Sogni e speranza, per la politica che verrà

di Stefano Fenaroli – vinonuovo.it

L’improvviso palesarsi all’orizzonte delle elezioni politiche – per certi versi una pratica alla quale non eravamo più abituati – non può che sollevare reazioni, considerazioni e aspettative diverse, dal classico disilluso («tanto non cambia niente») al cittadino impegnato che prende seriamente il proprio dovere civico, preparandosi e informandosi «dalla mattina a notte fonda» (sullo stile, per gli appassionati, del rag. Ugo Fantozzi). D’altra parte, soprattutto di questi tempi, non è facile sentirsi liberi di esprimere un proprio parere, specie se all’interno di una cornice chiaramente di fede, per giunta cristiana. Il riferimento ovviamente è alla non poco velata strumentalizzazione di un certo devozionalismo di matrice cristiana (almeno in superficie), che in maniera grottesca mischia politica e credenza (corrompendo entrambe), facendo così perdere a priori credibilità a qualsiasi parere “dal sapore cristiano” in ambito politico.

Queste poche battute, allora, non vogliono suggerire delle preferenze né tanto meno mettere in luce dinamiche, problematiche o aspettative che da più parti, comunque, in questi giorni potremo sentire, percepire e più o meno condividere. L’intenzione, piuttosto, è esprimere a voce alta una speranza, un desiderio, volgendo lo sguardo «alla politica che verrà».

Come ben sanno gli specialisti, il periodo storico nel quale viviamo veniva definito, almeno fino a qualche anno fa, come post-moderno, vale a dire un tempo che si è ormai distaccato e lasciato alle spalle l’epoca moderna. Il principale carattere di questo nostro tempo, e quindi della sua società, è quello che Baumann definì come «liquidità», declinata a suo modo da Benedetto XVI come «relativismo», e che per intenderci – senza voler entrare nei dettagli – potremmo definire come “mancanza di” o “difficoltà nel darsi” un’identità chiara e distinta. Non è un caso che proprio la definizione stessa di post-moderno, in effetti, definisca il nostro presente ma a partire dal passato. «Noi» siamo ciò che viene «dopo il moderno»; ma cosa siamo «noi»? È un po’ come se i medioevali fossero stati in grado di definirsi tali, paradosso che nasce proprio dal fatto che un periodo, in realtà, lo si può “de-finire” solo nel momento in cui è “finito” (come il Medio-evo, per l’appunto).

Tornando al nostro discorso originario, questa «liquidità» intesa come difficoltà a darsi un’identità è tutt’altro che vista come un ostacolo o un difetto. Al contrario, essa nasce dall’aver felicemente lasciato da parte quelle che Lyotard ha definito le «grandi narrazioni», vale a dire le grandi ideologie del Novecento (fascismo, nazionalsocialismo, comunismo ecc.). Con la caduta del muro di Berlino, anche l’ultimo di questi grandi “-ismi” è terminato, si è letta l’ultima pagina anche di questa “grande narrazione” e si è rimesso al centro ciò che più conta e che sempre dev’essere tutelato: la libertà (sia essa politica, economica, culturale ecc.). «Liquidità», quindi, è sinonimo di «libertà».

È proprio qui, tuttavia, che, alla luce degli effettivi sviluppi della storia politica italiana, sorge un dubbio e quindi una speranza. Potremmo dire così: non sarà che insieme all’«acqua sporca» delle ideologie abbiamo anche buttato «il bambino» dell’ideale? In senso stretto, l’ideo-logia è un discorso razionale e argomentato circa un’idea o un ideale. Assodato il fatto che le concretizzazioni del secolo scorso di determinate idee (o ideali) andavano e vanno tutt’oggi archiviate, sorpassate e condannate (con buona pace di certi orientamenti politici attuali), resta il fatto che un discorso serio a partire da determinati ideali è o, per lo meno, dovrebbe essere il terreno fecondo dal quale partire per “fare politica” oggi. Non è questo, d’altra parte, ciò che si intende quando si sente auspicare una politica capace di costruire alleanze e coalizioni di larghe intese, con programmi condivisi di ampio respiro?

Qualcuno saluta con entusiasmo l’abbandono, il tramonto degli antichi schieramenti di destra e di sinistra (che effettivamente sembrano essere venuti radicalmente meno). Ma si può davvero riconoscere in questo un effettivo vantaggio, se insieme alla sterile etichetta (di cui certo si può fare a meno) si è perso anche l’interesse per quei valori che, certo, saranno astratti, spesso utopici ed evanescenti, ma sapevano guidare l’azione, l’impegno e romanticamente il cuore di chi si schierava da una parte o dall’altra? Se oggi, al loro posto, non ritroviamo valori condivisi (perché pur sempre di ideali si tratterebbe) ma semplicemente l’interesse economico, il tornaconto personale, il favoritismo clientelare, cosa ne ha guadagnato effettivamente il Paese? Se tutto si gioca nel qui e ora, in soluzioni (spesso neanche tali) a breve termine, in programmi di corto cabotaggio, dove si può trovare la passione, l’entusiasmo e (perché no) la capacità di sognare che dovrebbero muovere l’impegno e il lavoro di un vero statista?

Il mondo cambia velocemente, e qualcuno dice che la dizione da noi ricordata di «post-moderno» potrebbe già essere “antiquata”. Ebbene, di cosa possiamo discutere o su cosa possiamo costruire qualcosa, se il nostro orizzonte è limitato alla situazione qui e ora, che oggi c’è e domani potrebbe essere spazzata via da una guerra improvvisa o da una pandemia mondiale? Il nostro presente concreto, sociale e politico, dovrebbe essere il palcoscenico sul quale mettere in scena sempre nuovi drammi che nascono da una regia che condivide determinati ideali; il luogo in cui trova determinazione concreta e attiva una politica che nasce dal confronto e dall’elaborazione di un programma di ampio respiro, capace di entusiasmare, risvegliare le passioni e, come si diceva, far sognare. Perché nemmeno tutti i soldi di questo mondo valgono una politica che nasce da e sa dare concretezza a un vivere sociale e civile umano, giusto, disponibile, accogliente, aperto e fraterno. Ripensandoci bene, tutta quella spettacolarizzazione del religioso che abbiamo citato in precedenza, non sarà forse il tentativo proprio di colmare, malamente e rozzamente, questo vuoto “ideologico” che abita la politica, servendosi di facili stereotipi vecchi di duemila anni, per giunta falsificati e per nulla compresi, sperando che almeno questi scaldino e attirino qualche animo più nostalgico o semplicemente (e realmente) credente?

Concludendo, questa è la nostra speranza. Non una politica ideale (che in quanto tale non esisterebbe) quanto una politica dell’ideale, solo così capace di dare forma al reale. Quelli che abbiamo voluto offrire sono solo alcuni spunti, su cui tuttavia credo sia necessario riflettere, per recuperare una dimensione più alta e costruttiva della politica, quale autentico interesse per la polis. E se qualcuno si domandasse da dove partire, qualche buono spunto potrebbe ancora venirci da un’idea, da un motto non solo precedente il nostro tempo post-moderno, ma anzi proprio all’origine della Modernità: libertà, uguaglianza e fratellanza (parole che, tra l’altro, potrebbe suscitare anche un sano interessante teologico: e se Dio stesso, nel suo essere Trinità, potesse essere pensato proprio così, in sé libero, uguale e fraterno?). Certo, niente di originale. Eppure, se davvero ripartissimo da qui per fondare la nostra repubblica (visto che di «lavoro» ce n’è sempre meno…), forse molti problemi potrebbero trovare una strada per iniziare a essere risolti.

Crisi di governo, Famiglia Cristiana: “Vincerà il buon senso”?

Crisi di governo, Famiglia Cristiana:

«È preoccupante apprestarci a vivere una campagna elettorale, che durerà fino alle elezioni del 25 settembre, e una successiva fase di governo, dove un risuscitato populismo rischia di distrarre dai veri problemi dell’Italia». Sul n. 31 di Famiglia Cristiana, in edicola dal 28 luglio, nella rubrica Colloqui col padre il direttore, don Stefano Stimamiglio, risponde a due lettrici («due tra le tante lettere giunte in redazione») sulle imminenti elezioni politiche.

Per il direttore del settimanale cattolico, populismo e astensionismo sono i due veri problemi su cui riflettere. «Il populismo, infatti, è uno dei nodi fondamentali dell’attuale fase politica, non solo in Italia. Esso non rappresenta niente di nuovo – sia chiaro –: riemerge regolarmente come un mostro nei momenti faticosi della storia, cavalcando crisi politiche ed economiche, proponendo facili soluzioni a colpi di spugna e giocando sulla memoria corta dei cittadini. Riusciranno i partiti a resistere alla tentazione di caderci dentro?»

«L’altra faccia del problema, però, sono gli elettori», prosegue don Stimamiglio: «Il 25 settembre troveranno motivazioni sufficienti per andare a votare andando in controtendenza rispetto alle ultime elezioni amministrative di giugno, in cui hanno votato solo il 54% degli aventi diritto? Avranno discernimento sufficiente per esprimere un governo credibile per il nostro Paese?»

In generale, don Stimamiglio fa sua l’analisi del politologo gesuita padre Francesco Occhetta: «Conte ha aperto la crisi, Salvini l’ha cavalcata, Meloni l’ha capitalizzata e Berlusconi l’ha avvallata, svuotando per sempre le attese moderate e liberali di cui Forza Italia era portatrice. È stato sacrificato così Mario Draghi, il presidente riformatore che, nei suoi 523 giorni di governo, ha svolto il ruolo di garante del Paese grazie a tre caratteristiche determinanti: credibilità, competenza e rigore morale».
Adista 

CRISI Economia a picco, la folla caccia il presidente Sri Lanka, l’assalto ai palazzi del potere

Migliaia di manifestanti spinti dalla rabbia per la grave crisi economica, nella capitale Colombo, hanno preso d’assalto la residenza del presidente dello Sri Lanka, Gotabaya Rajapaksa (nella foto), costringendolo alla fuga e all’annuncio delle dimissioni. Lascia il premier Ranil Wickremesinghe dopo le richieste dei partiti che intendono formare un governo di unità nazionale.

Avvenire

Gelo di Conte su Draghi, il governo nel mirino. Conte accusa il premier di aver chiesto a Grillo di rimuoverlo dal M5s

Draghi, ho parlato con Conte, il governo non rischia © ANSA

Alta tensione nel governo.

Conte accusa il premier di aver chiesto a Grillo di rimuoverlo dal M5s (‘un’intromissione grave’), chiede un chiarimento politico e a sera sale al Colle per un colloquio di un’ora con Mattarella.

Draghi smentisce le pressioni sul Movimento, ma deve lasciare in anticipo il vertice Nato di Madrid. Convocato un Cdm sulle misure contro il caro bollette

FRA IL M5S E IL GOVERNO TIRA ARIA DI CRISI
La tensione ha superato i livelli di guardia dopo l’intervista del sociologo Domenico De Masi, che ha riferito una confidenza ricevuta da Beppe Grillo nei suoi tre giorni a Roma: Mario Draghi avrebbe avrebbe chiesto al garante di “rimuovere Giuseppe Conte dal M5s, perché inadeguato”. Non è mai successo, è la smentita di Palazzo Chigi arrivata all’ora di cena, quando ormai il caso era deflagrato, contestualmente alla decisione di Draghi di lasciare in anticipo il vertice Nato di Madrid per rientrare a Roma in serata e partecipare domani – è la versione ufficiale – al Consiglio dei ministri che si occuperà, tra l’altro, della questione bollette. Ma le preoccupazioni del presidente del Consiglio potrebbero riguardare proprio le tensioni con la maggioranza. E non solo quelle con i pentastellati ma anche con la Lega che si è messa di traverso sullo ius scholae e la cannabisIn questo quadro, Giuseppe Conte sale al Colle per rappresentare, a Mattarella, in un incontro durato un’ora, la “gravità” della situazione dopo il colloquio con il premier.

La giornata si è infiammata quando all’ora di pranzo l’ex premier ha accreditato le parole del prof. De Masi, che da tempo segue da vicino il percorso del Movimento ed è amico del garante. Conte si è presentato in sede, davanti alle telecamere, per assicurare che Grillo gli “aveva riferito di queste telefonate” di Draghi, chiarendo di sentirsi “sotto attacco” e denunciando “un intromissione grave”. Un aggettivo usato anche nella tesa telefonata con il premier, impegnato intanto al vertice Nato. “Abbiamo cominciato a chiarirci – ha detto Draghi -, ci risentiamo domani per vederci al più presto. Il governo non rischia”. Un appuntamento fra i due ancora non c’è, e c’è da attendersi un clima tutt’altro che disteso in Consiglio dei ministri. In teoria sembrano esserci tutti gli ingredienti per arrivare a un momento di rottura, a quell’appoggio esterno all’esecutivo chiesto da deputati e senatori grillini in pressing nella tre giorni di incontri organizzati da Grillo. Uno scenario percorribile ma solo se non saranno ascoltate le istanze del Movimento sui temi prioritari, dal superbonus al salario minimo, la predica ribadita più volte da Grillo, che in serata ha lasciato la Capitale, dopo aver cancellato l’ultima riunione con la delegazione pentastellata di governo.

È stanco”, “non sta bene”, sono le voci che hanno accompagnato le ultime ore a Roma del comico genovese, che davanti alle telecamere ha seminato battute criptiche (“Ma cos’è questa cosa di Draghi e Conte”, ha detto nel pomeriggio mentre infuriava la bufera”) e lapidarie risposte, come quella sul limite dei due mandati. Per lui è “un totem”, un “tema identitario”, ha chiarito nel pomeriggio mentre sfumava l’ipotesi di una votazione online degli iscritti, e assieme a questa la deroga a Giancarlo Cancelleri che così ha deciso di tirarsi fuori dalle candidature per le primarie per le Regionali in Sicilia.

ansa