‘La pedagogia del bello’ come veicolo educativo “Di Bellezza Si Vive”, progetto quadriennale di Con i Bambini

La “pedagogia del bello” – ossia l’idea che l’estetica e i valori condivisi possano essere veicoli potenti per stimolare l’apprendimento, promuovere l’inclusione sociale e sviluppare una cittadinanza attiva e consapevole – non è un’utopia.

E’ su questo principio che sta continuando a lavorare “Di Bellezza Si Vive”, il progetto quadriennale sostenuto dall’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, selezionato come buona pratica di interesse europeo ed invitato a partecipare all’evento la Pedagogia della Bello, alla quarta edizione, organizzato a Spoleto qualche giorno fa da CIAPE, che promuove l’innovazione della didattica a livello europeo.

Un evento riservato a soli 15 partecipanti fra formatori, educatori, pedagogisti, docenti, filosofi, antropologi.
“La bellezza della quale parliamo – ha affermato Ugo Morelli psicologo e saggista, referente scientifico di Di Bellezza Si Vive – è a portata di tutti, ma richiede almeno tre condizioni: che si cerchino le vie di accesso aprendo i veli della volgarità che la riducono alla cosmesi e ai canoni di volta in volta tanto dominanti quanto accecanti; ⁠che la si ritenga irriducibile come tutte le manifestazioni che portano l’umano alla trascendenza immanente e alla possibilità di andare oltre quello che già ognuno è; ⁠che si consideri la bellezza un’esperienza relazionale che nasce dal corpo-cervello-mente. La bellezza diventa – prosegue Morelli – un indicatore essenziale di valutazione di crescita e via per sostenere il potenziale di bambini e ragazzi con azioni mirate di orientamento. Attraverso un uso educativo delle esperienze estetiche è possibile individuare i costi derivanti dall’assenza di bellezza, i quali si esprimono in termini di mortificazione delle potenzialità e di impoverimento delle possibilità individuali e collettive” Con il Progetto di “Di Bellezza si vive”, la sperimentazione ha raggiunto 4 regioni (Lombardia, Piemonte, Lazio, Sicilia Orientale), coinvolgendo da protagonisti e da beneficiari indiretti quasi 5.000 minori dai 3 ai 17 insieme ad un’estesa rete di agenzie educative formali e non formali. Sono state, fra l’altro, valorizzate la cura, la bellezza e l’empatia degli spazi in cui i minori fanno esperienze educative quali elementi fondamentali da cui dipendono molti aspetti della creazione della personalità e dell’attivazione delle risorse psichiche. E hanno sviluppato numerosi laboratori di territorio sostenendo nuove alleanze strategiche frutto di una cooperazione assidua tra una “scuola vivaio” e una comunità educante eterogenea.

Fonte: Ansa

«COSÌ MARIA MONTESSORI COLTIVAVA LA SPIRITUALITÀ DEI PIÙ PICCOLI»

La maestra Anna Maria Pipoli racconta la pedagogista scomparsa 70 anni fa: «Attraverso i sensi portava i bambini a uno sviluppo, la stessa cosa avviene nella catechesi. Diceva che i fossero capaci di distinguere fra le cose naturali e le cose soprannaturali e portati naturalmente a conoscere Dio, a partire dall’ambiente che li circonda»

Laura Badaracchi
La Madonna della Seggiola troneggiava su una parete della prima Casa dei bambini fondata dalla Montessori. Il quadro ne divenne il simbolo e in seguito, in tutte le nuove Case dei Bambini sarà affissa una riproduzione. (c) Archivi della Association Montessori Internationale

La Madonna della Seggiola troneggiava su una parete della prima Casa dei bambini fondata dalla Montessori. Il quadro ne divenne il simbolo e in seguito, in tutte le nuove Case dei Bambini sarà affissa una riproduzione. (c) Archivi della Association Montessori Internationale

«Aiutaci, o Dio, a penetrare nel segreto del bambino, affinché possiamo conoscerlo, amarlo e servirlo secondo le Tue leggi di giustizia e secondo la Tua divina volontà». È una preghiera scritta non da una catechista o da una santa, ma dalla geniale Maria Montessori, laureata in medicina e specializzata in psichiatria, di cui il 6 maggio ricorrono i 70 anni dalla morte. Della sua passione educativa molto è stato detto, ma non altrettanto della sua profonda fede che l’accompagnò non solo nelle vicende personali, ma che ha irrorato e ispirato molti aspetti del suo metodo. Lo ricorda con dovizia di particolari ed episodi Martine Gilsoul, educatrice montessoriana di origine belga trapiantata a Roma, nella sua accurata biografia scritta in collaborazione con Charlotte Poussin e intitolata Maria Montessori. Una vita per i bambini, appena pubblicata da Giunti. «Una copia del celebre dipinto di Raffaello “La Madonna della Seggiola”, che troneggiava su una parete della prima “Casa dei bambini”, la sua prima scuola, ne divenne il simbolo. In seguito, in tutte le nuove Case dei Bambini sarà affissa una riproduzione del quadro. E per la sua grande apertura mentale, Maria pensava che non ci fosse incompatibilità tra il suo approccio razionale e la religione che sua madre le aveva trasmesso. Nelle conferenze e negli scritti, non esita a fare largo uso di esempi tratti dalla Bibbia, dalle vite dei santi e dai Padri della Chiesa. Era una donna profondamente spirituale, abitata dal senso del sacro», sottolinea Gilsoul.

«Nel 1922 Maria manifesta il desiderio di creare un Centro cattolico di formazione degli insegnanti e pubblica in Italia I bambini viventi nella Chiesa. Note di educazione religiosa. Nel 1931 vede la luce La vita in Cristo e nel 1932 La Santa messa spiegata ai bambini. I tre volumi, che avevano tutti ricevuto l’imprimatur, costituiscono un metodo di insegnamento religioso». Inoltre la Montessori criticava «il metodo tradizionale di insegnare la religione “con le parole”: riteneva infatti che la religione dovesse far parte della vita». Anche perché, come lei stessa scrive, «i bambini sono così capaci di distinguere fra le cose naturali e le cose soprannaturali, che la loro intuizione ci ha fatto pensare ad un periodo sensitivo religioso: la prima età sembra congiunta con Dio come lo sviluppo del corpo è strettamente dipendente dalle leggi naturali che lo stanno trasformando».

Lo ricorda con dovizia di particolari ed episodi Martine Gilsoul, educatrice montessoriana di origine belga trapiantata a Roma, nella sua accurata biografia scritta in collaborazione con Charlotte Poussin e intitolata Maria Montessori. Una vita per i bambini, appena pubblicata da Giunti. «Una copia del celebre dipinto di Raffaello “La Madonna della Seggiola”, che troneggiava su una parete della prima “Casa dei bambini”, la sua prima scuola, ne divenne il simbolo. In seguito, in tutte le nuove Case dei Bambini sarà affissa una riproduzione del quadro. E per la sua grande apertura mentale, Maria pensava che non ci fosse incompatibilità tra il suo approccio razionale e la religione che sua madre le aveva trasmesso. Nelle conferenze e negli scritti, non esita a fare largo uso di esempi tratti dalla Bibbia, dalle vite dei santi e dai Padri della Chiesa. Era una donna profondamente spirituale, abitata dal senso del sacro», sottolinea Gilsoul.

Maria Montessori a Londra nel 1951 visita la Gatehouse School dove utilizzano il suo metodo di insegnamento.(c) Archivi della Association Montessori Internationale

Maria Montessori a Londra nel 1951 visita la Gatehouse School dove utilizzano il suo metodo di insegnamento.(c) Archivi della Association Montessori Internationale

Così a Roma, dopo la sua morte, l’insegnante montessoriana Gianna Gobbi e la biblista Sofia Cavalletti hanno messo a punto La catechesi del Buon Pastore, rivolta ai bambini a partire dai 3 anni, adottata anche da tanti docenti di religione e di sostegno.

Come la 67enne Anna Maria Pipoli, per 42 anni maestra di scuola primaria a Foggia. «Maestra» vuole essere definita, anche ora che è in pensione e fa la formatrice montessoriana di altri colleghi: ha sposato il metodo montessoriano anche nelle ore di religione, sperimentando concretamente con materiali bidimensionali e tridimensionali che i bambini apprendono con estrema facilità il linguaggio e il significato delle parabole evangeliche, come la perla preziosa e il seme piantato nella terra, e restano affascinati dalla storia della salvezza, dai simboli presenti nella liturgia.

La tomba di Maria Montessori a Noordwijk nei Paesi Bassi.a Noordwijk (Paesi Bassi). (c) Archivi della Association Montessori Internationale

La tomba di Maria Montessori a Noordwijk nei Paesi Bassi.a Noordwijk (Paesi Bassi). (c) Archivi della Association Montessori Internationale

«I bambini erano sempre attenti e coinvolti, usando i materiali messi a loro disposizione: dalle sagome del pastore con l’ovile e le pecore al cofanetto con la perla preziosa, dal piccolo granello di senape al lievito messo nella farina sul tavolieri per fare il pane. «Siamo chiamati a spargere semi senza indagare e interrogare: nessuna verifica. È il tempo che dice cosa sei riuscita a trasmettere nel profondo, nel cuore del bambino. Siamo come i servi inutili del Vangelo», sottolinea la maestra. «Maria Montessori diceva che il bambino è portato naturalmente a conoscere Dio, a partire dall’ambiente che lo circonda. Attraverso i sensi portava i bambini a uno sviluppo, la stessa cosa avviene nella catechesi. Bisogna offrire materiali sensoriali per assorbire questi valori, anche con i diorami (riproduzioni di varie scene in scala ridotta, ndr): così nei bambini scaturisce il contatto con il loro maestro interiore. Si pongono loro delle domande, si chiede cosa ne pensano, si stimola l’interiorizzazione e autoanalisi senza portarli dove vogliamo noi. Possono esprimere i loro pensieri con disegni o durante il colloquio». Con un atteggiamento costante da adottare: «La pedagogia dell’attesa. Ce l’ha trasmessa Maria Montessori», convinta che i bambini fossero capaci «di distinguere fra le cose naturali e le cose soprannaturali».

Famiglia Cristiana

Crescere con Dio. Dinamiche educative nella Bibbia

di: Roberto Mela

Dionisio Candido, Crescere con Dio. Dinamiche educative nella Bibbia

«Ciò che più conta – scriveva D. Bonhöffer all’amico E. Bethge il 18 dicembre 1943 – è tenere il passo di Dio, non volerlo sempre precedere, né d’altra parte stargli indietro» (Resistenza e Resa, cit. da Candido a p. 44). E il passo di Dio è quello di un pedagogo, esigente ma paziente.

Il quarantasettenne biblista catanese Candido Dionisio – sacerdote della arcidiocesi di Siracusa, dottore in Scienze bibliche al PIB, docente di Esegesi dell’AT e di Spiritualità AT a Siracusa e Catania – è responsabile del Settore dell’Apostolato Biblico dell’Ufficio catechistico nazionale della CEI.

Egli propone sette breve percorsi con i quali scoprire il metodo pedagogico seguito da Dio nella Bibbia per educare il suo popolo.

Il basso continuo del suo essere è quello dell’amicizia, del suo amore fedele con il quale sottolinea il continuum della relazione che lo lega a Israele. Niente lo potrà mettere in discussione. Il suo è un passo di accondiscendenza, con il quale si fa trovare là dove si trova l’uomo, con le sue difficoltà e i suoi sogni di libertà che egli bene conosce da sempre, ancora prima che siano espressi.

A volte Dio è costretto ad attendere il suo partner, con tolleranza verso suoi errori e le sue lentezze. Fragilità oggettive e resistenze soggettive dell’uomo e del popolo di Israele umano “costringono” Dio a dargli il tempo di cercare. Quello che è importante è la sincronizzazione dei passi fra YHWH il popolo, con una coordinazione che si adatti al percorso piano e facile, così come a quello arduo e impegnativo.

Al discepolo viene rivolto qualche volta un duro rimprovero, un testo di disturbo che lo svegli dal perduto amore e lo rilanci sulla via della crescita. Il Dio della Bibbia non si manifesta simile agli dèi dei racconti di fondazione. Un Dio che dà origini nobili alle città, ma resta manipolabile e proiezione dei desideri umani. YHWH invece accondiscende ma resta sempre altro dall’uomo. Gli eponimi del popolo di Israele non sono uomini mitici, ma persone senza blasone, aramei erranti. Bisogna cambiare davvero, allora, senza restare rigidi nella proprio nuca fatta di metallo.

YHWH fornisce spazio e tempi per crescere: il giardino dell’Eden, il cammino di libertà e di prova nel deserto, il monte del tempio, ma soprattutto la strada del ritorno dall’esilio, verso una città che, nella sua configurazione ideale, sarà senza il tempio, perché questo sarà costituito da Dio stesso e dall’Agnello.

La Bibbia mostra chiaramente l’antinomia di fronte alla quale l’uomo deve scegliere: il bene o il male. Ma talvolta i confini sono incerti e bisogna saper gestire la tensione fra varie realtà non ottimali. Occorre danzare la vita, avanzare a piedi nudi di fronte a Dio che accoglie al roveto ardente, fa avvicinare ma rispettando lo spazio dell’alterità.

Il profeta Elia mostra i limiti di un uomo pieno di passione ma anche incline alla depressione che segue la persecuzione di Gezabele. YHWH sostiene il suo profeta con una focaccia per un bipolare, perché possa arrivare alla meta dell’incontro con lui sull’Horeb.

Gesù stesso mostrerà la tensione fra il suo essere risorto/risuscitato nella gloria e i segni ancora ben marcati e indelebili della sua passione nella carne. Un Guaritore ferito, un Vivente ferito.

Davvero – come notava il card. Martini nella sua lectio magistralis in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Scienze dell’Educazione alla Cattolica (11/4/2002) – la Bibbia si squaderna davanti a noi come un magnifico libro letterario, un ricco libro sapienziale, un educativo libro storico, un profondo libro dello Spirito (cf. pp. 90-91). Nella Bibbia ognuno può specchiarsi, ma trovare soprattutto il passo fermo e la mano solida del Pedagogo che lo aiuta a crescere verso l’autonomia e la vera libertà.

Una sintetica bibliografia “pedagogica” può aiutare a proseguire il cammino (pp. 93-95).

Pagine scritte con linguaggio semplice, che però fanno trasparire la ricchezza del testo biblico cosciuto e amato, opera dell’uomo ma ispirato dalla sapienza del Pedagogo Divino.

Dionisio CandidoCrescere con Dio. Dinamiche educative nella Bibbia (Attualità della Bibbia s.n.), Città Nuova, Roma 2020, pp. 104, € 15,00, ISBN 978-88-331-8807-4

Settimana News

Cultura e pedagogia: bambini alla ricerca di Dio

Esce in questi giorni in libreria il volume «Le domande dei bambini su Dio» (Lindau, pp. 232, euro 19,50), nel quale il benedettino bavarese Anselm Grün – autore di molti volumi di spiritualità tradotti anche in italiano – e il noto pedagogo e divulgatore Jan-Uwe Rogge spiegano «Come l’educazione spirituale rafforza la famiglia». Qui pubblichiamo uno stralcio del capitolo «I bambini cercano la propria strada».

Grün Anselm; Rogge Jan-Uwe – Le domande dei bambini su Dio. Come l’educazione…

Le domande dei bambini su Dio. Come l'educazione spirituale 
rafforza la famiglia Titolo Le domande dei bambini su Dio. Come l’educazione spirituale rafforza la famiglia
Autore Grün Anselm; Rogge Jan-Uwe
Prezzo
Sconto 15%
€ 16,58
(Prezzo di copertina € 19,50 Risparmio € 2,92) – solo online da qui

I bambini sono diversi e ciascuno è unico. Teologicamente potremmo dire che in ogni bambino Dio pronuncia una sua parola, espressa soltanto in quel determinato bambino. Ognuno è una parola di Dio incarnata. O, in altri termini, ogni bambino è un’immagine unica e irripetibile di Dio. Ogni bambino è un sogno di Dio sull’uomo. I genitori hanno il compito di tenere sempre presente questa particolarità e unicità dei figli. Non sapranno esprimere con parole chiare l’immagine di Dio che si manifesta nel loro bambino perché, così come non ci si devono formare immagini di Dio, non bisogna crearsene neppure dell’uomo. Tuttavia, se si è consapevoli dell’immagine unica di Dio nel bambino, si rimane aperti a ciò che il bambino ha di speciale, al suo carattere individuale; non ci si fissa su un determinato modello. Il teologo e psicologo americano John Bradshaw sostiene che i bambini sono spirituali di per sé, seguono l’atteggiamento naturale «io sono quello che sono», che si può tradurre anche con «io sono io». Un bambino l’avverte chiaramente. È spontaneo, è se stesso. Perciò Bradshaw scrive: «Credo che l’adesione al nostro io sia il nucleo essenziale di ciò che ci rende simili a Dio. Se una persona ha il senso di questa qualità, è in armonia con se stessa e può accettarsi. I bambini ne sono capaci per natura. Se osservate un qualsiasi bambino, riconoscerete in lui quell’espressione che dice: ‘Io sono chi sono’».

La ferita più profonda che i genitori possono infliggere ai figli è quella spirituale. Il bambino è deriso nella sua unicità. È costretto nell’immagine che ci si fa di lui. Se si fida dei propri sentimenti ed esprime i giudizi che ha nella sua anima genuina, si ride di lui. Così è costretto ad adattarsi e a negare la consapevolezza originaria e il senso della propria unicità. Bradshaw dice: «La ferita spirituale è la principale responsabile del fatto che diventiamo dei bambini cresciuti non autonomi, pieni di vergogna. La storia del declino di ciascun uomo e di ciascuna donna racconta di come un bambino meraviglioso, prezioso, speciale, unico abbia perso la sua percezione di ‘io sono chi sono’». I bambini pieni di vergogna non osano più essere se stessi, gli preme soltanto di essere accettati e apprezzati dagli altri, di adeguarsi ai giudizi esteriori, di piacere, insomma. I figli sono ospiti che chiedono la strada, dice una frase molto citata. Ma non domandano soltanto per avere risposte dagli adulti; pongono domande perché osservano il mondo, che li meraviglia, li spaventa e li induce a riflettere su ciò che vedono. I bambini sono filosofi – un’altra constatazione tanto valida quanto comprensibile – che non sono solamente curiosi ma, a modo loro, trovano anche delle risposte: talvolta in tutta serietà, tal altra sottintese, talvolta pratiche, tal altra spiritose e davvero buffe. L’apprendimento – anche quello religioso – non avviene solamente attraverso programmi didattici (per quanto ben concepiti e ponderati), un bambino fa esperienze istruttive anche non pianificate, senza un accompagnamento pedagogico, a casa, a scuola o all’asilo. Quando i bambini crescono e si mettono in cammino per esplorare e conoscere il mondo intorno a loro, quando non gli bastano più le sicurezze familiari, quando varcano i confini per conquistare le terre al di là di essi, quando fanno (come devono) esperienze nuove, ignote e insolite, quando si trovano ad affrontare sfide esistenziali, mettono in discussione molte cose, compresi se stessi, e improvvisamente il sapere acquisito non è più sufficiente. A partire dal terzo o quarto anno di vita i bambini pongono due domande importanti, alle quali desiderano ottenere risposte che li prendano sul serio e li apprezzino nelle loro competenze: da dove vengo? Dov’ero prima di essere qui con voi, prima di venire in questo mondo? E: io morirò? Voi morirete? Sono domande filosofiche sull’inizio e sulla fine, sull’origine e sull’evoluzione. Chi mi dà sostegno, protezione e sicurezza affettiva quando mi metto in cammino, quando mi allontano dal luogo familiare e sicuro? Dietro queste domande si nasconde il desiderio di essere accettati e in buone mani, di disporre di legami sicuri con persone fidate. Lo psicologo sociale Uri Bronfenbrenner ha sottolineato che ogni bambino, ogni giovane ha bisogno di una persona alla quale essere legato in modo irrazionale, emozionale, una persona della quale potersi fidare incondizionatamente. Nella ricerca di protezione, sostegno e sicurezza affettiva è insita anche la ricerca di Dio: Dio Padre e Dio Madre, al quale potersi abbandonare perché altrimenti si sarebbe abbandonati e non si avrebbe il coraggio di uscire nel mondo per diventare una persona autonoma. Gaby von Thun ha scritto su questo argomento un libro di straordinaria sensibilità. Ha chiesto a dei bambini di disegnare la loro immagine di Dio offrendo loro l’opportunità di esprimersi in proposito. Alla domanda su come si immaginasse Dio, un bambino ha risposto: «Dio me l’immagino come una persona che ci osserva! E guardandoci ride e le sue risate donano la pace a noi uomini qui in Terra. E ci dona il sole! Ogni tanto fa piovere per rinfrescarci perché sa quand’è troppo caldo per noi». Bambini e giovani che lasciano il porto sicuro per affrontare le tempeste della vita hanno bisogno di quelli che lo psicanalista Donald Winnicott ha chiamato «oggetti transizionali»: simboli, oggetti, rituali che aiutano a sopportare l’autonomia e l’indipendenza. Per alcuni bambini sono l’orsacchiotto, la copertina, il ciuccio; o per dirla con le parole di Tamara, 10 anni: «Ho una volpe di pezza. Si chiama Ricki, è color salmone e ha la coda bianca. Mi aiuta sempre quando sono nei guai, quando ho bisogno di lei. Magari sa anche parlare e pensare. Potrebbe essere, no? Oppure sta su una nuvola in cielo? Può anche darsi».

Potrà sembrare strano, parlare di Dio come di un «oggetto transizionale». Eppure, in un’epoca in cui i rapporti personali sono talvolta fragili e incerti, i legami simbolici acquistano importanza perché esistono sempre e ovunque. A un certo punto del loro sviluppo, molti bambini non necessitano più di oggetti transizionali reali, bastano loro quelli contenuti in simboli e immagini. I disegni nel libro di Gaby von Thun lo testimoniano: Dio come luce, stella, sole, luna. I bambini sono creativi e sanno definire con precisione le proprie cognizioni. Non divagano. Le immagini infantili contengono la divinità e l’anarchia, parlano del Paradiso, dell’Inferno e del Purgatorio; in esse fantasia e realtà si fondono indissolubilmente. «Mosè ha attraversato il mare a piedi. Probabilmente c’era bassa marea» scrive Leona, 7 anni, che forse è stata con i genitori sulle coste a basso fondo del Mare del Nord. È impareggiabile, poi, il dialogo tra Mario, 9 anni, e Thomas, 7: «Costruisco col Lego una torre fino a Dio – dichiara Mario –. Così salgo fino a lui!». «Poi caschi di sotto – commenta imperturbato Thomas – e muori». «Tanto – ribatte fulmineamente Mario – se muoio torno subito su». Dio come stimolo, come sfida, ma anche come consolazione, come sicurezza ultima. Ed è di questo che hanno bisogno i bambini quando si allontanano per sviluppare l’autonomia e l’autocoscienza. Proprio nelle storie, ma anche nelle immagini, si creano spazi simbolici «per sopportare il fatto di essere soli senza sprofondare nella solitudine, per far fronte ai compiti e alle sfide di questo mondo senza perdersi, per reggere al dolore e conservare la speranza», come scrive la pedagoga della religione Helga Kohler-Spiegel.

Immagini e spazi simbolici confortano, rendono sopportabili le perdite: «Il mio angelo custode è mio fratello – scrive Aulona, 11 anni –. Purtroppo è in cielo… Non l’ho conosciuto bene ma so che aspetto aveva. Se fosse ancora vivo avrebbe 13 anni. È il mio angelo custode e lo sarà sempre». Ad ascoltare le storie che i bambini raccontano di Dio vi si scoprono dei veri tesori e messaggi: una fiducia nelle proprie capacità che può essere vissuta soltanto se ci si sente protetti da legami e rapporti sicuri, con Dio, con l’angelo custode. È la fiducia nel lieto fine, non come in una soap opera o in un drammone hollywoodiano, bensì grazie alla consapevolezza di poter fare conto sulle forze creative delle proprie idee e fantasie, sul potenziale delle immagini interiori (di Dio). I bambini si esprimono in storie nelle quali descrivono dettagliatamente esperienze (religiose). Riflessivi e dotati di senso dell’umorismo, raccontano storie su «Dio e il mondo», sulla gioia e la sofferenza, sulla paura e il modo di affrontarla, sul desiderio di un angelo custode che ci tenga una mano sul capo e di un Dio amorevole che ci dia sostegno e protezione.

Anselm Grün e Jan-Uwe Rogge – avvenire.it