IL PAESE SOTTO CHOC Sposa a sei anni e vittima di continui abusi: la storia della donna che ha turbato la Turchia

Padre e marito, condannati a 27 anni ma ancora in libertà, fanno parte della confraternita religiosa Ismailaga, vicina al governo

Turchia, bimba data in sposa a 6 anni: il caso scuote il Paese

Sposa a sei anni e vittima di continui abusi. La Turchia è sotto choc per la storia di H.G.K. una giovane donna di 24 anni che ha denunciato il padre per averla costretta al matrimonio quando era appena una bambina e il suo ex consorte che ha abusato di lei per anni. Genitore e marito facevano parte della confraternita religiosa Ismailaga, presente in diverse province e vicina al governo. Un vero e proprio matrimonio combinato, che la donna ha avuto il coraggio di denunciare solo nel 2020. Lo scorso 30 ottobre per i due uomini è arrivata una condanna a 27 anni di carcere.

Sorprende, però, il fatto che, nonostante la gravità dell’accaduto, nessuno abbia saputo nulla dei fatti fino alla denuncia del quotidiano Birgun. Rimane il dubbio che sulla vicenda sia calato il silenzio perché c’era coinvolta una confraternita islamica vicina all’esecutivo. Sull’accaduto sono intervenute le massime autorità dello Stato. Mustafa Sentop, vicepresidente turco, braccio destro di Erdogan, ha dichiarato: « Il fatto che uno dei nostri figli sia stato vittima di un fatto così grave non può lasciarci indifferenti e richiede provvedimenti. È inammissibile che succedano casi di violenza e abusi come questo». Duro anche il ministro della Giustizia, Bekiz Bozda ha assicurato che la magistratura è al lavoro. Intanto, però, nonostante la condanna, i due uomini sono ancora a piede libero e, nonostante il matrimonio sia finito da tempo, per la giovane donna non è ancora venuto il momento di dirsi al sicuro.

Il caso ha sconvolto profondamente il Paese. Il matrimonio fra minorenni, formalmente, in Turchia è vietato da anni. Ma alcune tradizioni sono rimaste vive nella società, soprattutto nel sud-est del Paese, complice non solo la politica conservatrice del governato islamico- moderato, ma anche la crisi siriana, che portato nel Paese milioni di persone, con l’incremento di minori siriane offerte in sposa a uomini adulti. Un’altra pratica molto diffusa è il matrimonio combinato, dove gli sposi vengono promessi fin dalla più tenera età dai loro genitori. Una concezione patriarcale che pesa soprattutto sulle donne. Un rifiuto da parte loro ha portato, anche di recente, all’uccisione, spesso perpetrata dal padre o dal fratello dopo un processo che si svolge all’interno della famiglia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Bambina promessa sposa in Pakistan dalla madre italiana, interviene la procura

La madre della piccola, italiana, voleva fare sposare la figlia al fratello del suo nuovo compagno pakistano. La condanna dell’Imam: per l’islam è un peccato

Bambina promessa sposa in Pakistan dalla madre italiana, interviene la procura

Reuters

da Avvenire

Promessa in sposa a 12 anni. Il futuro di una bambina, originaria di una famiglia italiana della provincia di Lecce, era stato ipotecato dalla mamma che aveva deciso il matrimonio della figlia con suo cognato, ovvero le nozze della piccola con il fratello minore del nuovo compagno: un pachistano con cui la madre, dopo essersi convertita all’islam, si era sposata nel Paese di origine dell’uomo.

A sbarrare la strada a questo percorso di vita deciso dalla donna è stato il padre della ragazzina, anche lui salentino, che si è rivolto alla Procura e al Tribunale dei minorenni chiedendo e ottenendo la sospensione della potestà genitoriale della madre e il contestuale allontanamento della 12enne che è stata affidata ai nonni paterni.

Il velo e un braccialetto

Il decreto del Tribunale dei minori di Lecce è finalizzato anche a scongiurare che la ragazzina possa essere condotta in Pakistan e che la promessa di matrimonio col cognato della madre, che ha 22 anni, possa quindi concretizzarsi. In questo solco si inserisce anche la decisione del questore di Lecce che ha sospeso la validità del passaporto della 12enne con un provvedimento di revoca del consenso all’espatrio. Secondo le carte dell’inchiesta, la bambina sarebbe stata convinta a portare il velo e a lasciare che venissero tracciati tutti i suoi spostamenti anche dal nuovo compagno della donna. E la minorenne avrebbe anche indossato giorno e notte un braccialetto raffigurante il Corano: il simbolo di una promessa da mantenere.

L’indignazione, intanto, serpeggia prima di tutto nel cuore della comunità islamica che vive in Salento. «La pratica dei matrimoni combinati, che avviene soprattutto in India e in Pakistan, nulla ha a che vedere con la fede islamica. Non conosco questa famiglia, ma si tratta di comportamenti – afferma Saifeddine Maaroufi, imam della moschea di Lecce – dettati meramente da questioni culturali e non dalla religione. Saluto per questo con grande sollievo la decisione dell’autorità giudiziaria che ha sospeso la potestà genitoriale a questa mamma che con tali atteggiamenti rappresenta un rischio per il futuro e la felicità della sua bambina. Una madre non può promettere in sposa sua figlia. È un illecito, ma anche un peccato. In questo modo vengono calpestati i diritti dell’infanzia che l’islam – ribadisce l’imam – preserva e custodisce. I figli non sono merce di scambio su cui mettere un’ipoteca. C’è un versetto coranico molto chiaro: non c’è coercizione nella religione. E un matrimonio, come anche una conversione, non può essere mai imposto o deciso da altri. Anche se ci fosse consenso della bambina, si tratterebbe comunque di una violazione del codice morale della nostra religione, perché una 12enne non può avere consapevolezza e maturità per una scelta così importante. Queste decisioni sconsiderate che vengono compiute dai genitori sono dettate dalla cultura dei Paesi di origine, ma sono assolutamente contrarie alla religione islamica», rimarca Maaroufi.

Tra Puglia e Germania

La vicenda ha avuto come scenario la Puglia e la Germania, dove la famiglia si era trasferita anni fa per motivi di lavoro. Dopo la fine della relazione tra i genitori, la mamma della 12enne ha conosciuto un uomo pachistano che ha poi sposato col rito islamico. Lei e il nuovo compagno sono poi tornati in Salento. Una volta scoperta la promessa del matrimonio, anche il padre della 12enne è rientrato in Puglia e ha denunciato all’autorità giudiziaria italiana il piano che aveva in mente l’ex moglie. Proprio la bambina avrebbe poi confermato agli inquirenti l’idea della madre. Intanto, la magistratura si muove su più fronti.

Oltre ai provvedimenti assunti dal tribunale dei minorenni, la procura ordinaria di Lecce ha aperto un’inchiesta per costrizione o induzione al matrimonio, maltrattamenti in famiglia, sottrazione e trattenimento di minore all’estero, abbandono di minore. Tra le ipotesi di reato c’è anche la violenza sessuale e l’indagine punta a verificare se anche la sorellina sia stata promessa in sposa.

Parallelamente è in corso l’istruttoria che deciderà sulla podestà genitoriale della donna. «Le eventuali responsabilità – mette in chiaro il procuratore capo del Tribunale dei minori di Lecce, Simona Filoni – saranno accertate nelle sedi competenti. Per quanto ci riguarda abbiamo attivato i servizi sociali e agito con urgenza per mettere in sicurezza i bambini e prevenire e scongiurare il rischio di qualsiasi pericolo. La tutela dei minori viene prima di tutto.

Il fenomeno delle spose bambine in alcuni Paesi è purtroppo una realtà e nulla pertanto può essere sottovalutato. Ci siamo mossi con tempestività e in una logica dettata dalla prevenzione: un percorso doveroso e che esula – sottolinea il procuratore Filoni – dall’accertamento delle eventuali responsabilità che seguirà il suo iter».

L’intervista. Asia Bibi: «Il Pakistan ponga fine alla piaga delle spose bambine»

In un colloquio con il direttore di Aiuto alla chiesta che soffre esprime il desiderio di andare a Roma dal Papa, la legge sulla blasfemia «va cambiata». Un’altro condannato a morte a Lahore

Asia Bibi in video collegamento con il direttore di Aiuto alla chiesta che soffre

Asia Bibi in video collegamento con il direttore di Aiuto alla chiesta che soffre

Asia Bibi, la cristiana pachistana, divenuta a livello internazionale simbolo della lotta per la libertà religiosa, lancia un appello affinché si ponga fine al dramma delle ragazzine cristiane, rapite, convertite forzatamente all’islam e date in sposa ai loro rapitori. «So che queste ragazze sono perseguitate e faccio appello al primo ministro del Pakistan Imran Khan: per favore, aiuti le nostre ragazze perché nessuna di loro deve soffrire!», dice in un’intervista con il direttore della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs), Alessandro Monteduro.
Acs in queste settimane si sta occupando in particolare di due casi: quelli di Huma Younus e Maira Shahbaz, ragazze minorenni costrette al matrimonio dopo essere state rapite, violentate e convertite. Altro tema particolarmente delicato, e in questi giorni tornato all’attenzione dei media internazionali, è quello della cosiddetta legge anti-blasfemia, cioè le norme del codice penale pachistano in base alle quali possono essere irrogati l’ergastolo o la pena capitale a chi si macchi di presunta blasfemia contro i simboli della religione maggioritaria. Si tratta delle stesse norme in forza delle quali Asia Bibi, madre di cinque figli, ha subito il carcere dal 2009 fino alla sentenza di assoluzione emessa dalla Corte Suprema del Pakistan nell’ottobre del 2018.
«Al momento della fondazione e della separazione del Pakistan dall’India il fondatore Ali Jinnah, nel suo discorso di apertura, ha garantito libertà religiosa e di pensiero a tutti i cittadini», ha ricordato Asia Bibi nel colloquio con Aiuto alla Chiesa che Soffre, che ha proseguito: «Oggi ci sono alcuni gruppi che usano le leggi esistenti ed io faccio appello al premier del Pakistan specialmente per le vittime della legge sulla blasfemia e per le ragazze convertite con la forza, perché tuteli e protegga le minoranze che sono anch’esse pachistane. Da vittima do’ il mio esempio: io ho molto sofferto e vissuto tante difficoltà, oggi sono libera e spero che questa legge possa essere soggetta a cambiamenti che vietino ogni suo abuso».

Poi una speranza, già espressa in passato più volte. «Ho un profondo desiderio di venire a visitare Roma e di incontrare il Santo Padre». Così Asia Bibi, la cristiana pachistana che, accusata di blasfemia, ha vissuto dieci anni di carcere duro e che è stata poi prosciolta e liberata. In un colloquio con il direttore della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, Alessandro Monteduro, la donna esprime il suo desiderio di incontrare il pontefice e afferma di pregare sempre per lui «che ci sostiene nella fede». Asia Bibi è divenuto un caso internazionale simbolo della lotta per la libertà religiosa.
Asia Bibi, che dopo la liberazione ha lasciato il Pakistan e oggi vive in Canada in una località segreta per evitare possibili ritorsioni degli estremisti, nell’intervista con Acs ha parlato anche del suo rapporto con Papa Francesco. «Io ho due coroncine» del rosario «donate dal Santo Padre», ha raccontato. «Una è rimasta in Pakistan e l’altra è ancora con me ed ogni giorno recito il Rosario per la fede e per i perseguitati in Pakistan. Ringrazio il Santo Padre Francesco e Papa Benedetto che è intervenuto per me e ringrazio voi di Aiuto alla Chiesa che Soffre e anche tanti altri italiani che hanno pregato per me».

Un altro condannato a morte

Intanto, un caso più che noto di ingiusta accusa di blafemia, si è concluso con la condanna a morte in primo grado di un cristiano a Lahore, in Pakistan, al termine di un processo durato sette anni. La condanna si riferiva a messaggi inviati dal 37enne Asif Pervaiz sui social nel 2013 e per i quali è rimasto in carcere per sette anni. Lo riferisce il suo avvocato, Saif-ul-Malook, secondo il quale “giustizia non è fatta” e in tribunale “non è stato veramente provato” che abbia commesso la blasfemia, aggiungendo che presenterà ricorso all’Alta corte di Lahore. L’avvocato Saif-ul-Malook in passato fu tra i legali che difesero proprio Asia Bibi, portando alla sua storica assoluzione da parte della Corte Suprema del Pakista.

La svolta. Spose bambine, il Pakistan si muove: nozze solo dopo i 18 anni

Una bimba di 7 anni nel retro di un camion dopo il matrimonio in India (foto archivio Ap)

Avvenire

Lunedì scorso, dopo oltre tre mesi dalla presentazione, il Senato del Pakistan ha approvato una legge che di fatto emenda quella che ha finora regolato le questione matrimoniale e prevedeva un’età minima di 16 anni per l’unione legale. Il limite è ora esteso a 18 anni, in sintonia con una sensibilità in evoluzione ma anche con le legislazioni di diversi altri Paesi musulmani, tra cui Turchia, Egitto e Bangladesh.

Il provvedimento, che esplicitamente «riduce il rischio del matrimonio infantile prevalente nel Paese e salva la donna dallo sfruttamento», era stato proposto a gennaio dalla senatrice Sherry Rehman, da tempo finita nel mirino dei fondamentalisti per la sua posizione critica verso la legge antiblasfemia al punto da essere stata costretta nel 2011 a lasciare il Paese, assegnata dall’allora partito di governo, il Pakistan People Party che in passato fu di Benazir Bhutto, alla sede delle Nazioni Unite a New York come ambasciatrice e in seguito indagata proprio per blasfemia.

Le pene previste per i trasgressori prevedono fino a tre anni di prigione e un’ammenda di almeno 100mila rupie (630 euro). Un severità che ha trovato un Senato pressoché compatto con soli cinque voti contrari alla legge su 104, ma con l’astensione del partito di governo il Pakistan Tehreek-e-Insaf. La forte opposizione islamista al provvedimento rischia di rendere la misura almeno in parte inefficace e il suo passaggio all’Assemblea nazionale per la definitiva approvazione quanto meno arduo. Se la posizione dei sostenitori è di rendere coerente l’età minima per il matrimonio con i 18 anni necessari a ottenere una carta d’identità nazionale, gli oppositori segnalano un possibile contrasto con la legge coranica (che consente il matrimonio dalla pubertà) e la mancanza di consultazione con i leader religiosi islamici.

Il matrimonio tra una 12enne e un 14enne in India (foto archivio Ap)

Il matrimonio tra una 12enne e un 14enne in India (foto archivio Ap)

Alla sua presentazione all’Assemblea martedì, anche due ministri, quello per gli Affari religiosi e quello per gli Affari parlamentari hanno votato contro, come già avevano fatto al Senato, e chiesto di chiedere un parere del Consiglio per l’Ideologia islamica anziché discuterlo in sede di commissione. A chiarire le difficoltà della sua discussione, il fatto che al dibattito introduttivo della legge all’Assemblea nazionale il 30 aprile, solo il Pakistan People Party ha votato compatto per la discussione del provvedimento, mentre tutti gli altri gruppi presenti nell’assemblea si sono divisi sulla sua opportunità.

Il confronto sull’età matrimoniale ha per le minoranze un’ulteriore valenza. Se approvato l’innalzamento a 18 anni, si negherebbe ulteriore legittimità ai matrimoni forzati in età minorile che sono un incubo per le giovani donne di fede cristiana, indù e ahmadiyya. La conversione, infatti, rende vano ogni impegno a far rientrare la “sposa” nella famiglia d’origine, salvo sia stata provata la costrizione al passaggio all’islamismo, ma la conversione non è abitualmente considerata valida anche dai tribunali islamici se al di fuori dell’età legale.

Alzare questa età in sostanza rende reato ogni imposizione al matrimonio per donne al di sotto dei 18 anni. A confermarlo anche Nasir Saeed, a capo del Centre for Legal Aid, Assistance and Settlement (Claas), organizzazione impegnata nella difesa dei cristiani perseguitati in Pakistan: «L’approvazione della legge è molto positiva, tuttavia la sua attuazione sarà altrettanto importante e se il governo mancherà di renderla efficace come stato in passato per altre leggi, pochi ne beneficeranno. In particolare tra le minoranze, dove è radicata la paura che le loro figlie vengano rapite, costrette alla conversione e a sposare contro la propria volontà i sequestratori».