A MATTIA, CHE AIUTA IL PAPÀ MALATO DI ALZHEIMER, IL PREMIO DELLA BONTÀ

Il premio è attribuito ogni anno dall’Arciconfraternita di Sant’Antonio di Padova. Riproponiamo l’intervista a Mattia Piccoli , 12 anni, e alla mamma, che avevamo fatto quando era stato nominato Alfiere della Repubblica

Famiglia Cristiana

Il premio bontà dell’Arciconfraternita di Sant’Antonio da Padova, attribuito ogni anno a persone che si sono distinte per azioni di solidarierà e generosità  è andato quest’anno alla Fondazione Mama Sofia
in memoria dell’Ambasciatore italiano Luca Attanasio morto in Congo un attentato il 22 febbraio 2021;  alla memoria del carabiniere della sua scorta Vittorio Iacovacci,  anch’esso morto nell’attentato;  e  a un bambino, Mattio Piccoli, di 12 anni che da quando il padre si è ammalato di Alzheimer precoce lo ha assistito amorevolmente dimostrando una straordinaria maturità e senso di responsabilità. Avevamo intervistato lui e la mamma quando Sergio Mattarella gli aveva conferito il titolo di Alfiere della Repubblica
Aveva solo pochi anni e il fratellino Andrea era appena nato quando il padre Paolo ha manifestato i primi sintomi di un Alzheimer precoce. Così si è ritrovato a dover essere lui a prendersi cura del genitore. Racconta la mamma Michela Morutto: «Viviamo a Concordia Sagittario, una cittadina nella città metropolitana di Venezia. Anche il padre di mio marito era stato colpito da demenza precoce a 48 anni. Così quando sono cominciati i primi sintomi ed era appena nato il nostro secondo bambino, mio marito minimizzava, forse proprio per esorcizzare la paura. Ma io capivo che c’era qualcosa che non andava: dimenticava la strada di casa, faceva continue stranezze. Nemmeno i neurologi mi credevano, gli avevano diagnosticato una forma di depressione, non era pensabile, per loro l’Alzheimer a quell’età è un fenomeno rarissimo. Poi è arrivata la diagnosi, ma è stato escluso da un protocollo di cura sperimentale perché troppo giovane». Mattia ricorda come si adoperava per il papà, anche se aveva solo 10 anni: «Lo aiutavo a vestirsi, lo aiutavo a distrarsi con piccole attività come piegare i calzini, lo accompagnavo a fare una passeggiata. Lui mi riconosceva e mi ringraziava sempre dicendomi che senza di me non sarebbe stato nulla. Io, di lui, prima che si ammalasse avevo un solo ricordo: noi insieme sullo scooter che andavamo a prendere il gelato. Poi lo scooter non ha potuto più usarlo. Ma anche se non stava bene mi sentivo sempre protetto da lui». Poi a causa del lockdown sono venute a mancare tutte quelle attività di socializzazione che lo stimolavano, come per esempio andare a cantare in chiesa, e Paolo è sprofondato sempre di più nella sua assenza, diventando anche aggressivo con i bambini. «Ho dovuto pensare alla sicurezza dei miei figli», dice Michela, «e l’ho fatto ricoverare in una struttura dove, a causa della zona rossa, non possiamo andare in visita per vederlo, nemmeno attraverso un vetro. Mi batto da anni per i diritti dei malati di Alzheimer e per le loro famiglie. Le nostre condizioni economiche non sono buone, per fortuna vivo in una casa di proprietà che mi hanno regalato i miei genitori. Mio marito dopo essere stato demansionato perché non riusciva più a svolgere il lavoro, è stato licenziato con una buonuscita e percepisce una pensione provvisoria. Tutto è sulle mie spalle. I costi della Rsa sono ingenti. Dovrei curarmi per dei problemi ai piedi, ho un’invalidità del 92%, c’è tanta sofferenza in famiglia. Per fare opera di sensibilizzazione Serenella Antoniazzi ha scritto un libro sulla nostra storia, Un tempo piccolo (Gemma edizioni), in cui c’è anche una toccante poesia di Mattia». Eccone alcuni versi: “Non sono più solo tuo figlio/ ma sono diventato il tuo appiglio/il tuo porto sicuro/nell’oscuro tuo futuro”. «Ora ho scritto un’altra poesia», racconta Mattia, «e l’ho mandata a un concorso. Ho preso gusto a scrivere. Anche se papà non vive più con noi continuo a dare una mano alla mamma, apparecchio, taglio l’erba del giardino. Papà mi manca e non vedo l’ora di poterlo andare a trovare». «Naturalmente sono felice per l’onorificenza a Mattia», conclude la mamma, «anche se avrei preferito che fosse stato premiato per qualcosa di meno tragico».

Il santo di oggi 13 Giugno: Sant’Antonio di Padova

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Lisbona, Portogallo, c. 1195 – Padova, 13 giugno 1231

Patronato: Affamati, oggetti smarriti, Poveri

Etimologia: Antonio = nato prima, o che fa fronte ai suoi avversari, dal greco

Emblema: Giglio, Pesce

Martirologio Romano: Memoria di sant’Antonio, sacerdote e dottore della Chiesa, che, nato in Portogallo, già canonico regolare, entrò nell’Ordine dei Minori da poco fondato, per attendere alla diffusione della fede tra le popolazioni dell’Africa, ma esercitò con molto frutto il ministero della predicazione in Italia e in Francia, attirando molti alla vera dottrina; scrisse sermoni imbevuti di dottrina e di finezza di stile e su mandato di san Francesco insegnò la teologia ai suoi confratelli, finché a Padova fece ritorno al Signore.

Fernando di Buglione nasce a Lisbona da nobile famiglia portoghese discendente dal crociato Goffredo di Buglione.
A quindici anni è novizio nel monastero di San Vincenzo aLisbona, poi si trasferisce nel monastero di Santa Croce di Coimbra,il maggior centro culturale del Portogallo appartenente all’Ordine dei Canonici regolari di Sant’Agostino, dove studia scienze e teologia con ottimi maestri, preparandosi all’ordinazione sacerdotale che riceverà nel 1219, quando ha ventiquattro anni. Quando sembrava dover percorrere la carriera del teologo e del filosofo, decide di lasciare l’ordine dei Canonici Regolari di Sant’Agostino. Fernando, infatti, non sopporta i maneggi politici tra i canonici regolari agostiniani e re Alfonso II, in cuor suo anela ad una vita religiosamente più severa.Il suo desiderio si realizza allorché, nel 1220, giungono a Coimbra i corpi di cinque frati francescani decapitati in Marocco, dove si erano recati a predicare per ordine di Francesco d’Assisi.
Quando i frati del convento di monte Olivares arrivano per accogliere le spoglie dei martiri, Fernando confida loro la sua aspirazione di vivere nello spirito del Vangelo. Ottenuto il permesso dal provinciale francescano di Spagna e dal priore agostiniano, Fernando entra nel romitorio dei Minori e fa subito professione religiosa, mutando il nome in Antonio in onore dell’abate, eremita egiziano. Anelando al martirio, subito chiede ed ottiene di partire missionario in Marocco. È verso la fine del 1220 che s’imbarca su un veliero diretto in Africa, ma durante il viaggio è colpito da febbre malarica e costretto a letto. La malattia si protrae e in primavera i compagni lo convincono a rientrare in patria per curarsi.
Secondo altre versioni, Antonio non si fermò mai in Marocco: ammalatosi appena partito da Lisbona, la nave fu spinta da una tempesta direttamente a Messina, in Sicilia. Curato dai francescani della città, in due mesi guarisce. A Pentecoste è invitato al Capitolo generale di Assisi, arriva con altri francescani a Santa Maria degli Angeli dove ha modo di ascoltare Francesco, ma non di conoscerlo personalmente. Il ministro provinciale dell’ordine per l’Italia settentrionale gli propone di trasferirsi a Montepaolo, presso Forlì, dove serve un sacerdote che dica la messa per i sei frati residenti nell’eremo composto da una chiesolina, qualche cella e un orto. Per circa un anno e mezzo vive in contemplazione e penitenza, svolgendo per desiderio personalele mansioni più umili, finché deve scendere con i confratelli in città, per assistere nella chiesa di San Mercuriale all’ordinazione di nuovi sacerdoti dell’ordine e dove predica alla presenza di una vasta platea composta anche dai notabili. Ad Antonio è assegnato il ruolo di predicatore e insegnante dallo stesso Francesco, che gli scrive una lettera raccomandandogli, però, di non perdere lo spirito della santa orazione e della devozione. Comincia a predicare nella Romagna, prosegue nell’Italia settentrionale, usa la sua parola per combattere l’eresia (è chiamato anche il martello degli eretici), catara in Italia e albigese in Francia, dove arriverà nel 1225. Tra il 1223 e quest’ultima data pone le basi della scuolateologica francescana, insegnando nel convento bolognese di Santa Maria della Pugliola. Quando è in Francia, tra il 1225 e il 1227, assume un incarico di governo come custode di Limoges. Mentre si trova in visita ad Arles, si racconta gli sia apparso Francesco che aveva appena ricevuto le stigmate. Come custode partecipa nel 1227 al Capitolo generale di Assisi dove il nuovo ministro dell’Ordine, Francesco nel frattempo è morto, è Giovanni Parenti, quel provinciale di Spagna che lo accolse anni prima fra i Minori e che lo nomina provinciale dell’Italia settentrionale. Antonio apre nuove case, visita i conventi per conoscere personalmente tutti i frati, controlla le Clarisse e il Terz’ordine, va a Firenze, finché fissa la residenza a Padova e in due mesi scrive i Sermoni domenicali. A Padova ottiene la riforma del Codice statutario repubblicano grazie alla quale un debitore insolvente ma senza colpa, dopo averceduto tutti i beni non può essere anche incarcerato. Non solo, tiene testa ad Ezzelino da Romano, che era soprannominato il Feroce e che in un solo giorno fece massacrare undicimila padovani che gli erano ostili, perché liberi i capi guelfi incarcerati. Intanto scrive i Sermoni per le feste dei Santi, i suoi temi preferiti sono i precetti della fede, della morale e della virtù, l’amore di Dio e la pietà verso i poveri, la preghiera e l’umiltà, la mortificazione e si scaglia contro l’orgoglio e la lussuria, l’avarizia e l’usura di cui è acerrimo nemico.
E’ mariologo, convinto assertore dell’assunzione della Vergine, su richiesta di papa Gregorio IX nel 1228 tiene le prediche della settimana di Quaresima e da questo papa è definito “arca delTestamento”. Si racconta che le prediche furono tenute davanti ad una folla cosmopolita e che ognuno lo sentì parlare nella propria lingua. Per tre anni viaggia senza risparmio, è stanco, soffre d’asma ed è gonfio per l’idropisia, torna a Padova e memorabili sono le sue prediche per la quaresima del 1231. Per riposarsi si ritira a Camposampiero, vicino Padova, dove il conte Tiso, che aveva regalato un eremo ai frati, gli fa allestire una stanzetta tra i rami di un grande albero di noce. Da qui Antonio predica, ma scende anche a confessare e la sera torna alla sua cella arborea. Una notte che si era recato a controllare come stesse Antonio, il conte Tiso è attirato da una grande luce che esce dal suo rifugio e assiste alla visita che Gesù Bambino fa al Santo.
A mezzogiorno del 13 giugno, era un venerdì, Antonio si sente mancare e prega i confratelli di portarlo a Padova, dove vuole morire. Caricato su un carro trainato da buoi, alla periferia della città le sue condizioni si aggravano al punto che si decide di ricoverarlo nel vicino convento dell’Arcella dove muore in serata. Si racconta che mentre stava per spirare ebbe la visione del Signore e che al momento della sua morte, nella città di Padova frotte di bambini presero a correre e a gridare che il Santo era morto.
Nei giorni seguenti la sua morte, si scatenano “guerre intestine” tra il convento dove era morto che voleva conservarne le spoglie e quello di Santa Maria Mater Domini, il suo convento, dove avrebbe voluto morire. Durante la disputa si verificano persino disordini popolari, infine il padre provinciale decide che la salma sia portata a MaterDomini. Non appena il corpo giunge a destinazione iniziano i miracoli, alcuni documentati da testimoni. Anche in vita Antonio aveva operato miracoli quali esorcismi, profezie, guarigioni, compreso il riattaccare una gamba, o un piede, recisa, fece ritrovare il cuore di un avaro in uno scrigno, ad una donna riattaccò i capelli che il marito geloso le aveva strappato, rese innocui cibi avvelenati, predicò ai pesci, costrinse una mula ad inginocchiarsi davanti all’Ostia, fu visto in più luoghi contemporaneamente, da qualcuno anche con Gesù Bambino in braccio. Poiché un marito accusava la moglie di adulterio, fece parlare il neonato “frutto del peccato” secondo l’uomo per testimoniare l’innocenza della donna. I suoi miracoli in vita e dopo la morte hanno ispirato molti artisti fra cui Tiziano e Donatello.
Antonio fu canonizzato l’anno seguente la sua morte dal papa GregorioIX.
La grande Basilica a lui dedicata sorge vicino al convento di Santa Maria Mater Domini.
Trentadue anni dopo la sua morte, durante la traslazione delle sue spoglie, San Bonaventura da Bagnoregio trovò la lingua di Antonio incorrotta, ed è conservata nella cappella del Tesoro presso la basilica della città patavina di cui è patrono.
Nel 1946 Pio XII lo ha proclamato Dottore della Chiesa.


Autore:
Maurizio Valeriani – santiebeati.it

13 Giugno 2012 07:38