’inno principale del Corpus Domini, cantato nella processione e nei Vespri, è il “Pange lingua” scritto e pensato da Tommaso d’Aquino.

In numerosi Paesi, tra cui dal 1977 l’Italia, la celebrazione è stata tuttavia spostata alla domenica successiva. In molte Chiese locali però, tra cui obbligatoriamente a Milano, anche alla luce della recente riforma del calendario ambrosiano, la data è rimasta invariata così che la celebrazione e la processione eucaristica, rimane al giovedì. Così anche a Roma fino all’anno scorso quando il Papa ha deciso di spostare alla domenica la processione del Corpus Domini. In particolare quest’anno Francesco celebrerà il Corpus Domini a Ostia. Il 3 giugno infatti alle 18 il Pontefice presiederà l’Eucaristia nella piazza antistante la parrocchia di Santa Monica dalla quale partirà la processione che giungerà nel piazzale vicino alla chiesa di Nostra Signora di Bonaria dove il Pontefice impartirà la benedizione ai fedeli. Si interrompe così una tradizione che da oltre quarant’anni prevedeva il rito a San Giovanni in Laterano. Al tempo stesso Bergoglio, ripercorrendo i passi di Paolo VI che proprio a Ostia nel 1968 guidò la processione del Corpus Domini, sottolinea la centralità delle periferie, fisiche e esistenziali, nel suo pontificato

Studiosi a confronto sul cinema e l’audiovisivo nella storia del cattolicesimo

Il convegno a Roma organizzato da Cast

In corso fino al 10 giugno a Roma il convegno internazionale “La storia del cattolicesimo contemporaneo e le memorie del cinema e dell’audiovisivo”, organizzato dal centro di ricerca Cast “Catholicism ad audiovisual studies”. Presentati gli studi in corso per la catalogazione e la conservazione di un patrimonio storico fondamentale

Offrire un primo “stato dell’arte” sulle fonti audiovisive e le pratiche di ricerca per lo studio della storia del cattolicesimo contemporaneo.  Questo si propone il convegno internazionale su “La storia del cattolicesimo contemporaneo e le memorie del cinema e dell’audiovisivo” organizzato oggi e domani a Roma, nel Centro Studi Americani di Palazzo Antici Mattei, dal Centro di ricerca Cast – “Catholicism and Audiovisual Studies” dell’Università Telematica Internazionale UniNettuno, con la collaborazione, tra l’altro, della Direzione generale Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura.

Le sfide aperte dalla svolta digitale

Oltre quaranta relatori, da questa mattina, si stanno confrontando sulle sfide “e le frontiere aperte dalla svolta digitale sia per le politiche di conservazione del patrimonio storico legato all’audiovisivo, sia però anche per le scelte metodologiche che caratterizzano i nostri progetti di ricerca accademica” ha spiegato nel discorso introduttivo il fondatore e presidente di Cast, monsignor Dario Edoardo Viganò, vice cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e di quella delle Scienze Sociali. Nel pomeriggio di giovedì, infatti, i direttori delle più importanti istituzioni cinetecarie italiane, dall’Archivio storico Luce alla Cineteca del  Centro sperimentale di cinematografia, moderati dal vicedirettore editoriale del Dicastero per la Comunicazione Alessandro Gisotti, dibattono proprio su questi argomenti in una tavola rotonda dal titolo “Il patrimonio cinematografico sul cattolicesimo: tecnologie digitali tra conservazione e descrizione, restauro e filologia del film”.

Protagoniste le istituzioni che conservano audiovisivi

Un importante appuntamento internazionale che ha chiamato anche a raccolta le istituzioni piccole e grandi di varia tipologia (cineteche, archivi, biblioteche) che conservano materiale audiovisivo legato a realtà cattoliche ed enti ecclesiastici “con l’intento – chiariscono gli organizzatori – di mappare l’esistente e procedere a un raffronto teorico e tecnico sulle pratiche d’archivio audiovisivo”.

Il caso mediatico di Don Vesuvio

Già nella mattina di giovedì, Massimiliano Gaudiosi, dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa ad esempio, ha presentato la ricerca avviata su documentari e programmi televisivi italiani e internazionali dedicati a “Don Vesuvio”, il soprannome del sacerdote napoletano Mario Borrelli, scomparso nel 2007, che nel secondo dopoguerra si travestiva da “scugnizzo” per vivere per alcuni mesi in mezzo ai senzatetto, fino a creare la “Casa dello scugnizzo” per aiutare almeno i più giovani ad inserirsi nella società. Di lui si occuparono a lungo media italiani e stranieri, aiutandolo così a raccogliere fondi per le sue opere benefiche. La ricerca di Gaudiosi, su documenti inediti dell’archivio privato del sacerdote, mira a far luce “su una figura il cui impatto sull’immaginario cattolico del dopoguerra è stato troppo trascurato”. “L’attenzione – spiega il ricercatore – sarà posta in particolare sulla grande disinvoltura con la quale un rappresentante del clero”, diventato rapidamente uomo di copertina e protagonista di film ed inchieste per cinema e tv, “sia riuscito a portare al centro dell’attenzione mediatica i problemi di Napoli e dei suoi giovani, mostrando però anche i progressi di un efficiente modello assistenziale”.

Vaticana News

26 Dicembre S. Stefano, primo martire. Titolare della Chiesa al centro a Reggio Emilia

La festa di santo Stefano, all’indomani del Natale di Nostro Signore, dice lo stretto legame esistente tra l’incarnazione e la passione, tra il Natale e la Pasqua. Martire è il testimone della fede nel Dio incarnato, e ne annuncia la Pasqua, l’offerta della vita per la salvezza del mondo.
Di Stefano parlano gli Atti degli Apostoli (cc. 6-7): è il primo nominato dei sette diaconi incaricati di curarsi della distribuzione quotidiana di cibo, in particolare alle vedove. “Uomo di fede e pieno di Spirito santo”, apparteneva alla prima comunità cristiana di Gerusalemme.
Ebreo di origine ellenistica, Stefano (che in greco significa “coronato”) aveva una profonda conoscenza delle sacre Scritture, e questo gli consentì di sostenere una lunga disputa nel sinedrio, davanti al quale fu condotto a causa della sua attiva predicazione, soprattutto tra gli ebrei della diaspora, che egli guadagnava numerosi alla fede in Gesù crocifisso e risorto. Arrestato e condotto al giudizio del sinedrio, venne condannato, e un gruppo di fanatici, aizzando contro di lui il furore del popolo, prese a colpirlo con sassi, deponendo i mantelli ai piedi di un giovane, chiamato Saulo – il futuro Paolo – presente alla lapidazione. Stefano intanto pregava e diceva, come il suo Signore: “Padre, accogli il mio spirito”. Poi piegò le ginocchia e gridò forte: “Signore, non imputare loro questo peccato”(At 7, 59-60).
La sua festa, attestata alla data del 26 dicembre dal Martirologio di Nicomedia (361), dal Lezionario di Gerusalemme (415-417) e dal Martirologio siriaco, è già presente in occidente nel V secolo. L’uccisione di Stefano e la persecuzione che ne seguì costituirono l’occasione concreta che spinse il gruppo degli ellenisti a disperdersi. Cacciati da Gerusalemme si trasformarono in missionari itineranti, e il cristianesimo, da movimento interno al giudaismo, iniziò il suo cammino autonomo nel mondo.
La leggenda si impadronì della figura di questo santo; la proliferazione di reliquie autentiche o meno, nate dal ritrovamento del suo sepolcro in Palestina, contribuì a incrementare il suo culto, già vivo nelle comunità cristiane. La cronaca di questo ritrovamento fu stesa dallo stesso autore della scoperta, il prete Luciano di Kefar-Gamla.

chiesadimilano.it

 

Perché Natale è proprio oggi

Il Natale è la festa che nella tradizione cristiana celebra la nascita di Gesù, che però non nacque davvero il 25 dicembre. Le fonti storiche sulla vita di Gesù, cioè i Vangeli, non indicano una data precisa, e non sappiamo con certezza quando i cristiani abbiano cominciato a festeggiare il Natale: sicuramente almeno dal 336 d.C., come è indicato nel Cronografo del 354, una specie di calendario che è il primo documento a contenere un riferimento al Natale.

Quella del 25 dicembre alla fine fu scelta come data simbolica per ricordare la nascita di Gesù e cristianizzare le feste pagane che si celebravano nell’Impero Romano, i Saturnali e la festa del cosiddetto “Sole Invitto”.

Cos’erano i Saturnali, cioè il Natale prima del Natale
I Saturnali, Saturnalia in latino, si celebravano dal 17 al 23 dicembre in onore del dio Saturno, il corrispettivo del greco Crono. Come nelle antiche feste che nel tempo si sono trasformate nel Carnevale, durante i Saturnali le comuni regole sociali venivano invertite: tra le altre cose, capitava che i padroni servissero a tavola i loro schiavi. Come molte persone oggi pensano che il Natale sia il giorno più bello dell’anno, così pensava il poeta Catullo del 17 dicembre.

Molte tradizioni dei Saturnali si sono trasmesse al Natale cristiano: tra queste lo scambio dei regali, che quindi è più antico delle tradizioni cristiane. Avveniva il 19 dicembre, cioè il Sigillaria. Si donavano e si ricevevano cose semplici, simboliche, dato che scambiare oggetti di valore sarebbe stato contrario allo spirito della festa. Ai bambini venivano regalate statuette di pasta dolce – i sigilla – a forma di bambole e animali.

Alla fine del Terzo secolo il calendario civile romano indicava come solstizio d’inverno il 25 dicembre. In tutte le antiche culture dell’emisfero boreale il solstizio d’inverno viene festeggiato perché è il giorno dopo il quale le giornate ricominciano ad allungarsi, e per questo è legato alle divinità solari.

Sempre nel Terzo secolo, il 25 dicembre nell’Impero Romano si festeggiava anche il dio del Sole Invitto, che riuniva in sé vari dei solari di diverse religioni: il greco Helios, il siriano El-Gabal e il persiano Mitra.

Negli ultimi secoli dell’Impero Romano, prima che il cristianesimo diventasse la religione ufficiale, non erano rari questi culti che sovrapponevano varie divinità creando nuove religioni molto aperte. In particolare la religione del Sole Invitto era una di quelle che già prima dell’affermarsi del cristianesimo si avvicinava al monoteismo.

Il 25 dicembre fu scelto come giorno della nascita di Gesù – dopo aver preso in considerazione date come il 18 novembre, il 28 marzo e il 20 maggio – per “coprire” la festa del Sole Invitto e avere un’ulteriore argomentazione per convincere i pagani a convertirsi: non avrebbero perso la loro festa una volta diventati cristiani. La figura di Gesù era proposta a questi pagani come quella del “vero” Sole.

Le altre tradizioni natalizie
Nel corso del tempo e con la diffusione del cristianesimo, il Natale si è arricchito di molte altre tradizioni a loro volta provenienti da altre celebrazioni del solstizio d’inverno.

L’albero di Natale, per esempio, arriva dalla tradizione germanica della festa del solstizio d’inverno, chiamata Yule; nelle lingue scandinave il periodo del Natale si indica tuttora con espressioni che derivano chiaramente da questo termine, “jul” in svedese, danese e norvegese, “Jól” in islandese. Altri elementi tradizionali pagani sono passati alla festa di Capodanno, invece che al Natale: tra questi i fuochi e i falò che venivano accesi per il solstizio.

La storia dietro Babbo Natale invece è più complessa. L’Enciclopedia Britannica spiega che questa figura è nata a partire da quella di San Nicola di Bari – anche noto come San Nicola di Myra, città nell’attuale Turchia in cui era vescovo; il suo corpo fu portato a Bari dopo la morte – che si celebra il 6 dicembre. Il culto di questo santo è sempre stato legato all’idea dei doni recapitati ai bambini, e nel tempo la sua figura si è evoluta in quella di Babbo Natale, passando per il Sinterklaas olandese, portato nella colonia americana di New Amsterdam, poi diventata New York, e lì trasformatosi in Santa Claus.

Con il diffondersi della cultura americana nel mondo, dopo la Seconda guerra mondiale, Babbo Natale è diventato popolare anche in Italia, dove nella maggior parte delle regioni ha preso il posto di Gesù Bambino, Santa Lucia o San Nicola nel portare i doni ai bambini.

Il Post