Libro Karl Rahner Tu sei il silenzio

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In breve
Postfazione di Antonio Spadaro. «Con te voglio parlare»: un grande teologo si rivolge a Dio e con lui stabilisce un colloquio. Sono parole di fede accesa: non parole che denominano e distinguono, che descrivono e definiscono, che fissano e ordinano, come al solito. Le parole qui non sono un righello che squadra, ma un luogo di evocazione e di risonanza del mistero di Dio. «Siamo proprio davanti a una piccola teologia poetica che sa stare in ginocchio» (dalla Postfazione di Antonio Spadaro).

Descrizione
«Con te voglio parlare»: un grande teologo si rivolge a Dio e stabilisce un colloquio con lui. Sicché ne nasce un testo vibrante poesia e di alta spiritualità. Queste dense pagine attestano innanzitutto una continua ricerca di Dio. Tale ricerca, che è risposta all’appello di Dio stesso, viene affrontata con grande onestà, con totale impegno esistenziale. E in tal modo vi confluiscono scienza teologica e conoscenza dell’uomo, dalla sua sofferenza, dei suoi limiti, della sua grandezza.
Inoltre questa «piccola teologia poetica che sa stare in ginocchio» (A. Spadaro), pubblicata per la prima volta nel 1938 – negli anni in cui Rahner elaborava la sua prospettiva filosofica –, permette di gettare uno sguardo «nella profondità delle tendenze motrici dello spirito rahneriano e nella vigorosa capacità d’azione del suo pensiero teologico» (K. Lehmann).
Questo colloquio rahneriano con Dio è ora corredato da una Postfazione, dotta e ispirata, a firma di Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica.

PENSARE LA FEDE Contro… i calendari di Avvento. L’Avvento non è il conto alla rovescia che porta al Natale, né un tempo per consumare ogni giorno una cosa diversa, ma è uno spazio di apertura, di nuovi inizi, di stupore, di ricerca del volto di Dio

Ce lo ricordiamo benissimo: lo scorso anno sono spariti i film al cinema, e di conseguenza gli spettatori. Anche la musica è sparita, perché passato il momento delle canzoni affacciati ai balconi poi abbiamo preferito abbassare il volume. Nel 2020 sono spariti i menu, perché siamo spariti noi invitati a pranzi e cenoni (accontentandoci di tavolate più ridotte e minimaliste). Lo scorso Natale eravamo alle prese con altri problemi. E quindi altre ricerche. Dpcm, zona rossa, arancione, poi gialla. Spostamenti, autocertificazione, restrizioni, lockdown. Covid-19.

E oggi? Quanta ansia, quanta fretta, quanto bisogno di tornare alla ‘normalità’. Quanto affanno nel cercare di costringere ogni cosa dentro le nostre previsioni e aspettative (legittime, ma così fragili).

Ecco perché non capisco i “Calendari di Avvento” pieni di gadget, che fanno corrispondere l’Avvento ai primi 24 giorni di dicembre… e non penso (con insano integralismo) che faccia bene alla salute interiore avere ogni santo giorno (dal 1° al 24 dicembre) un cioccolatino da mangiare, o una grappa da provare, o un aperitivo diverso da gustare, o uno sconto da utilizzare, o non-so-bene-cosa da consumare. L’Avvento serve per fare spazio, per aprire l’animo, non per imitare Pacman (videogioco preistorico) che mangia tutto quello che incontra.
L’Avvento non è una parte del calendario civile, perché non riguarda il nostro tempo e le nostre misure. L’Avvento non è il conto alla rovescia per il Natale, anche se la memoria grata di quella (quella!) nascita ci riempie di dolcezza e ci fa stupire per ogni vita che viene ostinatamente al mondo. L’Avvento non nasce da noi, ma è provocazione: è un invito, che la liturgia – noiosa, spesso, ma nel suo intimo così sapiente – ci aiuta a riconoscere e coltivare.

“Chi cercate?” – dice Gesù, voltandosi verso i discepoli del Battista che erano stati ‘spediti’ dietro di lui. Per noi oggi vale la stessa domanda: non è la parola ‘Natale’ che salva, anzi potrebbe essere fuorviante, sovraccarica com’è di significati aggiunti – come un dolce troppo farcito e stucchevole – o consunta e privata della sua forza originaria. Chi è che cerchiamo?

L’annuncio che il tempo di Avvento cerca di far risuonare è che la vita non ce la diamo noi, che non siamo padroni del nostro inizio, ma che ogni inizio, ogni fecondità, ogni benevolenza viene da un Volto che, in Gesù, trova il suo ritratto più fedele, imprevisto e per certi versi inverosimile. Ecco perché l’Avvento cristiano è un bellissimo tempo, fuori da ogni calcolo e oltre ogni pretesa: un tempo che ci libera, che ci risana, che ci aiuta a cambiare orizzonte. E ci apre allo stupore e al dono.

vinonuovo.it