I simboli di Avvento: la quarta settimana

La corona di Avvento nella quarta settimana

Ci siamo: il viaggio sta per giungere alla meta. Natale è vicinissimo. Sulla corona di Avvento, da oggi brillano quattro candele. Le prime tre sono ormai un po’ consumate e su tutte svetta la nuova, la quarta. La consunzione delle candele crea una sequenza che ci rende visibile il senso del tempo che passa. Quest’ultima, viola, è dedicata agli angeli e all’amore.
Settimana dopo settimana le candele sono state accese: la prima è quella dei pastori e della speranza, la seconda, quella di Betlemme e della chiamata universale alla salvezza, la terza, quella dei pastori e della gioia e infine, la quarta, questa, degli angeli e dell’amore.

La candela dell’amore
La quarta candela è di nuovo viola, secondo la liturgia del periodo. Come se all’euforia della gioia per la lieta novella, che ha contraddistinto la terza settimana di Avvento, di colore rosa, fosse necessario attendere il Natale in un più profondo raccoglimento. Come il momento sospeso prima dell’esplosione della luce, come nei bambini, quando trattengono il respiro prima della sorpresa che li renderà felici. Il conto alla rovescia si fa più serrato. La preghiera e la meditazione propri dell’Avvento hanno bisogno ora di essere esercitati con maggiore intensità per ben preparaci alla memoria della venuta di Cristo tra gli uomini. Accendiamo la candela e pensiamo, anzi crediamo, che non si tratta solo di una celebrazione ma di un vero rinnovamento. Il Bambino sta per nascere ancora e di nuovo per non abbandonarci mai, né oggi né mai.

Dalla terra al cielo
Nel primo giorno della IV settimana, l’antifona eleva parole di poesia e di musica:

Stillate, cieli, dall’alto,
le nubi facciano piovere il Giusto;
si apra la terra e germogli il Salvatore. (Cf. Is 45,8)

La prima settimana parlava del passato che guarda al futuro come presente eternità. La seconda settimana di storia, attraverso la menzione di un luogo fisico sulla terra, Betlemme. La terza ha parlato ancora della terra e degli uomini attraverso i più umili e i poveri, i pastori. La quarta settimana sposta, invece, lo sguardo verso il cielo, dal quale scende una pioggia di luce che cade sulla terra e si apre per accogliere il seme che sta per germogliare.

Gli angeli
Gli angeli volano nello spazio del cielo e annunciano la Novella. Nessun presepe sarebbe completo senza angeli. Nessuno dimentica di porre la statuina dell’angelo con il cartiglio appuntato sul culmine della capanna, vicino alla cometa di cartone contro il cielo di carta e stelle. Gli angeli sono i “postini” del Signore e ci avvertono, ci parlano, spesso anche proprio attraverso i sogni come hanno fatto con Giuseppe, i pastori, i Magi…
In questi giorni lasciamo liberi i sogni anche noi. Come per il pastore Benino del presepe napoletano che abbiamo incontrato la scorsa settimana, il sogno permette a noi sulla terra di vedere davvero, di capire, di credere. Il sogno è un dono che ci permette di scollarci dal nostro essere terreno per farci entrare in una dimensione priva di materia, difficile da vivere altrimenti, così come siamo, calati nel quotidiano terreno, a volte pesante, al punto di diventare zavorra della nostra esistenza.

La presenza di Maria
In queste settimane una presenza ha pervaso il tempo: la Madre, prima apostola. Attraverso le ricorrenze, come quella dell’8 dicembre, giorno dell’Immacolata, e oggi nella liturgia che ricorda l’incontro di Maria con Elisabetta (Lc 1,39-45), la Vergine ci accompagna giorno dopo giorno. Sarà lei a sollevare il panno per mostrarci il Bambino che dorme nella mangiatoia.
La parabola ebraica delle quattro candele
Il cardinale Gianfranco Ravasi riporta una parabola ebraica a proposito della festa della Candelora, ma che bene si adatta anche ai simboli dell’Avvento ripercorsi fino ad ora attraverso la corona e le quattro candele.

In una stanza silenziosa c’erano quattro candele accese. La prima si lamentava: «Io sono la pace. Ma gli uomini preferiscono la guerra: non mi resta che lasciarmi spegnere». E così accadde. La seconda disse: «Io sono la fede. Ma gli uomini preferiscono le favole: non mi resta che lasciarmi spegnere». E così accadde. La terza candela confessò: «Io sono l’amore. Ma gli uomini sono cattivi e incapaci di amare: non mi resta che lasciarmi spegnere». All’improvviso nella stanza comparve un bambino che, piangendo, disse: «Ho paura del buio». Allora la quarta candela disse: «Non piangere. Io resterò accesa e ti permetterò di riaccendere con la mia luce le altre candele: io sono la speranza». In questo racconto al centro c’è un bambino, come il neonato Gesù del testo evangelico (Lc 2, 22-40): è lui a far sfavillare nuovamente le candele spente. Sì, perché sulla storia le tenebre si allargano spegnendo le luci della pace, dono sempre sospirato, della fede che allarga gli orizzonti e dell’amore che riscalda la vita. Rimane l’ultimo filo di luce, quello della candela della speranza. Ad essa si rivolge il bambino per riportare in vita la pace, la fede e l’amore (Breviario laico. 366 riflessioni giorno per giorno, Mondadori 2006).

La successione dei simboli legati alle candele di Avvento segue nella terza e nella quarta un ordine inverso rispetto a quello di questa parabola. Nella corona di Avvento è l’amore a chiudere il cerchio e a brillare per ultima, perché realizza la speranza. Il racconto ebraico parte da un punto di vista umano, che ha bisogno della speranza per sopravvivere al buio, mentre il Natale è certezza della divinità che viene tra noi e ci salva. Con il Natale è l’amore a regnare su tutto, a travolgere ogni dubbio e ogni incertezza.

I simboli d’Avvento. III Settimana 12 Dicembre 2021

Terza domenica di Avvento

In questa terza domenica di Avvento,  siamo giunti a metà del cammino. L’antifona di ingresso si apre con queste parole:

Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto:
rallegratevi. Il Signore è vicino
! (Cf. Fil 4,4.5)

La candela rosa

In questo periodo l’attesa è caratterizzata da un crescendo di fiducia e di speranza e, riprendendo la forma di alcuni tipici calendari di Avvento, è come una scala che ci avvicina sempre più al cielo. La terza candela è detta infatti della gioia. In questa settimana il rosa è il colore sia dei paramenti liturgici sia della terza delle quattro candele d’Avvento che via via accendiamo e si fanno strada con la loro luce nel buio dell’inverno, brillano sugli altari delle chiese, nelle comunità o nelle dimore private.

Il significato del colore rosaceo

Il rosa, o più propriamente il rosaceo, è un colore liturgico facoltativo del rito romano nella IV settimana di Quaresima (domenica laetare) e della terza di Avvento (domenica gaudete), a indicare che il periodo di penitenza e digiuno sta per finire e quindi c’è motivo di esultanza. Il rosaceo è un colore tenue che deriva dalla mescolanza del bianco con una punta di viola. Riunisce in sé il colore della penitenza e quello della festa. L’Avvento in origine durava quaranta giorni finché nel IX secolo fu abbreviato alle quattro settimane odierne, ed era molto simile, quindi, al periodo precedente la Pasqua, quando allo stesso modo  ci si preparava facendo penitenza e digiuno. I diversi colori liturgici, che contrassegnano ciascun periodo, nella forma adottata nei nostri tempi risalgono al 1962 con il Concilio Vaticano II e con Papa Giovanni XXIII. Il rosa, introdotto come nuovo colore al posto del viola che a sua volta aveva sostituito il nero, risale invece al Messale del 1570 di Pio V.

I pastori

La terza candela è detta anche dei pastori. Ogni tappa del cammino di avvento inquadra un elemento chiave della nascita di Gesù. Dopo i profeti che hanno preannunciato la sua venuta e Betlemme che l’ha localizzata, ora parla dei primi testimoni. Furono loro, infatti, a ricevere dall’angelo la lieta novella:

“C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore ( Luca, 2, 8-11).”

Il sogno del pastorello Benino

Il presepe napoletano è caratterizzato da molti personaggi che affollano lo spazio ricreando i vicoli e le piazzette della città partenopea, il brulicare allegro della vita quotidiana. Non sono dei personaggi a caso, esiste invece una tradizione che assegna a ogni figura un ruolo e un simbolo ben precisi, addirittura in qualche caso ne conosciamo i nomi. È il caso del pastorello Benino che si trova il più distante possibile dalla capanna, in un luogo appartato, ma che scorrendo lo sguardo ci appare per primo, come se fosse all’inizio del percorso presepiale. Tutto questo come a voler creare una distanza spazio-temporale con la Nascita. Il pastorello è svegliato di soprassalto dal padre  interrompendo un sogno meraviglioso che vorrebbe continuare a fare e non sa ancora che quel sogno è realtà ed è proprio lì, poco distante, nello stesso presepe. Nella Cantata dei Pastori di Andrea Perrucci (1698), Benino racconta:

“Mi sembrava che si aprisse il cielo e che, da lassù, piovesse un misto di argento e d’oro. Vedevo la terra diventare oro e i prati smeraldi; i fiori erano pietre preziose, le gocce di brina erano perle e le colline diamanti; le acque dei ruscelli erano d’argento e dalle viti pendevano grappoli di topazi e di rubini; gli alberi producevano gemme… il mondo era tutto un tesoro! E mentre, estasiato, ammiravo tante ricchezze, volgendo lo sguardo ad est, verso la buia grotta di Betlemme, mi pareva che sorgesse di là una luce immensa, grande come cento soli! E, mentre sorgeva quella luce, sento una voce… Vieni a me, figlio mio, ché io sono colui il quale, scendendo in terra, ricopre il cielo e la terra d’oro e di pietre preziose! Così, abituandomi a quello splendore, in mezzo vi vedevo un bellissimo Bambino sul cui viso era raffigurato il Paradiso!”

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