Ritorno tra i banchi Via le mascherine (e finestre aperte) La scuola a settembre è già un caso

«Aprite le finestre». Alla vigilia del terzo anno scolastico dell’era Covid, è ancora questa l’indicazione principale degli esperti dell’Istituto superiore di sanità per ottenere «standard minimi di qualità dell’aria negli ambienti scolastici», contenuta nelle Linee guida del governo pubblicate mercoledì sera in Gazzetta Ufficiale. A studenti, famiglie, insegnanti e, soprattutto, presidi che da mesi chiedevano l’adozione di impianti di ventilazione e purificazione dell’aria, viene, in buona sostanza, riproposto il metodo utilizzato nelle prime fasi dell’emergenza. Che, però, durante l’inverno costringerà, ancora una volta, a restare in classe con cappotto, sciarpa e cappello. «La semplice ventilazione delle aule attraverso l’apertura delle finestre – si legge nelle Linee guida – può migliorare sensibilmente la qualità del-l’aria, favorendo la diluizione e la riduzione sia di agenti chimici liberati all’interno, sia di virus e batteri rilasciati dagli occupanti».

Sempre secondo gli esperti dell’Iss, «l’osservanza di semplici norme quali il divieto di fumo in tutto il perimetro scolastico, l’assenza di arredi e materiali inquinanti, l’igiene e trattamento di pavimenti e superfici, è un prerequisito importante in questo contesto». Soltanto dopo, qualora «sia dimostrato che la qualità dell’aria non sia adeguata», potrà essere preso in considerazione «l’utilizzo di dispositivi aggiuntivi di sanificazione, purificazione e ventilazione». Che su questo aspetto ci sia ancora molto da fare, è confermato anche dai dati di una ricerca dell’Associazione nazionale presidi e della Fondazione Gimbe, effettuata su un campione rappresentativo di dirigenti scolastici. Praticamente, nella quasi totalità delle scuole è stato, appunto, applicato il protocollo “finestre aperte” (285 risposte su 311 dirigenti intervistati), mentre in appena 9 casi sono stati installati “sistemi di ventilazione meccanica control-lata”, in 84 erano presenti “attrezzature per la purificazione e filtrazione dell’aria”, in 15 “rilevatori di CO2” e in 6 scuole non è stato effettuato “alcun intervento”. «È un vero e proprio scandalo», protesta il matematico Marco Roccetti, ordinario di Scienza dei dati all’Università di Bologna. Un azzardo che potrebbe costare caro, non soltanto in termini di contagi ma anche economicamente. Ogni ondata pandemica, ha calcolato Roccetti, costa alle casse dello Stato tra i 5 e i 6 miliardi, tra vaccini, tamponi e mascherine.

«Il costo medio per questi dispositivi – riprende il matematico bolognese – indicativamente varia da poche centinaia di euro per spazi chiusi di 50 metri a diverse centinaia (meno di mille solitamente) per ambienti da 200 metri quadrati. Andrebbero aggiunti, in taluni casi, i costi di adeguamento degli ambienti e quelli di manutenzione periodica. Dunque – argomenta Roccetti – anche considerando un intervento che coinvolga tutta la scuola italiana, come sarebbe giusto, si tratterebbe di costi che verrebbero facilmente riassorbiti o ripagati dall’essere riusciti a evitare o anche solo fortemente mitigare un’ondata del virus».

Un altro aspetto sul quale sarebbe opportuno fare chiarezza è quello legato all’utilizzo delle mascherine in classe. Fino al 31 agosto valgono le regole adottate dal ministero dell’Istruzione dopo la cessazione dello stato di emergenza (31 marzo 2022), che prevedono, per esempio, l’obbligo di indossarla, dai sei anni in su. Misura che, però, è stata sospesa dal decreto 68 del 16 giugno in vista della Maturità. Proprio l’utilizzo delle mascherine a scuola è già diventata materia per la campagna elettorale, con alcuni partiti, per esempio la Lega, dichiaratisi apertamente contrari a prorogare la misura. Sulla ventilazione è, invece, intervenuta ieri la presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni: «È dall’inizio della pandemia – ha scritto su Facebook – che proponiamo di dotare tutti gli istituti di sistemi di ventilazione meccanica controllata, ma il ministro del- la Salute Speranza e quello dell’Istruzione Bianchi continuano a fare orecchie da mercante – nonostante il moltiplicarsi di appelli da parte di esperti, medici e presidi – abbandonando le scuole al loro destino. Gli istituti italiani si apprestano a vivere il terzo anno consecutivo nel caos e senza sicurezza. Con quale faccia questi signori si presentano a guidare di nuovo l’Italia?». Sull’utilizzo delle mascherine si esprimono ancora gli esperti dell’Iss che, nelle Linee guida pubblicate poche ore fa, scrivono: «Sul piano operativo è utile ricordare che l’ottimizzazione dei ricambi dell’aria e, più in generale, della ventilazione, sebbene faccia parte della generale strategia di prevenzione, è solo una delle azioni da intraprendere e da sola incide solo parzialmente nel ridurre il rischio di contaminazione e trasmissione del virus, se non vengono rispettate tutte le altre azioni personali di prevenzione e riduzione del rischio, ed in primis, il distanziamento fisico, l’uso delle mascherine, il lavaggio delle mani, l’etichetta respiratoria per la tosse e gli starnuti, la sanificazione delle superfici. La riduzione del rischio di contaminazione e diffusione – ricordano gli esperti – si basa proprio sull’attuazione integrata ed organica di queste misure personali e collettive, che rimangono tuttora efficaci».

Insomma, almeno stando a quanto pubblicato in Gazzetta Ufficiale due giorni fa, pare che, nonostante la fine dell’emergenza sanitaria, le precauzioni valgano ancora. Compreso l’utilizzo delle mascherine in classe, il cui obbligo, va nuovamente ricordato, al momento decade il 31 agosto. L’unica certezza, invece, riguarda il licenziamento dei circa 50mila docenti e Ata assunti per far fronte all’emergenza (il cosiddetto “organico Covid”), il cui contratto è scaduto il 15 giugno e non è stato rinnovato. «Il motivo non è chiaro, perché né l’amministrazione scolastica né il governo hanno fornito adeguate spiegazioni », protesta il presidente del sindacato autonomo Anief, Marcello Pacifico. «Rimanendo immutate le condizioni di partenza del nuovo anno scolastico, viene da chiedersi perché è stato prodotto questo ennesimo taglio alla scuola. La risposta appare semplice: esclusivamente per risparmiare soldi – attacca Pacifico – . Ma ancora una volta lo si fa, senza porsi problemi, sulla pelle degli alunni e del personale. Se a questo aggiungiamo che a un mese dall’avvio delle lezioni non abbiamo ancora il protocollo sulla sicurezza, significa che il governo si sta assumendo la responsabilità di una prossima probabile diffusione dei contagi, che nella scuola a queste condizioni troverà terreno fertile. Speravamo che con la riforma del Pnrr qualcosa potesse cambiare: invece nulla».

Secondo Pacifico, l’organico Covid doveva essere prorogato «portandolo su una consistenza anche superiore al primo anno », ricorda il sindacalista. «Se a questo aggiungiamo la conferma delle regole su dimensionamento e formazione delle classi e degli organici, come se il Covid fosse finito, ci rendiamo conto della gravità della situazione – conclude Pacifico –. Eppure i virologi e l’Oms dicono che occorre rimanere con la guardia alta, perché l’emergenza pandemica non è finita. Speriamo di sbagliarci, ma se si arriva in queste condizioni a settembre (considerando che nelle ultime due estati non avevamo questa abbondanza di contagiati), più di qualche classe e scuola rischia di non riprendere le lezioni in presenza».

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Pubblicate in Gazzetta Ufficiale le nuove Linee guida del governo per la «qualità dell’aria negli ambienti scolastici».

Il “consiglio” di mantenere i dispositivi di protezione, per cui però non esiste più alcun obbligo

Alunni con la mascherina in classe: il prossimo anno si ripartirà senza /

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Covid. La scuola è vita, non guerra. I presidi resistano alle sirene pro-Dad

di Viviana Daloisio La scuola è vita, non guerra. I presidi resistano alle sirene pro-Dad Avvenire

Dopo la metafora del «da lunedì 10 gennaio andiamo alla battaglia delle Termopili» usata dal capo dei presidi lombardi, proprio in quel fatidico lunedì si viene a sapere che nelle chat dei dirigenti scolastici si parla di una impossibile «campagna di Russia» e ci si interroga sul perché si sia dovuto lavorare «un altro sabato e domenica», il fine settimana appena passato, per organizzare la didattica. Una palese violazione dei diritti, pare, di una categoria allo «stremo delle forze» dopo la pausa natalizia.

Sia concesso di dire che si tratta di un linguaggio insopportabile, specie se usato da chi dovrebbe ben conoscere (li insegna!) i fatti delle Termopili e della campagna di Russia: questi slogan non sono così diversi da a quelli su Auschwitz sentiti ripetere decine di volte dai no-vax nelle piazze, e considerati giustamente vergognosi. Senza contare che sono ben altre, negli ospedali e sulle ambulanze, le prime linee che hanno combattuto e stanno combattendo a turni di 12 o anche 14 ore al giorno la battaglia contro il Covid, lontano da chat e petizioni online firmate a suon di clic. Con tutto il rispetto, naturalmente, per l’impegno pur molto oneroso dei dirigenti scolastici.

Quella della scuola a ben vedere, se pure fosse lontanamente una battaglia, andrebbe condotta da capitani coraggiosi invece che da chi non vede l’ora di riparare in Dad, parcheggiando gli studenti preventivamente davanti al computer onde evitare persino di scendere in campo. Che fiducia mai potranno avere ragazzi e genitori in un’istituzione che tira (o vuol tirare) i remi in barca a tutti i costi prima ancora di provarci?

I nostri ragazzi sono corsi a vaccinarsi per tornare a scuola in presenza. Il coraggio che hanno avuto loro, a volte anche di sfidare i dubbi, le perplessità e le paure degli stessi genitori, è stato sbandierato in ogni dove. Proprio come quello dei professori, che in maniera massiccia hanno aderito alla campagna vaccinale nonostante i molti dubbi sul farmaco impiegato per immunizzarli inizialmente, AstraZeneca. Oggi questi sforzi vengono snobbati proprio da chi ha il compito di dirigere le nostre scuole: «Ok, abbiamo scherzato. State zitti e buoni a casa vostra».

 

Controlli anti Covid alla ripresa della scuola

Controlli anti Covid alla ripresa della scuola – Ansa

Spesso ci chiediamo perché la scuola italiana è peggiorata così tanto negli anni, molte risposte proprio il Covid ce le ha piantate davanti. E non sono solo la mancanza di investimenti e di risorse umane, o la questione degli stipendi degli insegnanti – tutti problemi sacrosanti –, ma prima di tutto una riaffiorante mancanza di coraggio nell’educare nonostante le prove. Nonostante le difficoltà. Ci si arrende, anche se ne va del futuro dell’Italia che quei ragazzi di oggi, seduti in classe, già sono.

A fronte di casi esemplari di prèsidi e insegnanti straordinari – se ne possono citare molti, e questo giornale negli ultimi mesi ne ha raccontati tanti – ecco schierarsi il gruppone di quelli che alzano la voce e abbassano gli obiettivi educativi. Fa specie, infatti, che proprio da parte chi ora chiede con forza la «Dad per tutti» nella maggior parte dei casi la Dad non sia stata mai messa davvero a sistema, pensandone risorse e prospettive, verificandone e innovandone i meccanismi. Così come sorprende che tra i prèsidi non sia mai partita una raccolta di firme per chiedere al governo di garantirla concretamente, questa benedetta «Dad per tutti»: pc e tablet e connessioni sono un sogno per un pezzo d’Italia che continua a essere vergognosamente escluso, oltre che dimenticato. Sono bambini e ragazzi, sono quelli per cui temiamo gli effetti dei nuovi vaccini: non interessa a nessuno se dentro di loro muoiono di solitudine.

Abbiamo innanzi uno o due mesi difficili, sì. La realtà è questa. I contagi voleranno – stanno già volando – tra studenti e insegnanti, come nel resto del Paese, a causa di una variante contagiosissima. Stiamo facendo tutto il necessario per trasformare questa insidiosa “quarta ondata” in una grande epidemia influenzale, vaccinando (e quindi mettendo al sicuro da conseguenze gravi) la maggior parte degli italiani: gli hub macinano numeri da record, la macchina della sanità territoriale corre. Di nuovo. Ognuno sta facendo la sua parte con fatica enorme: i medici e gli infermieri che curano le persone negli ospedali (e che sono decimati, oltre che stremati), i decisori politici che cercano di stare al passo con la corsa del virus adottando strategie sempre nuove (e scelte anche molto difficili, come quella dell’obbligo vaccinale, seppur graduale), i lavoratori che ogni giorno si misurano col rischio del contagio muovendosi coi mezzi pubblici (e affrontando le condizioni non sempre così garantite dei negozi, dei supermercati, delle farmacie, delle fabbriche) e anche quelli costretti a casa in smart working.

La scuola come il resto del Paese deve partecipare con coraggio a questo sforzo collettivo, adesso non ci sono più scuse. Pensare e ripensare orari e turni in base ad assenze sempre diverse è senz’altro mestiere complicatissimo, come dialogare con le Asl, ma non diverso da quello di far funzionare un ospedale in emergenza, foss’anche un ospedale da campo. E in una scuola da campo, una “scuola in uscita” parafrasando le parole usate da papa Francesco su quel che dovrebbe essere sempre anche la Chiesa, magari non tutto funzionerà alla perfezione, magari i professori faranno lezione per qualche settimana a mezza classe in presenza e mezza in Dad, le aule si svuoteranno lo stesso e la didattica non sarà da manuale, magari i genitori continueranno a impazzire tra tamponi e possibili quarantene e scriveranno decine di mail alle segreterie.

Ma in questa scuola viva e in carne ed ossa, e maledettamente imperfetta, in questo presidio educativo che ha senso d’esistere solo se tangibile, il cuore continuerà a battere. Chi è lontano vorrà al più presto tornare. Chi è presente lotterà per restare. Tutti, alla fine, avranno imparato la lezione che si resiste, che bisogna resistere, che le difficoltà vanno affrontate tutti insieme senza farsi indietro mai e tanto meno senza nascondersi dietro a uno schermo. Che poi – sembra incredibile – è quello che genitori e insegnanti chiedono ogni giorno ai ragazzi: mettere giù smartphone e playstation e tornare a vivere nella realtà. Anche se la realtà fa paura.

Da Avvenire

Scuola: presidi, difficile aprire il 14

“Tutto il personale scolastico è impegnato per la riapertura delle scuole, prevista per il 14 settembre. È evidente, però, che per riaprire in sicurezza è necessario che alcuni problemi vengano risolti. A quanto sappiamo, la consegna dei banchi monoposto è in grave ritardo. Altre due criticità importanti sono quelle delle aule, perché gli enti locali non le hanno reperite ovunque, e l’assegnazione piena dell’organico”. Lo afferma il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli. “Se queste difficoltà non troveranno immediata soluzione, è oggettivamente difficile pensare che il termine del 14 settembre sia rispettato ovunque: è opportuno dunque valutare la possibilità di ragionevoli differenziazioni locali”. (ANSA).