Quel culto dall’inconfondibile respiro popolare: santi Pietro e Paolo

In corrispondenza del III miglio della via Appia Antica si estende il complesso di San Sebastiano, di cui emerge ancora la basilica paleocristiana, la cui facciata mostra i rifacimenti seicenteschi, commissionati all’architetto Flaminio Ponzio dal cardinale Scipione Borghese. Ma la storia del sito, alla luce degli scavi che si sono protratti, quasi ininterrottamente, dalla fine del 1800 al 1960, propone un’articolazione che ci induce a risalire al i secolo a.C., quando lungo questo tratto della via Appia, proprio dove ora sorge la grande basilica, era un avvallamento interessato da cave di pozzolana. Il luogo era definito ad catacumbas, forse a causa dell’anfratto, che così veniva denominato in lingua greca. È certo che tale denominazione, nel corso dei secoli, servì a definire tutti i cimiteri paleocristiani.

Già in questo periodo così antico vennero sistemate nelle pareti delle cave e lungo i pendii dell’avvallamento alcune sepolture isolate e un complesso di colombari, mentre, negli anni centrali del ii secolo, l’area subì una totale ristrutturazione, nel senso che vennero abbattute le volte della cava e si procedette ad un potente interro di tre metri, che diede luogo alla cosiddetta “piazzola”, dove furono sistemate le sepolture lungo le pareti e dove vennero costruiti tre mausolei estremamente decorati con affreschi e stucchi. Durante questa fase, appaiono i primi segni del cristianesimo con sepolture sparse, iscrizioni con simboli caratteristici, come l’ancora e il pesce, e alcune decorazioni pittoriche, che denunciano una sicura ispirazione cristiana.

A occidente della piazzola, a una quota superiore, sono state rinvenute due abitazioni, delle quali una di grandi dimensioni e di certo prestigio, con gli ambienti di rappresentanza organizzati attorno a un cortile provvisto di pozzo; le pareti sono interessate da decorazioni pittoriche con temi architettonici e una suggestiva scena portuale, mentre i pavimenti sono caratterizzati da sistemazione a mosaico o in opus sectile. L’altra villa, meno pretenziosa ma anch’essa completamente affrescata, è stata intesa, in passato, come casa del custode del sepolcreto, ma l’ipotesi non sembra attendibile anche per la cronologia piuttosto antica, che deve essere riferita al tempo di Settimio Severo (199-211).

Anche il sepolcreto della piazzola, intorno alla metà del III secolo, subì un importante interramento di almeno sei metri su cui venne costruito un singolare apparato strutturale, caratterizzato da un portico fornito di un bancone in muratura, di una fontanella ed un cortile più basso, con una scala che conduceva a un pozzo. Gli studiosi del secolo scorso definirono questo organismo complesso triclia per richiamare l’idea di un ambiente semiaperto, per metà cortile e per metà portico.

La struttura doveva servire per i refrigeria, i rituali pic-nic funerari che si svolgevano in onore di Pietro e Paolo, nel giorno anniversario del loro martirio, il 29 giugno, talché il complesso assunse anche la suggestiva definizione di Memoria Apostolorum, proprio in relazione a questo culto funerario, di tipologia estremamente popolare, che si istituzionalizzò presumibilmente nel 258, stando alla data dei consoli Tusco e Basso che appare nella Depositio Martyrum, il prezioso elenco agiografico che confluì nel cronografo del 354, ma anche in altri antichi e autorevoli documenti come il Catalogo Liberiano e il Martirologio Geronimiano.

Stando alle testimonianze letterarie e ai rinvenimenti archeologici, quindi, il 29 giugno, sin dalla metà del III secolo ma forse anche precedentemente, si celebrava il culto congiunto dei principi degli Apostoli, in una sede unica e diversa dai siti ove erano stati sepolti i loro corpi, ossia la necropoli ostiense per san Paolo e l’ager vaticanus per san Pietro. è difficile stabilire i motivi profondi della genesi di questo culto così particolare, ma non è escluso che qui si venerassero proprio i corpi dei due apostoli, o parti di essi, sistemati nel complesso temporaneamente, in seguito al grave momento persecutorio inaugurato dall’imperatore Valeriano che, come è noto, portò all’eliminazione fisica della più alta gerarchia della Chiesa, a cominciare dal Pontefice Sisto ii e dai suoi diaconi, trucidati nel complesso di San Callisto il 6 agosto del 258, e continuando con il suddiacono Lorenzo ucciso il 10 agosto e il vescovo cartaginese Cipriano, martirizzato nel settembre dello stesso anno.

Al di là dei diversi significati, che possono essere attribuiti al culto, è innegabile il respiro tutto popolare che esso assume quando leggiamo lungo le pareti della triclia le centinaia di invocazioni graffite dei pellegrini, giunti alla Memoria Apostolorum da ogni dove.

E il culto proseguì sino a quando anche la triclia venne obliterata, con un ulteriore interramento, al tempo dei costantinidi, che fecero costruire, in corrispondenza della Memoria, una basilica circiforme, ovvero uno di quei particolari monumenti che oscillano, in quanto a funzione, tra l’edificio di culto, il contenitore funerario e la sede di una venerazione martiriale.

La basilica circiforme di San Sebastiano, nella gran parte ancora conservata e riutilizzata, nella sua navata centrale, dall’attuale chiesa, presenta tutte le caratteristiche dell’edificio costituito da una grande navata attorno alla quale si avvolgono le navette laterali, secondo una tipologia ben attestata nel suburbio romano, proprio nel periodo e per la committenza dei costantinidi. Si tratta di “basiliche-cimitero”, una sorta di catacombe proiettate nel sopraterra, con tombe multiple dislocate su tutto il pavimento, con arcosoli lungo le pareti e con mausolei addossati alla basilica stessa.

Il culto per i principi degli Apostoli durò per tutto il iv secolo, alla fine del quale fu affiancato da quello praticato nei confronti di san Sebastiano, il martire milanese, ricordato anche da sant’Ambrogio, attorno alla tomba del quale i presbiteri Ursus e Proclinus, agli inizi del v secolo, crearono un complesso sistema di transenne.

Ai principi degli Apostoli dedicò uno dei suoi epigrammi Papa Damaso (366-384). Il testo ci è giunto attraverso le sillogi medievali e può essere ricordato nella traduzione di padre Antonio Ferrua: «Tu che vai cercando i nomi di Pietro e di Paolo, devi sapere che i santi dimorarono qui in passato. Questi apostoli ce li mandò l’Oriente, volentieri lo riconosciamo; ma in virtù del martirio. Seguendo Cristo, su per le stelle, giunsero nelle regioni celesti e nel regno dei giusti. Roma ebbe il privilegio di rivendicarli suoi cittadini. Questo voleva dire Damaso in vostra lode, o nuove stelle».

Questi versi, ma anche lo splendido affresco rinvenuto nel cimitero dell’ex Vigna Chiaraviglio, che mostra Pietro e Paolo In un forte e suggestivo abbraccio, ci parlano di un rilancio devozionale nei confronti dei principi degli Apostoli che, attraversando il momento bizantino, valicherà le soglie del Medioevo.

di Fabrizio Bisconti / Osservatore Romano