Milano. Prostituzione, quelle «invisibili» sempre più povere e sfruttate. Con violenza

Gli operatori dell'unità di strada "Avenida" di Caritas Ambrosiana incontrano una vittima della tratta

Gli operatori dell’unità di strada “Avenida” di Caritas Ambrosiana incontrano una vittima della tratta – foto Caritas Ambrosiana / F. Costadura

Caritas Ambrosiana: cala la presenza in strada ma crescono i rischi di rapine e violenze, clienti più aggressivi. Somaschi: aumenta in alloggi privati e centri massaggi. E uscirne è più difficile

«La prostituzione sulla strada resiste ma è in calo, già da prima della pandemia. Sono invece in aumento, nel post pandemia, i rischi di violenza sulle persone prostituite: dalle rapine ai maltrattamenti e alle violenze da parte dei clienti, che si fanno sempre più aggressivi. Intanto: si sono abbassati i prezzi delle prestazioni. E questo costringe a farne di più per accontentare gli sfruttatori. Mentre la pandemia ha esasperato le condizioni di povertà, marginalità e fragilità delle persone prostituite, rendendole ancora più deboli e ricattabili da parte degli sfruttatori come dei clienti, che sempre più spesso pretendono rapporti non protetti, ai quali diventa più difficile dire di no».

Parola di Nadia Folli, dell’Area Tratta di Caritas Ambrosiana, impegnata dal 2002 nell’unità di strada “Avenida”, che dal 1994 esce due volte alla settimana sulle strade di Milano per incontrare donne, uomini e transessuali e aiutarli a rompere le catene dello sfruttamento.

A non calare è invece la prostituzione indoor «che a Milano significa appartamenti privati e centri massaggi», incalza Isabella Escalante, responsabile del Servizio emersione vittime di tratta e sfruttamento di Fondazione Somaschi. «Durante il Covid, mentre i centri chiudevano, gli annunci online di chi si prostituisce in casa non si sono mai interrotti. E dopo il Covid si sono moltiplicati: chi si prostituiva in strada ha iniziato a farlo anche, o solo, indoor, dove sono arrivati molti clienti prima sulla strada – riprende Escalante, che lavora con Fondazione Somaschi dal 2004 –. La pandemia ha aggravato il loro isolamento, ha reso queste persone ancora più invisibili e in balia degli sfruttatori, rendendo più ardui i già difficili percorsi di emersione dallo sfruttamento».

Folli e Escalante sono due dei relatori al convegno Invisibili. Donne vittime di tratta organizzato da Caritas Ambrosiana e Pime con Ucsi Lombardia, svoltosi mercoledì scorso a Milano nella Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta. A loro Avvenire ha chiesto di comporre il mosaico di una realtà che è “invisibile” anzitutto a causa della nostra indifferenza. Chi si prostituisce sulle strade è sotto i nostri occhi. Appartamenti e centri massaggi stanno in condomini dove non mancano vicini di casa. «E proprio da loro, come dai clienti, vengono a volte segnalazioni di situazioni da contattare», sottolinea Escalante.

​«In loro vediamo non solo la vittima, ma la persona in grado di emanciparsi»

«Nel 2018, sulle strade di Milano, abbiamo incontrato 250 persone, l’80% donne, più della metà dell’Est Europa, con 800 contatti, cioè singoli incontri sulla strada – riprende Folli. –. Nel 2019 le persone incontrate sono state 170 e 700 i contatti. Nel 2022, come nel 2021, abbiamo incontrato 120 persone. Le donne sono sempre l’80%, il 60% rumene e il 15% albanesi. È cresciuta la presenza di persone transessuali provenienti dal Sudamerica, in particolare dal Perù. È quasi scomparsa invece la prostituzione nigeriana, e stiamo cercando di capire dove queste donne siano finite.

In queste persone si intrecciano problemi e fragilità molteplici: molte sono giovani madri, che a volte hanno i bambini qui con sé; a volte, in particolare fra le persone transessuali, coesistono problemi di alcol e di droga. Il turnover è altissimo e rende più difficile incontrarle e costruire relazioni di dialogo e fiducia, indispensabili per aiutarle a riappropriarsi della loro vita e dei loro diritti. In loro vediamo non solo la vittima o la persona con problemi, ma la persona che ha mille risorse per uscire dallo sfruttamento e ricostruirsi una vita». In Lombardia sono due i progetti anti-tratta sostenuti dalla Regione: “Derive e Approdi”, al quale partecipa Avenida, e “Mettiamo le Ali”. «Fra luglio 2021 e settembre 2022 le unità di strada impegnate nei due progetti – ricorda Folli – hanno fatto 796 uscite per un totale di 1.569 persone incontrate».

«Indoor, condizione durissima: così spazio di vita e di sfruttamento coincidono»

Fondazione Somaschi – che ha unità ad hoc sui fronti della prostituzione di strada, dello sfruttamento lavorativo e dell’accattonaggio forzoso – ha un’équipe dedicata al contatto e all’emersione delle vittime di tratta e sfruttamento nella prostituzione indoor a Milano. «Negli appartamenti privati ci sono donne rumene, cinesi, sudamericane, e transessuali peruviane e brasiliane, che contattiamo usando i numeri di telefono pubblicati nei siti di annunci e in quelli di recensioni dei clienti – spiega Escalante –. Chiamiamo e spieghiamo come possiamo offrire loro informazioni di tipo sanitario e legale, aiuto nei documenti o nell’accesso alle cure. Lasciamo il nostro numero per essere ricontattati. Ma perché possa nascere un percorso di uscita dallo sfruttamento serve passare dal contatto telefonico all’incontro di persona, nei loro alloggi o altrove.

La loro condizione è durissima: spazio di vita e luogo dello sfruttamento coincidono, non stacchi mai, l’impatto sul corpo e la psiche fortissimo. Avere la fiducia di persone costrette a vivere nella paura e nell’inganno è molto difficile, e il turnover ancora più alto che sulla strada rende arduo costruire rapporti. Nei centri massaggi, dove il primo contatto è una visita di persona, il 90% sono cinesi e il 10% thailandesi. Ci muoviamo sempre con la presenza di un mediatore linguistico e culturale. Nell’arco di un anno, a Milano, riusciamo a fare 400 contatti, un altro centinaio fra Crema, Lecco e Lodi. Nell’indoor solo l’1% dei contatti riesce a diventare percorso di uscita dallo sfruttamento, col 40% riusciamo almeno a fare attività come accompagnamenti sanitari, visite domiciliari, colloqui. A entrare nei programmi di protezione, sono pochissime. Ma non ci arrendiamo».

avvenire.it

Prostituzione. La ricca Milano chiama schiave dall’Est Europa

Aumentano le donne romene e albanesi sulle strade della metropoli. In calo le nigeriane. Suor Biondi (Caritas): «Ma restano prigioniere in Libia dove subiscono violenze terribili»
Aumenta il numero di donne romene e albanesi prostituite sulle strade di Milano

Aumenta il numero di donne romene e albanesi prostituite sulle strade di Milano – archivio Avvenire

da Avvenire

Vengono sempre più spesso dall’Est Europa le donne costrette a prostituirsi sulle strade di Milano: romene e albanesi principalmente, controllate da un racket spietato. Appare in calo, invece, il numero delle vittime di sfruttamento originarie della Nigeria. Una buona notizia? Solo a prima vista. In realtà, sempre più di frequente rimangono intrappolate nei campi di detenzione libici, dove vengono schiavizzate e sfruttate, o vengono prostituite in altri Paesi africani. Così dicono i dati – e l’esperienza sul campo – dell’unità di strada «Avenida» di Caritas Ambrosiana, che due volte la settimana esce tra periferia e hinterland a offrire loro un contatto, un aiuto. E una chance di liberazione dalle catene del racket. Come hanno fatto le 19 donne, tutte nigeriane, entrate nella rete di protezione nell’ultimo anno con il sostegno della Caritas.
Nel 2019 Avenida ha “intercettato” 197 donne sui marciapiedi di Milano. Nel 2018 erano state 235. Romene e albanesi, «storicamente le più presenti», ricorda un comunicato Caritas, «passano, le romene, dal 43% nel 2018 al 45% nel 2019» sul totale delle donne contattate, mentre «le albanesi passano dal 22% al 25,9%» e insieme continuano a essere «la maggioranza delle donne costrette a prostituirsi in strada». Un incremento che, assieme al turn over, «fa credere agli operatori che il racket continui a operare indisturbato». Cambiato è, invece, il peso percentuale delle nigeriane fra i “contatti” di Avenida. «Anche nel passato non sono mai state la maggioranza», sottolineano in Caritas, e fra 2018 e 2019 sono passate dal 23% al 14,2%. Tutto questo accade «a dispetto dell’enfasi posta sui gruppi criminali africani e i loro legami con gli scafisti libici», annota il comunicato – diffuso per la Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta – che restituisce un ritratto prezioso sullo scenario milanese, sia pur parziale (resta fuori, ad esempio, la prostituzione indoor, in appartamenti o centri massaggi). «La diminuzione della presenza di donne nigeriane si spiega con una diversa strategia dei gruppi criminali che gestiscono il traffico – osserva suor Claudia Biondi, responsabile Area Tratta di Caritas Ambrosiana –. Se prima del caos libico le donne nigeriane venivano mandate in Italia con normali voli aerei ed entravano con visti turistici, dall’inizio della guerra i clan criminali hanno trovato più conveniente accordarsi con gli scafisti e utilizzare le rotte dell’immigrazione. Ora, invece, hanno capito che è più facile farle prostituire nelle miniere d’oro dell’Africa Sub-sahariana, mentre quelle che non riescono più ad attraversare il Mediterraneo restano prigioniere dei centri di detenzione libici dove subiscono violenze terribili».
Per queste donne, Milano può essere luogo di rinascita. Sono tutte nigeriane, infatti, le 37 ospiti delle case protette della Caritas. E sono ben 19, come detto, quelle entrare solo nell’ultimo anno nei percorsi di protezione. Ma resta la sfida di aiutare anche le altre. «È vero – commenta Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana – che i trafficanti nigeriani hanno sfruttato le rotte migratorie per far giungere in Italia le schiave del sesso, come abbiamo sempre denunciato. Ma chiudere i porti non risolve il problema. Al contrario lo sposta altrove e aggrava sofferenza e sfruttamento delle donne. Lo sfruttamento – insiste – si combatte con la repressione dei trafficanti e offrendo alle donne occasioni d’integrazione, come dimostra l’attività dei nostri servizi. Invece l’enfasi sui barconi rischia di far passare in secondo piano un fenomeno rilevante che non si è mai interrotto e continua ancora: la tratta delle bianche in mano a organizzazioni criminali forse meno strutturate ma non meno violente di quelle africane che hanno continuato ad agire indisturbate in questi anni attraverso i confini interni dell’Europa».

Caritas, un’«unità di strada» per spezzare le catene

«Ci sono anche uomini fra i 15 volontari che assieme alle nostre due educatrici permettono all’unità di strada Avenida di eseguire due uscite alla settimana in orario notturno e di farsi, così, incontro alle donne prostituite tra periferia e hinterland di Milano. È importante offrire a queste donne un modello positivo di uomo. È importante mostrare che gli uomini non sono solo sfruttatori o clienti», scandisce Sabrina Ignazi, dell’Area Tratta e prostituzione di Caritas Ambrosiana.
Ci sono molte catene da spezzare, per aiutare queste donne a lasciare la strada: «L’ignoranza, cioè la non conoscenza di servizi e normative che le possono aiutare – spiega Ignazi –; il timore, nel contatto con le istituzioni, di essere riconosciute come “clandestine” e di essere espulse dall’Italia; il clima di isolamento, sospetto, paura, minacce e violenza in cui le chiude lo sfruttatore. Che nel caso delle nigeriane, è una donna. E c’è anche la paura di minacce e ritorsioni contro i familiari in madrepatria, e il vincolo di un debito da pagare all’organizzazione che si è fatta carico dell’arrivo in Italia. E il meccanismo dello sfruttamento spesso si fa intensissimo e intollerabile».
È per aiutare le donne prostituite e sfruttate sulle strade di Milano che dagli anni ’90 Avenida si fa loro incontro. «E il primo passo è proprio rompere l’isolamento – e un prima occasione può essere l’accompagnamento ai servizi sanitari per “presidiare” e proteggere la loro salute – e così creare spazi di relazione liberi da sfruttatori e clienti, perché possano arrivare a decidere di chiedere aiuto». Ignazi lavora al Sed (Servizio disagio donne), il servizio sociale di Caritas Ambrosiana che si occupa dell’ascolto, dei colloqui e della presa in carico delle donne, a questo punto invitate ad aderire a un progetto personalizzato che le porti verso l’emancipazione e l’autonomia, e ospitate in strutture protette, in luoghi segreti (due comunità e cinque appartamenti gestiti da cooperative della “rete” Cartitas) dove riprendere in mano la propria vita. «Imparare o migliorare la conoscenza dell’italiano, proseguire o completare gli studi, soprattutto imparare un mestiere ed inserirsi nel lavoro: questo, insegna l’esperienza degli anni, è decisivo perché queste donne possano arrivare ad una piena autonomia – sottolinea Ignazi –. L’alternativa è tornare nella precarietà e ricadere in percorsi di sfruttamento».
Le 37 donne ospiti delle case protette della Caritas sono tutte nigeriane. Due terzi sono rifugiate politiche, un terzo ha ottenuto il permesso di soggiorno con l’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione (il decreto legislativo 286 del 1998) entrando in percorsi protetti di fuoriuscita dallo sfruttamento. «Forse per questo tutte le nostre ospiti sono nigeriane. Per le romene, che sono comunitarie, e le albanesi, che possono entrare in Italia con un visto rinnovabile ogni tre mesi, il permesso di soggiorno è una “offerta” molto meno allettante». Ecco, dunque, la sfida: trovare vie e strumenti per «agganciare» anche loro. «L’aumento di romene e albanesi, con il calo delle nigeriane, è la tendenza da almeno un paio d’anni a Milano come nel resto d’Italia. E si tratta di donne ad elevata “mobilità”, che il racket, anche per motivi di “rinnovamento” dell’offerta di mercato, sposta spesso tra i vari Paesi europei, incrementando così il loro isolamento».