Non è accettabile che persone muoiano in mare per fuggire alla tragedia

“Fuocoammare” di Gianfranco Rosi è l’Orso d’Oro del Festival del cinema di Berlino 2016. Non solo di nuovo un italiano in vetta a una delle rassegne più prestigiose quattro anni dopo i Taviani con “Cesare deve morire”, ma un altro primato per Rosi che nel 2013 aveva vinto il Leone d’Oro con “Sacro GRA”, primo documentario a ottenere un premio così prestigioso.

Con “Fuocoammare” Rosi a portato la sua telecamera a Lampedusa: tra le gente che accoglie e tra le gente che arriva. Immagini drammatiche che “hanno raggiunto il cuore della giuria” ha detto Meryl Streep annunciando il premio, nell’aria visto il riscontro avuto sulla stampa internazionale. E un film perfetto per un’Europa e una Germania scossa dai flussi di migranti. Rosi ha voluto con sé sul palco per ritirare l’Orso d’Oro Pietro Bartòlo, il medico dell’isola. “Bartòlo il primo che mi ha convinto a girare questo film” ha commentato in inglese il regista sul palco della premiazione.

“E grazie al festival per il coraggio di aver ancora messo un documentario in concorso tra i lungometraggi. Il mio pensiero va alla persone che non sono mai arrivate a Lampedusa. Voglio dedicare alle persone di Lampedusa, che aprono il loro cuore. Mi sono chiesto perché quest’isola è così generosa. La risposta me l’ha data Bartolo: “Siamo tutti pescatori, e i pescatori accettano tutto ciò che viene dal mare”. Quindi Rosi ha lanciato un appello: “L’Europa discute come gestire l’emergenza costruendo nuovi muri. Ma più dure ancora sono quelle mentali. Abbatiamole. Non è accettabile che persone muoiano in mare per fuggire alla tragedia”.

È morto Rosi, inventò il “cinema d’inchiesta”

Il suo nome è indissolubilmente legato alcinema d’inchiesta, quello che fiorì in Italia negli anni Sessanta. E fu proprio il suo Salvatore Giuliano, realizzato con ostinazione e coraggio superando ostacoli e difficoltà di ogni tipo, a cambiare radicalmente nel nostro paese l’approccio al cinema politico influenzando il lavoro dei più grandi registi dopo di lui. Indiscusso maestro del cinema italiano, Francesco Rosi si è spento questa mattina a Roma all’età di 92 anni.

Nel 2012 La Biennale di Venezia gli ha consegnato il Leone d’Oro alla Carriera e contemporaneamente il regista napoletano si era “confessato” a un suo collega,Giuseppe Tornatore, autore di un bellissimo libro-conversazione dal titolo Io lo chiamo cinematografo. Tutti i segreti e le emozioni della sua grande avventura sono contenuti in quel volume, a cominciare dalla fotografia scattatagli dal padre ispirandosi a Jackie Coogan, il Monello di Chaplin. Nato a Napoli ma trasferitosi a Roma nell’immediato dopoguerra, appassionato di teatro e letteratura, ma affascinato anche dalla settima arte, Rosi capì che il cinema sarebbe diventato il suo mestiere quando Luchino Visconti lo chiamerò sul set come assistente. Il suo primo film è La sfida, del 1958, ma è conSalvatore Giuliano (Orso d’Oro al Festival di Berlino) che Rosi definisce le coordinate del suo cinema, seguito successivamente in altri capolavori come Le mani sulla città (Leone d’Oro al Festival di Venezia), Il caso Mattei (Palma d’Oro al Festival di Cannes) e Lucky Luciano, diventando il caposcuola di un’estetica della realtà che con lui tocca vette mai raggiunte prima.

Attento ai mutamenti della nostra società e all’evoluzione del costume, scrupoloso indagatore dei luoghi oscuri della politica, Rosi ha lavorato con i più importanti intellettuali, giornalisti, artisti e critici del nostro paese comeEnnio Flaiano, Sergio Amidei, Raffaele La Capria, Federico Fellini, Roberto Rossellini. È stato lui a fare di Gian Maria Volonté una star grazie a Il caso Mattei Lucky Luciano. Poi vennero Cadaveri eccellenticon Max Von Sydow Tre fratelli con Michele Placido, Vittorio Mezzogiorno e Philippe Noiret.

Nel 1997 a 75 anni realizza il suo ultimo film, La tregua, con John Turturro, tratto dal romanzo di Primo Levi, un progetto al quale si era dedicato molti anni prima ma che aveva abbandonato dopo il suicidio dello scrittore. Infine il ritorno al teatro, con alcune commedie di Eduardo, e alla sua Napoli, dove tutto era cominciato, non lontano da quel mare che tanto amava.

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