Cronaca, politica, sport e concerti: eventi 2023 a Reggio e provincia

Il via all’attesissimo processo sul caso Saman Abbas, i comuni al voto, ma anche il Giro d’Italia a Scandiano e i big della musica alla Rcf Arena: ecco cosa ci attende nei prossimi mesi

REGGIO EMILIA – La data è quella del 10 febbraio, il luogo è quello del Palazzo di Giustizia di Reggio: il via al processo sul caso Saman Abbas. Un appuntamento destinato ad attirare su Reggio Emilia grandi attenzioni mediatiche non sono a livello nazionale, ma anche internazionale. Il punto interrogativo riguarda la presenza in aula del padre della ragazza, Shabbar Abbas, arrestato in Pakistan lo scorso 15 novembre: il 10 gennaio, martedi della prossima settimana, è prevista una nuova udienza in tribunale a Islamabad: si tratta dell’udienza decisiva per l’eventuale estradizione in Italia. Nessuna traccia ancora della madre della giovane, unica latitante.
Dalla cronaca giudiziaria allo sport: il 2023 riporterà in territorio reggiano il Giro d’Italia. Scandiano grande protagonista con partenza di tappa il 16 maggio, percorso verso il Passo delle Radici e arrivo a Viareggio.
Nel 2023 sono previste le elezioni amministrative in quattro Comuni della nostra provincia: al voto per eleggere il sindaco e il consiglio comunale andranno Brescello, Castelnovo Sotto, San Polo d’Enza e Correggio, quest’ultimo, al momento commissariato dopo le dimissioni lo scorso settembre di Ilenia Malavasi che aveva scelto di candidarsi alla Camera dei Deputati. La data non è ancora stata fissata: l’ipotesi più probabile riguarda il mese di maggio.
Nel 2023 Reggio avrà, inoltre, un nuovo Prefetto: Iolanda Rolli andrà in pensione e lascerà l’incarico in aprile.
Sul fronte spettacoli, infine, grande attesa per i concerti in calendario alla Rcf Arena: Zucchero il 9 e il 10 giugno, Harry Styles il 22 luglio, ma anche Blanco con Machine Gun Kelly il 23 giugno.

reggionline.com

 

LA STORIA / L’Aida sontuosa dei Colla Marionette con l’anima

Non sempre “testa di legno” è un’accezione negativa. Quando si parla di marionette, infatti (i fantocci a corpo intero azionati attraverso dei fili di refe, da non confondere con i burattini che invece sono figurine a mezzo busto animati da una mano), ci si riferisce a una forma di spettacolo intelligente che ci riporta ai tempi dell’infanzia e all’amato Pinocchio.

Questi “attori di cirmolo” (ma possono essere anche di tiglio o nocciolo) sul palcoscenico sono in grado di “interpretare” ogni genere teatrale, dalla commedia dell’arte ai classici greci, dalle fiabe al musical e persino il complicato melodramma, dove si recita, si canta e si balla. Ma la bravura delle marionette dipende da chi manovra i nove sottilissimi fili attaccati ai loro arti e alla testa e gli presta la voce dando così un preciso carattere al personaggio. La scrittura dei copioni, i costumi e le scenografie fanno il resto del successo. E a differenza degli attori in carne ed ossa, le marionette quando vengono “messe in gioco” non deludono mai gli spettatori perché ne stimolano la fantasia: le tecniche di manipolazione usate per animarli, infatti, riescono a riprodurre sia i gesti più impercettibili sia quelli più eclatanti, come salti, piroette e voli in aria, come si deve a un filone teatrale improntato alla parodia.

Una delle più grandi e antiche compagnie marionettistiche, attiva da più di due secoli, è la milanese “Carlo Colla & Figli” che ha messo in scena, nei teatri di ogni angolo del mondo, oltre trecento titoli divertendo grandi e piccini: I promessi sposi, Cenerentola, Il gatto con gli stivali, La Tempesta di Shakespeare (nella traduzione di Eduardo), Cristoforo Colombo, L’orfanella delle stelle, per citare solo alcuni tra quelli che hanno divertito di più il pubblico. Ma nel vasto repertorio ci sono anche i classici di Goldoni e Moliére, le fiabe di Perrault e, specialità, opere liriche di Giuseppe Verdi e Gioacchino Rossini. Gli eredi del fondatore Giovanbattista Colla, un ricco commerciante meneghino che ricavò un teatrino in una sala del suo palazzo dietro al Duomo, hanno saputo rinnovare ad ogni spettacolo la tradizione di famiglia. Ed oggi, grazie a loro, si può parlare di marionette moderne, con spettacoli dove sono entrate scenografiche raffinate ed effetti speciali, da colossal cinematografico. Un apporto decisivo alle innovazioni è stato quello di Eugenio Monti Colla, storico direttore artistico della compagnia e regista di quasi tutti gli spettacoli allestiti finora. Nella sede milanese dei Colla, in via Montegani, c’è l’atelier nato nel 1994 e gestito dall’Associzione Grupporiani che si occupa di produzione e distribuzione, con decine di ‘Geppetti’ al lavoro per scolpire blocchi di legno che, assemblati fra loro, avranno fattezze sempre perfette (le marionette devono mostrare le caratteristiche somatiche e fisiche dei personaggi che rappresentano). Qui, esperti artigiani realizzano e restaurano anche scenografie e costumi dalle stoffe leggere da modellare sui corpi di legno. E sempre qui viene custodito l’archivio storico della Compagnia: 30mila pezzi tra pupazzi, abiti di scena, sculture, trucchi e parrucchi, attrezzeria, materiali utilizzati nei più importanti allestimenti e i libri mastri degli spettacoli.

La tradizione dei Colla trova le sue radici nell’antichissima arte che ci è stata tramandata in scritti di Aristotele, Platone, Erodoto, Apuleio dove si parla di bambole con arti mobili usate per rappresentare le loro commedie. Il più recente nome di marionetta deriverebbe invece dalla festa delle “piccole Marie di legno”, dette “mariette” a Venezia nel X secolo. Ma è nella secondo metà del Cinquecento che si afferma questa forma di spettacolo, con l’istituzione del primo teatro italiano del genere a Londra. E con la commedia dell’arte le marionette si diffondono soprattutto nel Nord Italia diventando sempre più popolari (mentre al Sud c’è l’opera dei pupi, incentrata sull’epopea cavalleresca). Il padre di Carlo Goldoni nel suo teatrino veneziano di San Tomà allestì anche uno spettacolo di marionette per il quale il figliolo, a soli otto anni, scrisse la sua prima commedia. Nel 1850 Milano e Torino vantano già teatri stabili dedicati esclusivamente alle marionette: il Gerolamo e il Gianduia che presero i nomi da maschere locali. Fiorirono ovunque le compagnie: nel capoluogo lombardo la famiglia Colla diventa celebre per le storie di Gerolamo della Crina, buffo personaggio di legno che darà il nome alla sala che si trova in piazza Beccaria, una bomboniera ottocentesca detta “La piccola Scala”. Nel 1993 i Colla entusiasmarono il raffinato pubblico del Festival dei Due Mondi di Spoleto diretto da Giancarlo Menotti con l’opera musicale Dalla terra alla luna, trama fiabesca, scene sontuose ed effetti speciali meccanici. Il melodramma è uno dei cavalli di battaglia della Compagnia milanese, in particolare quello verdiano che meglio si presta a rappresentare i canoni “romantici” del teatro delle marionette con le figure dell’eroe, del malvagio suo antagonista e della bella contesa tra i due (come accade nei pupi siciliani con le storie ispirate alla letteratura epica di origine medievale). Ed ecco allora, nel rispetto della tradizione, che fino al 3 luglio, il Piccolo Teatro di Milano ospita Aida, nell’edizione originale diretta da Eugenio Monti Colla. Lo spettacolo comprende parti cantate e parti recitate. Inoltre, stravolgendo l’opera verdiana, a causa della pressante richiesta del pubblico che affollava il Teatro Gerolamo alla prima rappresentazione, il finale prevede il crollo del tempio e la fuga di Radames e Aida verso le sognate “foreste imbalsamate”. Duecento figure sono animate da 13 marionettisti e 5 voci recitanti, le musiche registrate sono quelle dell’orchestra della Scala diretta da Arturo Toscanini nel 1949. Uno spettacolo da non perdere.

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Piccolo di Milano: dietro le quinte della compagnia milanese attiva da più di due secoli in cui, in tutto il mondo, ha messo in scena oltre 300 titoli, divertendo grandi e piccini. Fino al 3 luglio le repliche dell’opera di Verdi con le musiche registrate dell’orchestra della Scala diretta da Toscanini nel 1949

Avvenire

Spettacoli: Bruckner e Verdi sfide della fede

Santa Cecilia, lei in persona, la fanciulla cristiana che affrontò il martirio cantando le sue preghiere e per questo sarebbe divenuta in seguito la patrona dei musici, certo apprezzerà che l’altra Santa Cecilia, cioè l’istituzione musicale romana che da più di quattro secoli porta il suo nome, inauguri oggi la nuova stagione di concerti con un programma interamente all’insegna del “sacro”. L’aspetto più singolare del concerto è l’accostamento dei due autori prescelti, che sono Anton Bruckner e Giuseppe Verdi, uomo di fede, cattolico fervente il primo, mentre l’altro non era un credente convinto. C’è però un denominatore comune, e cioè la grande, indiscussa spiritualità di entrambi.

Ed è singolare anche che mentre il brano di Bruckner è una sinfonia, la sua nona ed ultima, cioè un pezzo formalmente laico (salvo a contenere all’inizio della partitura una espressa dedica «al buon Dio» e alla fine il suggerimento di essere conclusa con l’esecuzione del Te Deum), i brani verdiani sono nientemeno che le Laudi alla Vergine, l’Ave Maria, il Te Deum e lo Stabat Mater. Pagine scritte a tarda età, ascoltando le quali a qualcuno è parso che, avvicinandosi alla fine della vita, Verdi abbia cercato in esse un sostegno segreto e una consolazione, quasi la ricerca di un dialogo più intimo e discreto con la spiritualità.

La monumentale Sinfonia di Bruckner, composta nel 1894 e rimasta incompiuta, è considerata come uno dei vertici del sinfonismo tedesco. Di essa restano tre movimenti: dopo la parte introduttiva e lo scherzo che molti hanno definito addirittura “tellurico” per la violenza delle emozioni che esprime, la sinfonia culmina in un lungo adagio che sembra un simbolo di redenzione, quasi un testamento musicale in cui si manifesta l’aspirazione al sacro del compositore.   

I Quattro Pezzi Sacri di Verdi, opera della tarda maturità, benché composti separatamente sono normalmente eseguiti insieme. Nella prima esecuzione a Parigi nel 1898 furono presentati i primi tre, Laudi alla Vergine Maria, Te Deum e Stabat Mater, ai quali si aggiunse in seguito l’Ave Maria, in occasione della pubblicazione presso l’editore Ricordi.

Sul podio, in questo concerto inaugurale (che è anche una sorta di anteprima delle celebrazioni verdiane del 2013) sarà Antonio Pappano. In tutti quest’anni di direzione stabile, egli ha stabilito con l’orchestra di Santa Cecilia un rapporto profondo, collaudato e affinato dai programmi eseguiti in sede e dalle sempre più numerose, più lunghe e più apprezzate tournée all’estero (a proposito delle quali il presidente-sovrintendente Cagli osserva che è stato proprio il grande successo registrato in questi viaggi a far apprezzare di più anche il patria in valore dell’orchestra e del suo direttore).

E l’apprezzamento dovrebbe salire ulteriormente dopo il concerto di questa sera. Il primo ad esserne convinto è proprio Pappano. «Accostare Bruckner a Verdi – ha detto – è per me una cosa speciale». La scelta di Bruckner gli è venuta spontanea dopo l’esecuzione, avvenuta l’anno scorso e sempre da lui diretta, dell’Ottava Sinfonia. L’ha definita «una pagina che quasi mi ha cambiato la vita e allargato l’orizzonte: non solo quello spirituale, ma persino quello musicale».

Passare adesso alla Nona è quasi un obbligo. Pappano ha anche ribadito la validità di un accostamento fra queste pagine di Verdi e Bruckner. Ad esempio ha notato certe analogie fra i Quattro Pezzi Sacri del primo e la Nona Sinfonia del secondo. Entrambe le composizioni, ad esempio, sono scritte nella tonalità di do maggiore. E per Pappano, questo è come dire che «siamo in Paradiso». Nel 2013, quindi, Pappano inciderà un cd coi Quattro pezzi sacri verdiani, mentre sempre ieri ha presentato il suo ultimo cd per la Emi, sempre con l’Orchestra di Santa Cecilia e Mario Brunello quale solista del Concerto per violoncello di Dvorak, affiancato dalla Sinfonia Nuovo mondo.

Virgilio Celletti / avvenire.it