Il dibattito. Comunicare il Vangelo e la Chiesa in Rete: perché è così difficile?

Su Internet bisogna per forza fare i conti con la cultura “orizzontale” che caratterizza oggi tutte le dinamiche sociali e relazionali. Conoscerne le caratteristiche può essere un valido aiuto
Comunicare il Vangelo e la Chiesa in Rete: perché è così difficile?
Avvenire

Chi vuole fare in rete una comunicazione “di contenuti” e non soltanto “di intrattenimento”, si trova a navigare in un mare burrascoso tra Scilla e Cariddi: nel sovraccarico informativo della rete si rischia di essere sommersi, di non riuscire ad ottenere visibilità, ma se si cerca la visibilità con le tecniche e il linguaggio propri della rete, si rischia di rendere la comunicazione poco significativa, omologata alla cultura della rete. Questi temi sono stati tra gli oggetti di una riflessione attenta da parte dell’Ufficio comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana, della Fisc e di WeCa, del Servizio informatico della Cei e di tanti Uffici diocesani, che si sono incontrati in due diverse iniziative di convegno a ottobre e a novembre.

Se l’analisi della situazione è chiara e condivisa, occorre adesso tentare di avviare qualche sperimentazione concreta, che possa diventare indicazione praticabile da tutti. Le modalità di funzionamento della Rete favoriscono una cultura “orizzontale”, in cui ogni opinione ha diritto di cittadinanza con un pari valore di autorevolezza e di verità.

È un effetto del venire meno dei riferimenti oggettivi, dell’affievolirsi del pensiero critico e del discernimento culturale, ma è anche il risultato di caratteristiche specifiche della Rete: l’intercambiabilità di ruoli tra chi produce contenuti e chi li riceve, la progressiva disintermediazione del sapere per cui non ci sono più figure riconosciute con il ruolo di trasmissione delle conoscenze, che viene invece demandato alla rete, ai motori di ricerca, ai social.

La “cultura orizzontale”, tipica del nostro tempo, privilegia l’azione rispetto al pensiero, la decisione basata su reazioni immediate, sul pensiero “veloce”, emotivo, rispetto a quella frutto di riflessione e di razionalità, di pensiero “lento”.

Apparentemente la cultura orizzontale sembra favorire la partecipazione e la condivisione, ma tende piuttosto all’appiattimento, all’omologazione, all’espulsione delle opinioni che si discostano dal pensiero prevalente, indipendentemente dal valore oggettivo che possono avere.

E la Rete, che facilita l’accesso veloce a una grande quantità di informazioni, induce a un certo impoverimento della capacità di cogliere i significati e i collegamenti di senso, con la progressiva incapacità a comprendere e gestire la complessità dei concetti e degli avvenimenti.

La “cultura orizzontale” rischia sempre più diffusamente di trasformarsi in “cultura dell’ignoranza”, caratterizzata dal “sapere tutto e non capire niente”, dal rifiutare ogni parere autorevole per affermare solo le proprie opinioni, confrontandosi con gli altri solo per riceverne conferma. La Rete, ambiente di vita e non più soltanto strumento di comunicazione, diventa costantemente “mediatore culturale”, si interpone tra noi e il nostro stesso pensiero, cambiando le nostre capacità cognitive e le nostre attitudini di apprendimento.

Se a ciò si aggiunge che la Rete è stata anche, in questi ultimi due anni soprattutto, mediatrice di relazioni tra le persone, possiamo intuire quanto l’ambiente di rete sia oggi un potente “filtro” che influenza in profondità la nostra vita. Se nell’era della comunicazione tradizionale, definita da “il mezzo è il messaggio”, bastava apprenderne le tecniche e i linguaggi, nella Rete che “deforma il messaggio” e “inventa l’ambiente” di comunicazione, occorre la capacità di comprendere il contesto e decodificare i messaggi.

Riunione online di 190 case. Monache di clausura ma collegate in Rete

In Occasione della Giornata Pro orantibus un incontro online ha riunito i monasteri italiani di clausura
Un momento di preghiera in musica all'interno di un monastero di clausura

Un momento di preghiera in musica all’interno di un monastero di clausura

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Essere pietre vive nell’edificazione della Chiesa, camminare insieme, mettersi in ascolto dello Spirito Santo per essere profezia della sinodalità. Questo l’itinerario che la vita contemplativa è chiamata a seguire oggi, un percorso che si alimenta attraverso una formazione umana e carismatica, che si nutre in primo luogo della testimonianza personale, della crescita in una vita veramente evangelica; un cammino in cui il servizio dell’autorità consiste nel far crescere l’altro e la sinodalità è uno stile comunitario di vita.

È quanto ha sottolineato monsignor José Rodríguez Carballo, arcivescovo segretario del Dicastero per la vita consacrata nel corso di un incontro online, organizzato dal Segretariato assistenza monache e dal suddetto Dicastero in occasione della Giornata Pro Orantibus, cui hanno partecipato 190 monasteri.

L’accento è posto sulla sinodalità, sull’impegno ad ascoltarsi reciprocamente, a lasciarsi interrogare dalla parola dell’altro e dell’altra condividendone gioie e preoccupazioni.

La vita contemplativa, infatti, è chiamata ad un ascolto profondo della realtà per essere risposta all’oggi della chiesa e del mondo. «Nella semplicità della vita, la presenza contemplativa raffigura visibilmente la meta verso cui cammina tutta la chiesa. Essa avanza sulle strade dell’umanità e del tempo con lo sguardo fisso al Signore», ha sottolineato sr Giuseppina Fragasso, vicepresidente del Segretariato assistenza monache nel corso del suo intervento. Le comunità contemplative sono poste come città sul monte, come lucerne che illuminano. Stanno sul monte, un luogo abitato da chi non passa oltre, da chi è capace di un amore che sa prendersi cura dell’umanità ferita.

«Tutte le forme di vita consacrata bevono alla fonte della contemplazione. Tra queste forme, la vita totalmente dedicata alla contemplazione è una storia di amore, di un amore appassionato per il Signore e per l’umanità, è dono inestimabile e insindacabile per la chiesa», ha detto citando la costituzione apostolica Vultum Dei Quaerere. Proprio i due recenti documenti della chiesa per la vita contemplativa, Cor orans e Vultum Dei Quaerere, sono stati al centro degli interventi delle presidenti federali.

La loro attuazione sta avviando processi di rinnovamento e aprendo cammini di comunione, incontro e formazione. «Lo Spirito Santo che agisce nella storia, invita a vivere il cambiamento non come un fallimento, ma come un’occasione per mantenere vivo il dono che abbiamo ricevuto», ha commentato madre Maria Amata Laganà, del monastero delle Visitandine di Ortì. I documenti hanno offerto la possibilità di leggere la realtà con uno sguardo di fede che sta aiutando i monasteri a vivere le situazioni di precarietà dando testimonianza di una vera vita contemplativa. «A tempi nuovi non si può rispondere con strumenti vecchi», ha osservato madre Chiara Francesca Lacchini, del Monastero San Romualdo delle clarisse cappuccine. Vultum Dei Quaerereha avviato processi, a partire dalla formazione, evidenziando la necessità di avere consapevolezza di essere popolo di Dio in uscita, chiamato a uscire dai propri schemi, dalla propria mentalità, a lasciarsi formare dallo Spirito Santo, dalla storia. «È un invito a vivere la grande sfida della povertà».

Anche madre Margherita Lanfranchi, priora del Monastero delle Carmelitane Scalze di Venezia, ha sottolineato l’importanza della formazione, attraverso la quale si possono fare scelte comunitarie più responsabili, si è aiutati a leggere i segni dei tempi e a dare risposte adatte. Ha poi espresso gratitudine per i due documenti che stanno fornendo alle contemplative i mezzi per vivere questo periodo di passaggio camminando insieme. «È un cambiamento per la vita – ha detto –. Da sole non abbiamo gli strumenti, insieme possiamo affrontare i problemi, abbiamo la possibilità di condividere, di superare l’isolamento».

 

Dalla parrocchia alla Rete per qualche spicciolo di click

Se Google non mente, sono state tre le fonti digitali che hanno riportato questa notizia. Il quotidiano online ‘PrimaMonza’ ( bit.ly/3bPncwa ), il 31 ottobre, l’ha intitolata «Niente monetine a Gesù ma offerte più adeguate: ‘bacchettati’ i fedeli», prendendo le parti di questi ultimi e ottenendo, sulla propria pagina Facebook, il consenso di una trentina di follower. Il sito del ‘Corriere di Milano’ ( bit.ly/2ZZxMP8 ), il 3 novembre, è rimasto più neutro: «Il bollettino del parroco: ‘Basta spiccioli per le offerte, fedeli siate più generosi’», dando poi, nel pezzo, la parola a don Sergio Steven, responsabile della Comunità pastorale interessata, quella di San Paolo a Giussano (Brianza). ‘Aleteia’, il 4 novembre ( bit.ly/2ZX72yJ ), si è spostato ancor più verso il sacerdote: «Offerte con banconote e non con monetine. Il parroco: sono stato frainteso», mentre sulla pagina Facebook gli utenti gli hanno comunque dato ragione. Il fatto all’origine della notizia è un riquadro di 9 righe alla pagina 3 del bollettino ‘Pietre vive’ della parrocchia, edizione del 17 ottobre ( bit.ly/3mSJYK9 ), mirato a valorizzare l’offertorio durante la Messa. Consultando i precedenti bollettini, si scopre che il riquadro in questione è un appuntamento fisso, intitolato ‘Pillole liturgiche’ e costruito ogni volta con lo stesso schema: introdotti da un «Ricordiamo…», si vuole evidenziare ciò che ciascun momento della Messa significa e che tendiamo, invece, a dimenticare. La ‘pillola’ di cui i tre siti hanno riferito, dunque, non poneva in assoluto il problema dell’entità dell’offerta ma quello del suo significato. Ricercando online il trinomio ‘offerte Chiesa monetine’ si scopre anche che in effetti un paio di sacerdoti, in passato, hanno criticato pubblicamente quella che evidentemente è una cattiva abitudine, con vari siti che non hanno perso l’occasione, anche in quei casi, per romanzarci sopra. Pur di guadagnare qualche spicciolo di click.

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The Chosen: una serie su Gesù che esiste grazie alla Rete

Nelle rassegne stampa l’udienza generale di Francesco dell’11 agosto scorso è stata molto citata anche a motivo di un “fuori programma”: il cellulare acceso passato al Papa per rispondere a una chiamata urgente. Dalle testate specializzate di area anglofona si è appreso invece un altro dettaglio: l’incontro, a fine udienza, tra Francesco e «nientemeno che “Gesù”», come scrive il “National Catholic Reporter” ( bit.ly/3yIJSr0 ), ovvero l’attore Jonathan Rumie, che interpreta il Cristo nella serie tv “The Chosen”. Rumie, che è cattolico, insieme al regista e coautore Dallas Jenkins, che è evangelicale, e al distributore Neal Harmon, che è mormone, era a Roma per promuovere la fiction. Della quale non ho potuto vedere che pochi fotogrammi, ma che, stando ai dati, piace: giunta alla seconda stagione sulle sette previste dichiara già, complessivamente, 300 milioni di visualizzazioni. Anche don Mauro Leonardi, in un recente post sul suo blog “Come Gesù” ( bit.ly/3DHtWJ9 ), e il professor Armando Fumagalli, che ne ha scritto il 31 luglio su “Vita e Pensiero Plus” ( bit.ly/3gWE4nD ), danno un giudizio tutto sommato positivo della serie (per quanto mostrato sinora), pur evidenziandone gli inevitabili limiti. Quello che si può sottolineare anche senza conoscerla è che questa fiction esiste e viene vista grazie alla Rete. È attraverso la Rete che la distributrice, Angel Studio, ha reperito, con un grande e riuscito crowdfunding, i finanziamenti necessari (10 milioni di dollari per stagione), sfuggendo così ai condizionamenti dei grandi distributori internazionali. Ed è attraverso la Rete che la si può vedere: sulla pagina Facebook e sul canale YouTube (con abbondanti materiali di contorno), sul sito ( bit.ly/3zEAKox ) e persino attraverso una app dedicata. Se, come scrive Fumagalli, “ The Chosen” «sta crescendo come un’onda montante», mostrando che «c’è oggi spazio per progetti internazionali che rispettino davvero la sensibilità dei credenti», è anche merito della Rete.

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