Su iniziativa del Laboratorio Teologico Realino e della Fondazione Enrico Mazza di Reggio Emilia, martedì 14 novembre, alle ore 21, presso il Museo Diocesano nella chiesa di Sant’Ignazio a Carpi, verrà presentato il volume di Enrico Mazza dal titolo “Era irriconoscibile. Il caso di Gesù Risorto” (EDB, 2023)

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Ne parleranno insieme all’autore monsignor Gildo Manicardi, biblista e vicario generale della diocesi di Carpi, e lo storico delle religioni e docente Unimore, Alberto Melloni. I racconti delle apparizioni di Gesù mostrano che ciò che appariva non era uno spirito bensì un individuo in carne e ossa, come tutti gli altri, anche se con caratteristiche molto particolari come l’entrare in una stanza a porte chiuse. Era un individuo con le normali caratteristiche fisiche di tutti gli individui. In queste narrazioni Gesù è irriconoscibile perché “in altra forma” (Mc 16,12). Alcuni racconti dicono che egli restava irriconoscibile anche dopo il riconoscimento, mentre, in altri, veniva riconosciuto solo quando compiva qualche ‘segno’ ad personam, rivelatore della sua identità. A causa di tutto questo, i vari racconti di apparizione non potevano avere molta credibilità. Pertanto, vennero introdotti significativi cambiamenti per smorzare l’effetto negativo di quell’irriconoscibilità che stava accoppiata al riconoscimento. Per questo, i Vangeli cercarono di emarginare quanto più possibile il dato della irriconoscibilità, ma invano. La storia letteraria di questi racconti fa vedere che ciò che non viene mai cambiato è proprio quell’elemento che rendeva inattendibili tali racconti, ossia l’irriconoscibilità di Gesù. Questo è un dato talmente strano e irragionevole che non può essere di origine letteraria. La loro storia letteraria fa pensare che, dietro quei racconti, ci sia stato qualcosa che, essendo realmente accaduto, non poteva venir cambiato: il dato della irriconoscibilità accoppiata al riconoscimento.

(segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone)

Romano Prodi e Stefano Zamagni presentano il libro del vescovo Camisasca

laliberta.info

Evento “Oltre la paura” martedì 22 gennaio alle 20.45 nell’Aula magna dell’Università di Reggio

Per quali vie possiamo arrivare a inaugurare una nuova epoca, affrontando con coraggio e consapevolezza il dramma di un mondo che sta finendo? Quale il posto dell’educazione e delle nuove tecnologie? Che ruolo può ancora avere la religione nelle nostre società così individualistiche e secolarizzate? Sono alcune delle domande a cui il vescovo di Reggio Emilia Massimo Camisasca ha tentato di rispondere in un intenso scambio epistolare con Mattia Ferraresi, inviato per Il Foglio negli Stati Uniti. Dal loro dialogo a distanza fra le due sponde dell’oceano, sviluppato su registri e toni differenti, è nato il libro “Oltre la paura. Lettere sul nostro presente inquieto” (Lindau 2018, 114 pagine, 11 euro), per approdare “alla scoperta che esiste la possibilità di una vita felice oltre la paura. E non solo esiste: è addirittura raggiungibile”.

“Le luci ci sono, bisogna saperle riconoscere e connettere”, scrive il Vescovo nell’introduzione.

La presentazione reggiana dell’opera avrà luogo martedì 22 gennaio alle 20.45 nell’Aula magna dell’Università, a Palazzo Dossetti (viale Allegri 9), alla presenza degli autori, con due relatori d’eccezione, i professori Romano Prodi e Stefano Zamagni.

Entrambi docenti universitari ed esperti di politica e scenari globali, Romano Prodi, presidente della Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli, e Stefano Zamagni, uno dei padri dell’economia civile, porteranno nella serata il loro autorevole contributo per leggere l’attualità in una chiave di speranza.

D’Amato Nazario – Le parole non sono ancora sulla mia lingua

D’Amato Nazario – Le parole non sono ancora sulla mia lingua

Le parole non sono ancora sulla mia lingua Titolo

Le parole non sono ancora sulla mia lingua

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La vita – il nascere, il morire, l’incontro con l’altro – è il banco di prova della propria fede ed il luogo della ricerca di Dio, talvolta condotta con affanno, tal altra con entusiasmo, con la consapevolezza dei propri limiti senza, per essi, cadere nello sconforto. Camminare, cascare, rialzarsi, andare avanti certi di una meta ultima, che dà il senso al proprio cammino e alla storia.

venerdì 9 maggio 2014 alle ore 18,00
presso sala polivalente Oratorio don Bosco
via Adua, 79 Reggio Emilia

presentazione del libro

Autore D’Amato Nazario
Prezzo
Sconto 15%
€ 9,35
(Prezzo di copertina € 11,00 Risparmio € 1,65)
Dati 2013, 90 p., brossura

La Candelora. Presentazione del Signore

Il 2 febbraio la Chiesa Cattolica celebra la presentazione al Tempio di Gesù 2,22-39, popolarmente chiamata festa della Candelora, perché in questo giorno si benedicono le candele, simbolo di Cristo "luce per illuminare le genti", come il bambino Gesù venne chiamato dal vecchio Simeone al momento della presentazione al Tempio di Gerusalemme, che era prescritta dalla Legge giudaica per i primogeniti maschi.

Maria, in osservanza alla legge, si recò al Tempio di Gerusalemme, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, per offrire il suo primogenito e compiere il rito legale della sua purificazione.
L’incontro del Signore con Simeone e Anna nel Tempio accentua l’aspetto sacrificale della celebrazione e la comunione personale di Maria col sacrificio di Cristo, poiché quaranta giorni dopo la sua divina maternità la profezia di Simeone le fa intravedere le prospettive della sua sofferenza: "Una spada ti trafiggerà l’anima": Maria, grazie alla sua intima unione con la persona di Cristo, viene associata al sacrificio del Figlio. 
Roma adottò la festività verso la metà del VII secolo; papa Sergio 1 (687-701) istituì la più antica delle processioni penitenziali romane, che partiva dalla chiesa di S. Adriano al Foro e si concludeva a S. Maria Maggiore. Il rito della benedizione delle candele, di cui si ha testimonianza già nel X secolo, si ispira alle parole di Simeone: "I miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti". Da questo significativo rito è derivato il nome popolare di festa della "Candelora". La denominazione di "Candelora" data popolarmente alla festa deriva dalla somiglianza del rito del Lucernare, di cui parla Egeria: "Si accendono tutte le lampade e i ceri, facendo così una luce grandissima" (Itinerarium 24, 4), con le antiche fiaccolate rituali che si facevano nei Lupercali (antichissima festività romana che si celebrava proprio a metà febbraio). 
  Il canto "Ora lascia" esprime in melodia il contenuto della festa, il Cristo è luce per illuminare le genti e gloria del popolo Israele.